Stipendi inglesi, meglio 42 ore da CEO che un anno da lavoratore medio
Due ricerche indipendenti calcolano: nel Regno Unito, un amministratore delegato in tre giorni di lavoro guadagna come un lavoratore britannico medio in 12 mesi
Quella del CEO pay ratio è, almeno per ora, una rivoluzione mancata. I primi dati che giungono dal Regno Unito a proposito del rapporto tra la retribuzione degli amministratori delegati (il Chief Executive Officier) e la retribuzione mediana di tutti dipendenti che, entro i confini del Paese, lavorano per le loro imprese fotografano una battaglia dura da vincere.
Nella nazione scossa dai tumulti politico-economici scatenati dal voto sulla Brexit la disuguaglianza, invece di ridursi, è sempre più certificata. A partire dal 1° gennaio 2019 la legge rende infatti obbligatorio alle società quotate in Borsa con oltre 250 dipendenti di rivelare tale proporzione. E però, come già non era accaduto negli USA, dove questa norma è entrata in vigore un anno prima, con grandi aspettative (e qualche timore) di indignazione e protesta, nessun gilet coi colori dell’Union Jack invade ancora Regent Street.
Eppure di motivi ce ne sarebbero per scatenare la rabbia popolare: tra le prime notizie del 2019 infatti, una metteva nero su bianco un’eclatante disuguaglianza economica tra gli occupati britannici.
Retribuzione dei CEO: disuguaglianze inaccettabili. Tutte nero su bianco
Il “fat cat friday”
Nei primi quattro giorni di lavoro dell’anno gli amministratori delegati di alcune tra le maggiori aziende di Sua Maestà, quelle inserite nel listino FTSE 100, avevano già guadagnato quanto gran parte dei loro connazionali avranno percepito solo alla fine dell’anno.
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Anzi, per l’esattezza, all’amministratore delegato (Ad) di quelle imprese, che nel 2017 ha percepito mediamente 3,9 milioni di sterline (oltre 4,3 milioni di euro), è bastato lavorare fino alle ore 13 del 4 gennaio per guadagnare 29.574 sterline (circa 33.200 euro). Ovvero l’equivalente dello stipendio annuo lordo medio di un lavoratore a tempo pieno nel Regno Unito.
Siccome il quarto giorno del 2019 era un venerdì, è stato chiamato Fat Cat Friday, ovvero il venerdì del “gatto grasso”, riprendendo un nomignolo dispregiativo indirizzato a politici e ai manager ricchi e strapagati. E l’occasione è stata il rilancio di un’indagine pubblicata da due istituti indipendenti dediti al monitoraggio dei redditi più alti e ai temi dello sviluppo delle risorse umane, l’High Pay Center (HPC) e il Chartered Institute of Personnel and Development (CIPD).
Nessuna inversione di tendenza: per i CEO busta paga sempre più gonfia. Gli altri al palo
Lo studio denuncia una situazione insostenibile. Che si aggrava di anno in anno. La retribuzione mediana degli amministratori delegati delle compagnie FTSE 100, che – si precisa – lavorano in media 12 ore al giorno, è cresciuta dell’11% tra 2016 e 2017. Con una CEO pay ratio media passata da 59:1 a 145:1 in meno di vent’anni.
Tanto da suggerire – in un nuovo rapporto – la necessità di riformare gli organi decisionali delle imprese che sovrintendono ai compensi. Giustificando meglio i livelli delle paghe, semplificandone i criteri, per favorirne la revisione. Ma anche introducendo fattori di minore disequilibrio e persino valutazioni sociali e ambientali dei risultati. Ricordando che il «mito del “super talento” è un fattore che continua a generare salari eccessivi».
I primi della lista, e la beneficienza “desaparecida” dell’ex di Persimmon
Nel report del 2018 possiamo leggere la classifica dei 10 ad più pagati nel 2017. E tra i 47 milioni di sterline (52,8 milioni di euro) del primo, Jeff Fairburn, ora ex CEO del costruttore Persimmon, e i quasi 10,5 (11,2 milioni di euro) di Bob Dudley del colosso petrolifero BP, al decimo posto, la differenza è netta. Ma talvolta, a fare scalpore e generare indignazione nell’opinione pubblica, più che il compenso, sono certi bonus milionari concessi a questi megadirigenti.
C’è dunque da chiedersi quale straordinario “super talento” possa mai aver avuto proprio Jeff Fairburn per aver ricevuto un premio da 75 milioni di sterline (85,7 milioni di euro). Lo stesso premio che non solo ha determinato uno scandalo tale da portarlo alle dimissioni ma è stato capace di generare una rabbia che ha travalicato l’alveo dei soci della compagnia. Spingendo addirittura Fairburn ad impegnarsi per destinare una parte sostanziale della cifra contestata all’istituzione di un non precisato ente di beneficenza. Del quale tuttavia, a leggere «The Guardian», ancora non c’è alcuna traccia.
Una vicenda che ha messo Fairburn all’indice – in buona compagnia -, insomma. Tanto più dopo il commento dei dirigenti di Shelter, organizzazione britannica dedita a monitoraggio e assistenza del disagio abitativo. Shelter, ha ricordato all’ex manager costruttore che nel Regno Unito ci sono 320mila senzatetto, un record. E 597 sono state le persone morte per strada o in alloggi temporanei in Inghilterra e Galles nel 2017 (+24% in cinque anni).