Senza tracciabilità e controlli, la guerra dei rifiuti non si può vincere
Troppe norme negli anni hanno cancellato strumenti fondamentali al controllo del flusso dei rifiuti. Un favore ai criminali e un danno economico per la collettività
Dal primo gennaio 2019 verrà soppresso il sistema di controllo e tracciabilità dei rifiuti, il cosiddetto SISTRI che avrebbe dovuto informatizzare la gestione del flusso dei rifiuti speciali a livello nazionale e dei rifiuti urbani della Regione Campania.
Uno strumento semplice ma partito a singhiozzo
Già nel 2000 la Agenzia Ambientale nazionale (ANPA), poi non a caso abolita dal governo Berlusconi, aveva brevettato “CheckRif“, strumento semplice (paragonabile al POS per i Bancomat) che il Comandante dei NOE portò come contributo italiano al G20 ‘Polizie’.
Tale sistema, connesso ai Catasti Regionali Rifiuti e all’Albo Nazionale Gestori, in tempo reale verificava i passaggi dal produttore del rifiuto al trasportatore fini allo smaltitore finale: ogni mese le imprese, anziché dover compilare registri cartacei, avrebbero ricevuto il proprio “estratto conto” circa la movimentazione ed il destino dei propri rifiuti.
L’abrogazione, attraverso il Decreto “Semplificazioni”, del Sistri, strumento partito a singhiozzo, tra polemiche, ritardi e costi assai elevati, solo tra il 2013 e il 2014, non deve tradursi in resa dello Stato rispetto all’obiettivo prioritario della tracciabilitá dei flussi di rifiuto nella patria delle ecomafie, delle terre dei fuochi e del turismo dei rifiuti.
Si pensi solo al governo e controllo dei flussi di smaltimento dei rifiuti speciali in Italia e all’estero, 4 volte superiori a quelli urbani: 130,6 milioni di tonnellate provenienti dal circuito industriale e produttivo, a fronte di 30 milioni di tonnellate, ogni anno.
Un’abrogazione che fa felice molti
C’è chi plaude all’abrogazione, dopo aver fatto di tutto per non vedere mai entrare in funzione il sistema. Il colonnello Sergio De Caprio (noto ai più come “Capitano Ultimo”) ricorda bene l’aggressione con centinaia di migliaia di accessi telematici il giorno dell’avvio sperimentale del sistema, per farlo collassare, così come il generale Mario Morelli, all’epoca a capo del Comando Logistico Sud dell’Esercito presso le cui officine si montavano gli apparati per il controllo remoto sui camion destinati al trasporto dei rifiuti campani, ricorda bene come in poche ore quegli apparati venissero distrutti a martellate.
A maggior ragione oggi, in piena #guerradeirifiuti, dovrebbe essere evidente, da nord a sud, che non è possibile sconfiggere la sfida allo Stato da parte di ecomafie e tangentari vecchi e nuovi anelanti a profitti criminali da finte emergenze rifiuti, ricorrendo alle proprie discariche illegali, agli obsoleti inceneritori, al giro vorticoso del turismo dei rifiuti, senza un vero sistema di tracciabilità per i rifiuti urbani e speciali.
Il controllo delle banche dati e il controllo del territorio sono la prima arma contro i mali che affliggono la gestione dei rifiuti in Italia: corruzione, ecomafie, crimine d’impresa. Non sostituire nulla ai documenti cartacei che permettono il “giro bolla” e la sostituzione o falsificazione dei codici CER accertata da centinaia di inchieste della magistratura non è un passo avanti nella lotta all’illegalità.
Un business superiore alla cocaina
Intanto, continuano ad andare a fuoco le piattaforme di raccolta dei rifiuti al nord come al sud, dalla Lombardia alla Campania fino alla Capitale.
Il Procuratore Nazionale Antimafia Cafiero De Raho aveva già confermato a Valori, alla presentazione del rapporto Ecomafia di Legambiente che, nel 2018, «i rifiuti rappresentano ancora il maggior business per le mafie, più della cocaina».
