Stop alla plastica monouso: tutto quello che c’è da sapere

L’Europa mette al bando la plastica monouso contro il “marine littering”, anche se biodegradabile. In Italia la transizione non sarà semplice

Anche l'Italia non è esente dal marine littering ovvero l'inquinamento da rifiuti di plastica restituiti dal mare sulle nostre spiagge © Simona Balconi /iStockphoto

Il 3 luglio 2021 entra in vigore la direttiva 904 Single Use Plastic (Sup) varata dal Parlamento Europeo nel 2019. Bandisce cannucce, piatti e stoviglie, cotton fioc in plastica e impone la forte riduzione di altri oggetti come le tazze per bevande e alcuni contenitori in plastica monouso per alimenti. Anche l’Italia, primo Paese produttore di manufatti in plastica dell’area mediterranea, e secondo in Europa dopo la Germania, dovrà adeguarsi. Mentre la plastic tax entrerà in vigore dal primo gennaio 2022, il governo italiano deve obbligatoriamente approvare sul fil di lana il decreto legislativo di recepimento della direttiva europea. Pena il possibile scatto della procedura d’infrazione, entro il 3 luglio.   

Divieto per tutte le plastiche e le bioplastiche monouso 

Un divieto che il Parlamento e l’Unione Europea hanno esteso non solo ai prodotti realizzati con i polimeri di sintesi, provenienti dal petrolio, ma anche le bioplastiche compostabili. Insieme a piatti e bicchieri in carta o cartone impermeabilizzati con film plastico. La definizione di plastica riportata all’art. 3 comma 1 della direttiva 904/2019, infatti, esclude i soli «polimeri naturali che non sono stati modificati chimicamente». Mentre le principali bioplastiche derivano da polimeri naturali modificati chimicamente realizzati a partire dagli zuccheri presenti nel mais, barbabietola, canna da zucchero. E sono pertanto inclusi nel perimetro di applicazione della direttiva. 

Nell’immediato, almeno in Italia, non cambia ancora nulla

Cosa cambia nell’immediato per il cittadino-consumatore italiano? Al momento nulla, in quanto gli oggetti di plastica ritenuti più dannosi per l’ambiente potranno essere venduti ancora, anche se a esaurimento scorte, fino alla loro totale messa al bando. Ma l’entrata in vigore della Sup è un atto concreto verso l’attuazione della Plastic Strategy europea. Percorso avviato nel 2018 che dovrà portare gradualmente tutti gli Stati membri all’abbandono della plastica usa e getta e a un drastico calo nello sfruttamento di materie prime non rinnovabili. Il tutto nell’ottica più ampia della Circular Economy, così come anche ribadito nella risoluzione del Parlamento europeo del 10 febbraio scorso, alla Commissione europea.

Azione che ci riguarda molto da vicino e che si è resa necessaria per contrastare la proliferazione indiscriminata del marine lettering. Fenomeno da cui non è esente il Vecchio Continente, né tanto meno la nostra penisola, come le mareggiate di plastica nei mesi scorsi tra Roma Fiumicino e Napoli ci hanno ricordato. Secondo i dati del Joint Research Center Ue, l’84% di rifiuti che vengono restituiti dal mare all’uomo sulle spiagge europee è costituito da materie plastiche. 

Rifiuti nelle spiagge europee: l’84% è di plastica © Top Marine Beach Litter Items – Joint Research Center – Commissione Ue

Nuovi criteri di progettazione e responsabilità estesa per i produttori 

Ma cosa succederà ai produttori? Intanto la direttiva impone alle aziende produttrici nuovi requisiti di progettazione per i contenitori in plastica compositi per bevande. I tappi e i coperchi in plastica dovranno essere attaccati ai relativi contenitori. Le bottiglie in PET dovranno contenere almeno il 30% di materiale riciclato entro il 2030. Così come gli obiettivi di raccolta differenziata per le bottiglie in plastica con capacità fino a tre litri dovranno salire al 90% entro il 2029. 

Non solo. Viene istituito il regime di responsabilità estesa del produttore (EPR) per i filtri per prodotti a base di tabacco, palloncini, salviette umidificate e attrezzi da pesca. L’estensione della responsabilità sarà anche finanziaria per i produttori degli imballaggi. Prevede, infatti, la definizione dei costi necessari per la rimozione dei relativi rifiuti dispersi nell’ambiente e per il successivo trasporto e trattamento. 

Per un’applicazione coordinata della Sup, la Commissione ha emesso il 31 maggio scorso delle linee guida, anche in merito all’utilizzo di materiali in plastica, come reti e altri manufatti da parte del settore ittico.  Ribadendo che «tali norme mirano a ridurre i rifiuti marini derivanti dai prodotti di plastica monouso e dagli attrezzi da pesca». E servono quindi «a promuovere la transizione verso un’economia circolare basata su modelli commerciali, prodotti e materiali innovativi e sostenibili». 

