Spread, perché l’Italia deve temerlo più di tutti (Grecia a parte)
Il differenziale Btp-Bund è ormai di 300 punti base. Per il nostro Paese una bomba a orologeria con due effetti: più tasse e meno welfare
A causa del suo debito pubblico monstre, ogni anno l’Italia deve rifinanziare mediamente circa 400 miliardi di euro, cercando creditori disposti ad acquistare i suoi titoli di Stato in scadenza. Una crisi di credibilità agli occhi degli investitori non porta che ad un aumento del rischio percepito e quindi ad un innalzamento dei tassi d’interesse necessari a “comprare” nuovo debito.
Annunci e scelte politiche pesano
In questo senso, le scelte politiche, anche solo annunciate dall’attuale governo, hanno portato a un allargamento consistente del differenziale esistente tra il rendimento garantito dai titoli di Stato decennali tedeschi (Bund) e gli omologhi italiani (Btp). Oggi la forchetta è stabilmente attorno ai 300 punti base e pochi scommettono che – senza cambi di rotta – non procederà ad un progressivo ulteriore aumento.
Già a parità di debito pubblico da rifinanziare rispetto agli altri Stati, la crescita dello spread dovrebbe preoccupare. Se poi si considera l’entità del debito italiano, cresciuto a dismisura negli ultimi decenni (a parte qualche raro caso virtuoso), l’allarme dovrebbe scattare ancora più forte.
Se infatti occorre maggiore denaro da destinare al rifinanziamento del debito pubblico, comprensibilmente sarà necessario controbilanciare tali maggiori esborsi in qualche modo: o aumentando le tasse o tagliando i servizi del welfare.
Ma la nostra situazione è davvero così preoccupante? Lo è, soprattutto comparandola a quella di altri Stati mediterranei “simili” all’Italia. E per una serie di altri fattori. Quali? Lo spiega l’economista Luciano Canova nella nuova puntata della sua videorubrica #Legonomics.
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* L’autore è PhD in economia e divulgatore scientifico. Collabora con il Master MEDEA (Management ed Economia dell’Energia e dell’Ambiente) della Scuola Enrico Mattei. Tra i suoi libri: “Scelgo, dunque sono. Guida galattica per gli irrazionali in economia” (ed. Egea, 2016) e “Pop Economy – #Gamification – #Crowfunding – #Big Data” (Hoepli, 2015).