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Ma tanto rimane da fare, ad ogni livello, se come ha fatto notare la relazione della Commissione Bicamerale sul Ciclo dei Rifiuti, «nell’ambito dei procedimenti penali instaurati, potrebbe risultare di particolare utilità la condivisione di protocolli investigativi, con diffusione su base nazionale delle migliori prassi e omogeneità negli accertamenti e nell’esercizio dell’azione penale».
Concetto ribadito a Valori proprio dal procuratore nazionale della DNA: Il sistema del “crimine d’impresa” è sceso a patti, da nord a sud, con la malavita organizzata, facendo cartello e vincendo appalti, in ogni parte dello Stivale.
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Servono intelligence e cittadini attivi
La guerra dei rifiuti si combatte, quindi, con la partecipazione attiva dei cittadini e con l’intelligence, incrociando tutte le banche dati non solo ambientali, ma anche quelle giudiziarie, con i controlli sui quantitativi che vengono strappati al circuito della differenziata e delle sue inefficienze.
Occorrerebbe più trasparenza anche su ciò che entra e ciò che esce dagli inceneritori: le multiutility che gestiscono il maggior numero di impianti in Italia (A2A, Hera, Iren, Acea) per le loro caratteristiche societarie sono escluse, ad esempio, dalla normativa per il Freedom Information Act, la legge che tutela il diritto di accesso agli atti amministrativi.
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Tutto questo, oltre che avere ricadute sull’ambiente e sulla salute delle popolazioni, ha forti ripercussioni sul portafoglio dei cittadini, tanto che nel giro di tre anni, ben tre Authority hanno indagato accertando inefficienze e illeciti nella filiera.
La lievitazione dei costi e di appalti truccati ha indotto l’Autorità Nazionale Anticorruzione a introdurre nel Codice degli Appalti un nuovo capitolo interamente dedicato alla gestione dei rifiuti, a breve in Gazzetta Ufficiale.
Arera, la nuova Autorità di regolazione per energia e reti e ambiente, ha in corso l’indagine nazionale per definire «un sistema tariffario certo, trasparente e basato su criteri predefiniti» facendo seguito alla precedente dell’Antitrust del 2016, che già aveva denunciato inefficienze del sistema nella prima indagine conoscitiva sui rifiuti solidi urbani.
https://www.facebook.com/Valori.it/videos/2206100232753381/
Il sistema è ancora troppo complesso
Intanto con l’articolo 206 bis del Testo Unico dell’ambiente sono stati aboliti gli osservatori rifiuti regionali e le funzioni di vigilanza sono state trasferite al Ministero dell’Ambiente, mentre spetta a Ispra e alle Agenzie regionali per l’Ambiente intensificare i controlli grazie all’applicazione delle legge 132/2016. Così come è Ispra, con la sezione Catasto Rifiuti a monitorare e raccogliere in un’unica banca dati le informazioni provenienti da comuni, agenzie per l’ambiente e consorzi di riciclo.
Sempre secondo il Collegato ambientale, all’articolo 199, sono le Regioni che devono pubblicare i piani regionali e il loro stato di attuazione, a partire dalla informazione circa produzione totale e pro capite dei rifiuti solidi urbani suddivisa per ambito territoriale ottimale, se costituito, ovvero per ogni Comune.
Tutta questa mole di dati è raccolta in una sezione del sito del Ministero dell’Ambiente, anche perché la mancata applicazione dei piani regionali è soggetta all’applicazione delle procedure di infrazione dell’Unione Europea.
Monitoraggio dei piani regionali rifiutiUn sistema ancora troppo complicato, che continua a permettere troppi varchi dove malavita, ecomafie e trafficanti possono infiltrarsi. Una cosa è certa: stando così le cose chi perde la guerra dei rifiuti sono lo Stato e i suoi cittadini. In termini economici, di salute e di tutela dell’ambiente.
* Ambientalista, docente, scienziato membro Onorario del Comitato Scientifico dell’Agenzia europea dell’ambiente, cofondatore di Legambiente ed ex presidente di Greenpeace Italia. Dal 2014 è direttore generale di Arpa Umbria.