Sottolineando che «nel contesto del nuovo piano d’azione per l’economia circolare, la Commissione prevede di sviluppare nel 2022 un quadro politico sull’uso della plastica biodegradabile o compostabile, basato su una valutazione delle applicazioni in cui tale uso può essere vantaggioso per l’ambiente e dei criteri per tali applicazioni». 

Perché in Italia si contesta la direttiva Sup 

In Italia il disegno di legge di delegazione europea 2019-2020 approvato da Senato e Camera, e che reca delega al governo per il recepimento della direttiva Sup entro il 3 luglio 2021, ha avuto un iter convulso e concitato, specie negli ultimi mesi. Il testo della legge  53/21 riprende punto per punto la direttiva europea, tranne che negli articoli 4 e 5. In particolare contiene un emendamento, promosso dal senatore Andrea Ferrazzi, diventato oggetto di discordia tra Roma e Bruxelles. Ma anche tra i vari portatori d’interesse nel nostro Paese. Sia all’interno di Confindustria, tra i produttori di materie plastiche e bioplastiche, che tra le associazioni e i movimenti ambientalisti che hanno preso diverse posizioni.  

Emendamento che riabilita, almeno parzialmente, i biopolimeri, «ove non sia possibile l’uso di alternative riutilizzabili per alimenti». Consentendo «l’immissione nel mercato dei prodotti qualora realizzati in plastica biodegradabile e compostabile (UNI EN 13432) e con percentuali di materia prima rinnovabile superiori al 50%». Iniziativa per nulla gradita alla Commissione europea tanto che il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha dovuto confrontarsi con il vicepresidente della Commissione europea, Franz Timmermans, nelle scorse settimane. 

Non basta sostituire la plastica con le bioplastiche: parola di Greenpeace 

Ma la sostituzione con l’usa e getta di plastica da fonti fossili con la plastica monouso biodegradabili e compostabili da fonti rinnovabili, come ha ribadito in una nota di risposta a Eco dalle Città la stessa Commissione europea, non può essere data per scontata. E potrebbe, invece, esporre il nostro Paese a una procedura di infrazione. Come si legge nella nota della Commissione, la stessa ribadisce come bisogni «dare priorità alla riduzione, al riutilizzo e al riciclaggio della plastica prima di considerare la biodegradazione». 

Secondo le raccomandazioni di Greenpeace al governo italiano, contenute nel report «Dalla riduzione del monouso in plastica alla riduzione del monouso», a cura dell’esperto di economia circolare Paolo Azzurro, bisogna, invece, mirare al progressivo abbandono dell’usa e getta fatto con qualsiasi tipo di materiale. Specie nella somministrazione di alimenti e bevande, sia per il consumo sul posto che da asporto. Per fare ciò, secondo l’organizzazione ambientalista, bisogna definire incentivi economici per i nuovi modelli di business, già possibili, basati sull’utilizzo di prodotti riutilizzabili e sulla vendita di prodotti sfusi. 

Legambiente: Italia leader della bioeconomia 

Mentre, d’altro canto, il presidente di Legambiente Stefano Ciafani ha ribadito come lo schema di decreto legislativo italiano sulla Sup, «vada nella giusta direzione e riconosca all’Italia la leadership internazionale su bioeconomia, produzione di plastiche compostabili, raccolta differenziata dell’umido domestico e filiera industriale del compostaggio».

Legambiente non ritiene corretta l’esclusione delle bioplastiche compostabili. E ricorda come il modello italiano, che ha sostituito le buste di plastica con quelle biodegradabili, «ha permesso di ridurre i sacchetti per l’asporto merci di quasi il 60% dopo il bando entrato in vigore circa 10 anni fa». 

Silvia Ricci dell’associazione Comuni Virtuosi: ripensare i nostri gesti quotidiani

Ma c’è sempre una terza via. Secondo l’esperta Silvia Ricci, dell’associazione Comuni Virtuosi, interpellata da Valori, «la transizione o meglio l’exit strategy dal consumo “usa e getta”, non passa dalla semplice sostituzione di materiali, ma da un ripensamento dei nostri gesti quotidiani».  Certo non sarà un passaggio indolore, per nessuno, consumatori, aziende, istituzioni, ma gli esempi ci sono già nel resto d’Europa, conferma.

«Il problema si farà sentire nei locali di somministrazione cibo e bevande piccoli e non attrezzati», ribadisce. «Ma anche in questi casi c’è spazio per nuovi fornitori di servizi nel modello PaaS “product as a service”. Possono fornire stoviglie durevoli pulite e ritirare quelle sporche facendo pagare una commissione per consumo che può costare meno dell’articolo monouso».  

Quello che è sicuro è che ognuno di noi si dovrà impegnare nel quotidiano. Sommersi, letteralmente, dalla plastica, lo siamo già.