Tre stilisti fanno causa a Shein: copia attraverso l’intelligenza artificiale

L'algoritmo di Shein, il colosso cinese di fast fashion, elimina la componente umana dalla fase creativa. E copia modelli altrui

Shein è accusata per le sue pratiche commerciali © Ben Berwers/Unsplash

Dietro al successo straordinario di Shein, la piattaforma di ultra fast fashion che ha conquistato la Generazione Z, si cela un sofisticato algoritmo di intelligenza artificiale. Un cervello digitale che coordina la produzione e le vendite, prediligendo un approccio predittivo basato sullo studio approfondito delle abitudini degli utenti. Ma anche sul “furto” delle opere altrui, tanto da spingere tre stilisti americani a denunciare il colosso cinese.

Cos’è Shein, l’ultra fast fashion di origine cinese

Forse poco noto al di fuori della Gen Z, Shein è un marchio che ha visto la luce già nel 2008, fondato dall’imprenditore cinese Chris Xu. Originariamente concepita come un’azienda business to consumer, Shein ha evoluto la sua presenza su scala globale nel settore del fast fashion. O meglio, dell’ultra fast fashion. Se infatti un brand di fast fashion porta sul mercato tra le 10 e le 24 collezioni l’anno, Shein sforna tra i 35mila e i 100mila capi al giorno.

Ciò che colpisce, però, è il trionfo ottenuto a maggio 2021, quando l’app di Shein ha superato persino Amazon nel numero di download nella categoria “Shopping” sull’App Store di iOS e Android negli Stati Uniti. Questo fenomeno è stato accompagnato da una notevole crescita economica. Il fatturato ha fatto un balzo dagli 4,5 miliardi di dollari del 2019 ai 20 miliardi del 2021, proiettando il colosso cinese verso una possibile quotazione in Borsa, con previsioni di superare gli introiti di marchi ben noti come Zara.

L’algoritmo di intelligenza artificiale che orienta la produzione

Shein si distingue dagli altri e-commerce di abbigliamento, come Zalando o Yoox, e trova un analogo in Amazon per quanto riguarda le dinamiche di business. Non è semplicemente un marchio di abbigliamento, ma piuttosto un hub che raduna oltre 6mila aziende cinesi operanti nel settore. Un software proprietario regolamenta la produzione basandosi su un algoritmo che attinge dati dal web e analizza le preferenze degli utenti. Così facendo, prevede i trend e anticipa le richieste del mercato.

Lo sterminato e discusso store di moda cinese low-cost, quindi, si basa solo sulle indicazioni dell’intelligenza artificiale per disegnare capi e accessori a ciclo continuo. In altre parole, elimina l’elemento umano dalla fase creativa. Dopo l’analisi delle ricerche di milioni di utenti, infatti, invia segnalazioni a uno staff interno di stilisti, incaricati di creare (o, meglio, copiare) le nuove proposte.

Una volta che i prototipi vengono proposti sulla piattaforma di vendita, l’algoritmo monitora l’interesse degli utenti, raccogliendo ulteriori dati sui comportamenti d’acquisto. In presenza di un incremento nelle vendite di un determinato capo, è sempre l’algoritmo a ordinare un aumento della produzione. Questo sofisticato sistema gestisce anche la visibilità dei nuovi capi in home page, suggerendoli ai potenziali acquirenti.

L’impatto ambientale e sociale della moda usa e getta è enorme

Essendo una piattaforma dedicata principalmente ai giovani, Shein adotta strategie di comunicazione allineate alle abitudini del suo target principale. TikTok, con il suo miliardo di utenti mensili globali di cui il 66% ha un’età compresa tra i 16 e i 24 anni, rappresenta il principale mezzo di promozione del brand. Sebbene il coinvolgimento di influencer professionisti sia un elemento chiave nella rapida ascesa della popolarità del marchio, Shein va oltre. Perché offre a chiunque la possibilità di diventare ambassador, mostrando i propri acquisti per invogliare gli amici a fare altrettanto.

Una dinamica inarrestabile, non priva di conseguenze etiche e ambientali. L’indagine condotta dall’ong Public Eye ha messo in luce le condizioni inaccettabili a cui sono sottoposti gli operai che producono i capi per Shein. Spesso lavorano all’interno di piccoli laboratori, noti come “handshake building”, dove le normative sulla sicurezza sul lavoro vengono sistematicamente ignorate. I dipendenti affrontano turni estenuanti, restando in fabbrica fino a 75 ore settimanali con un solo giorno di riposo al mese.

Altri pesanti dubbi, poi, ricadono sulla sostenibilità ambientale del modello Shein. In un periodo in cui sempre più aziende di moda adottano politiche di economia circolare per ridurre i rifiuti, il 70% dei prodotti Shein ha una vita utile inferiore a 3 mesi. La possibilità che vengano rivenduti, riutilizzati o riciclati è bassissima, perché sono composti da materiali sintetici di scarsa qualità. Oltretutto, anche nell’Unione europea (il mercato più avanzato da questo punto di vista) ancora oggi l’87% dei rifiuti tessili finisce in discarica o inceneritore.

Il lato oscuro del successo di Shein

Tre stilisti fanno causa a Shein per violazione della proprietà intellettuale

L’uso dell’intelligenza artificiale da parte di Shein suggerisce che il design algoritmico nel campo della moda potrebbe facilitare la copia su scala industriale, aggravando la sovrapproduzione e il sovraconsumo. Intanto, nel luglio 2023, tre stilisti indipendenti statunitensi, Krista Perry, Larissa Martinez e Jay Baron, hanno intentato una causa contro l’azienda cinese. Accusandola di aver commesso una «sistematica violazione criminale della proprietà intellettuale» guidata dall’intelligenza artificiale.

Nella loro denuncia, il trio di artisti sostiene inoltre che Shein disponga di un algoritmo “segreto” che utilizza per manipolare i dati di mercato, i risultati delle ricerche e allontanare ingiustamente i concorrenti, dando luogo a pratiche monopolistiche. A detta loro, «l’intelligenza artificiale di Shein è abbastanza intelligente da appropriarsi indebitamente dei pezzi con il maggior potenziale commerciale», mettendo in crisi il lavoro di migliaia di stilisti, non solo americani. Un dibattito destinato a durare a lungo e a ripetersi anche in altri settori.