L’appello: usiamo i soldi delle spese militari per combattere la crisi climatica
L'aumento delle spese militari è inutile e controproducente: lo affermano Greenpeace Italia, Sbilanciamoci e Rete Italiana Pace e Disarmo
Era in corso la Cop15 di Copenaghen, nel 2009, quando i Paesi industrializzati si sono impegnati a stanziare 100 miliardi di dollari l’anno per aiutare quelli in via di sviluppo ad affrontare la crisi climatica. Questa promessa doveva essere rispettata nel 2020. Forse, ma non è ancora sicuro al 100%, lo sarà nel 2023. Nel frattempo, però, i soldi per le spese militari non sono mai mancati. Anzi, nel 2022 hanno toccato il loro record assoluto di 2.240 miliardi di dollari complessivi. Questo paradosso è al centro dell’appello lanciato da Greenpeace Italia, Sbilanciamoci e Rete Italiana Pace e Disarmo in una conferenza stampa al Senato, in concomitanza con il vertice NATO che si è tenuto a Vilnius tra l’11 e il 12 luglio.
Le spese militari aumentano (e non aiutano la pace)
Nel 2022, l’anno in cui è scoppiata la guerra in Ucraina, le spese militari globali hanno raggiunto i 2.240 miliardi di dollari complessivi. Una cifra che cresce del 3,7% in termini reali rispetto all’anno precedente, toccando un record assoluto. È quanto fa sapere l’Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma (Sipri). L’Europa è protagonista di questa tendenza, con +13% anno su anno: non si assisteva a un aumento simile dalla fine della Guerra Fredda. La nostra Italia non si tira indietro, anzi. L’Osservatorio Mil€x parla di spese militari (incluse quelle pensionistiche) pari a 25,7 miliardi di euro previsionali del 2022. E destinate di salire di altri 800 milioni nel 2023, raggiungendo dunque i 26,5 miliardi di euro.
Una giustificazione molto comune vuole che le spese militari fungano da deterrente. I dati però smentiscono questa tesi. Il Global Peace Index descrive un mondo in cui negli ultimi 15 anni i conflitti sono aumentati del 14% e il tasso di sicurezza è sceso del 5,4%. Nel 2022, ben 237mila persone sono morte a causa della violenza organizzata. Un numero che equivale alla popolazione di una città come Messina e quasi raddoppia rispetto al 2021 (+97%). Era dal genocidio del Ruanda del 1994 che non si registrava un dato del genere.
Guerra e crisi climatica, due fenomeni diversi ma correlati
Abbiamo ancora (poco) tempo a disposizione per garantire un futuro alle nuove generazioni, arginando la catastrofe climatica. Ma a quanto pare preferiamo usarlo per contribuire alla distruzione. E i due fenomeni, guerra e clima, sono in realtà più intrecciati di quanto non possa sembrare a uno sguardo superficiale. L’aumento delle spese militari «è incoerente con gli sforzi per raggiungere gli obiettivi essenziali di emissioni e aggraverà, non arginerà, l’emergenza climatica. La guerra e i conflitti armati non portano solo morte e distruzione, ma anche devastazione dell’ambiente e distruzione del clima», sostiene la Dichiarazione congiunta della Campagna internazionale contro le spese militari GCOMS.
«I fondi che potrebbero essere utilizzati per mitigare o invertire il dissesto climatico e per promuovere la trasformazione pacifica dei conflitti, il disarmo e le iniziative di giustizia globale, vengono invece spesi per militarizzare un mondo già troppo militarizzato», le fa eco Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana Pace e Disarmo. Portare le spese militari fino al 2% del Prodotto interno lordo (PIL) è dunque una scelta miope e controproducente, contro la quale si è già espressa la campagna Sbilanciamoci attraverso la sua Controfinanziaria.
La proposta: tassare gli extra profitti delle aziende della Difesa
Per qualcuno, la guerra è un affare. Stiamo parlando del variegato panorama di imprese nel settore della Difesa. Greenpeace Italia, grazie a un’analisi condotta in collaborazione con Merian Research, fa sapere che nel 2022 le principali aziende italiane esportatrici di armi hanno incassato profitti (in termini di utile netto) che, nel loro insieme, superano di oltre 380 milioni di euro quelli del 2021. Il balzo in avanti stimato, dunque, è del 55%. A fare la parte del leone è Leonardo che, da sola, ha prodotto l’86% di questi utili.
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«Di fronte alle entrate record delle aziende energetiche il governo italiano ha deciso di tassare gli extra profitti delle aziende fossili», fa notare Sofia Basso, Research Campaigner di Greenpeace Italia. «La richiesta ora è quella che siano tassati al 100% anche gli utili extra delle aziende della Difesa, perché nessuno possa beneficiare delle stragi di civili e di militari». Un’altra richiesta avanzata al governo da Greenpeace è quella di smettere di proteggere militarmente le infrastrutture legate alle fonti fossili. Nel 2022 tali missioni militari sono costate 830 milioni di euro. Soldi dei contribuenti spesi per salvaguardare gli interessi dei responsabili della catastrofe climatica.