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Compensi dei CEO: la ‘valanga trasparenza’ ora punta su Londra

Entro il 2020 le principali compagnie britanniche quotate dovranno pubblicare per legge i compensi CEO e dei loro massimi dirigenti. Il governo May si dice favorevole

Sulle retribuzioni dei CEO, la voglia di trasparenza che ha già investito le società USA sta per abbattersi su Londra e il Regno unito. E, chissà, potrebbe da lì contagiare altre Nazioni del Vecchio Continente.

Presentata al Parlamento di Westminster l’11 giugno 2018, è infatti in attesa di approvazione una proposta di legge che riguarda le imprese britanniche quotate in Borsa con più di 250 dipendenti. Una legge che, se passerà l’ostacolo del voto, entrerà in vigore dal primo gennaio 2019. E costringerà dal 2020 le compagnie a rendere pubbliche le paghe dei loro amministratori delegati e dei massimi dirigenti. Ma sarà utile anche per svelare il rapporto tra i compensi del top management e la media – non la mediana, come negli USA – degli stipendi dei loro occupati in terra inglese. Ovvero la cosiddetta CEO pay ratio.

Un’istanza di trasparenza già messa in pratica negli Stati Uniti grazie alle norme incluse nel Dodd-Franck Act. All’applicazione delle quali è seguito un carico di reazioni e malumori interni, talvolta di vera protesta e indignazione, per la rivelazione di sproporzioni inaccettabili tra i compensi.

CEO inglesi strapagati come in USA

All’appuntamento con la CEO pay ratio Londra arriva tra l’altro dopo un’analisi dello stato dell’arte poco lusinghiera. Una rilevazione prodotta dall’organizzazione professionale del settore risorse umane CIPD (Chartered Institute of Personnel and Development) e da High Pay Centre, un think tank indipendente.

Un lavoratore dipendente medio nel Regno Unito impiega 160 anni a guadagnare quello che un amministratore delegato percepisce in 12 mesi.

Secondo questo studio il rapporto tra lo stipendio medio di un amministratore delegato delle compagnie quotate al London Stock Exchange (la Borsa UK) nel listino FTSE 100 era 129 volte superiore a quello di un lavoratore medio nel 2016. Di più. Lo stesso lavoratore medio impiegato a tempo pieno in UK con uno stipendio di 28mila sterline guadagnerebbe in 160 anni quello che un CEO medio del FTSE 100 percepisce in 12 mesi (circa 4,5 milioni di sterline).

Cifre di scenario indigeste per molti, di sicuro. E ulteriormente acuite da alcuni casi specifici di aumenti da capogiro delle remunerazioni:

  • Pascal Soriot, CEO del gigante farmaceutico AstraZeneca, il cui compenso è cresciuto di quasi 5 milioni di sterline, raggiungendo i 13 milioni annui;
  • Albert Collold, amministrator delegato del colosso dell’edilizia infrastrutturale e industriale CRH, che ha raddoppiato la paga da 4,07 milioni di sterline a 8,05;
  • Nicandro Durante, di British American Tobacco, con il compenso cresciuto da 4,5 milioni di sterline a 7,6 milioni.

Protesta che monta

E allora, pur col tipico understatement britannico, si vedrà presto se azionisti, colleghi e opinione pubblica non avranno qualcosa da ridire, ad esempio, se un grande gruppo finanziario londinese si comportasse come la banca d’affari americana Citigroup nel 2017. Quando la retribuzione del CEO Michael Corbat è quasi raddoppiata in un solo anno, salendo a 23 milioni di dollari. La cifra ha determinato certo un’impennata dei suoi compensi ma ha fatto schizzare in su anche la CEO pay ratio.

Storie come quelle di Corbat hanno peraltro alimentato un sempre più diffuso movimento di critica a certe disparità. A dar loro voce ci pensano portali come Inequality.org. O analisi di stampa, come quella prodotta da McLean’s che, già nel 2014, metteva all’indice la situazione canadese e globale (da allora non certo migliorata sul piano delle disuguaglianze economiche).

infografica CEO pay ratio per alcuni Stati. Fonte McLean’s 2014

All’AD di Carnival 6 milioni in più in un anno

Gli amministratori delegati e le Big Corporations britanniche sono avvisate, insomma. Anche perché, come già negli USA, sui superstipendi pesa il fatto che spesso appaiono slegati dalle performance aziendali. E se proprio non ci sarà un Corbat di Sua Maestà, la riprovazione degli inglesi potrebbe indirizzarsi verso personaggi come Arnold Donald.

Il CEO della regina delle crociere Carnival nel 2016 ha infatti visto crescere la sua paga a poco più di 22 milioni di sterline. Un aumento da record rispetto ai soli 6 milioni che percepiva nel 2015. Ma soprattutto un aumento ricevuto proprio nell’anno in cui la giustizia USA aveva condannato la compagnia a pagare penali milionarie. 32 milioni di sterline per inquinamento deliberato dei mari e per azioni indirizzate a coprire tali pratiche.

Questione nazionale, il sì del premier May

Proteste a parte, in attesa che diventi legge il tema è stato sviscerato ai massimi livelli. Con un “libro verde” (il green paper) di proposte e il parere favorevole del Governo e dello stesso premier Theresa May. E opinioni di peso come quella del ministro al Commercio e Industria Greg Clark.

«Comprendiamo la rabbia dei lavoratori e degli azionisti quando la paga dei capi non è al passo con le prestazioni della compagnia», avrebbe detto Clark.

Precisando che le nuove leggi non solo migliorerebbero la trasparenza e aumenterebbero il potere di verifica di azionisti e lavoratori, ma contribuirebbero a «costruire un’economia più equa».

Anche perché, al di là dei numeri dei compensi e della pay ratio, dal 2020 le maggiori aziende britanniche quotate dovranno rispondere a ulteriori obblighi di maggior trasparenza:

  • fornire una spiegazione più chiara dei risultati connessi alle retribuzioni e comunicare le proprie disposizioni in materia di governo societario (la governance);
  • riferire su come i loro amministratori prendono in considerazione l’interesse dei dipendenti e degli stakeholders;
  • mostrare quale effetto produca sul compenso del CEO e della dirigenza un aumento di prezzo delle azioni della società, per rendere consapevoli gli azionisti chiamati a votare i piani di incentivazione a lungo termine.