Più vicino il rinvio dell’obbligo di rendicontazione di sostenibilità per le imprese europee
Il Parlamento europeo approva la procedura d’urgenza per lo stop the clock, il rinvio della rendicontazione di sostenibilità ai sensi della CSRD
Dopo l’ok del Consiglio sul mandato negoziale, martedì 1° aprile il Parlamento europeo ha dato il via libera – con 427 voti favorevoli, 221 contrari e 14 astenuti – alla procedura d’urgenza per il cosiddetto stop the clock. Vale a dire il rinvio di due anni degli obblighi di rendicontazione di sostenibilità previsti dalla CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) per le imprese che rispettano determinati parametri in termini di dimensioni e fatturato. È uno dei tanti tasselli che compongono il pacchetto Omnibus. Uno di quelli che la Commissione europea si aspetta procedano senza troppi ostacoli.
Come cambia la rendicontazione di sostenibilità con il pacchetto Omnibus
Attraverso il pacchetto Omnibus, la Commissione europea semplifica drasticamente il corpus normativo sulla sostenibilità che ha edificato nel precedente quinquennio. Tra le direttive che rischiano di andare incontro a un clamoroso ridimensionamento c’è proprio la CSRD. Il testo impone alle imprese di redigere la dichiarazione di sostenibilità e pubblicarla all’interno della Relazione sulla gestione sottoponendola a una revisione esterna, per quanto “leggera” (limited assurance). All’epoca era stata salutata come una rivoluzione, perché standardizzava il processo di rendicontazione e lo allargava a quasi 50mila imprese, contro le 11.700 che erano già sottoposte alla precedente Non-Financial Reporting Directive (NFRD).
Se alcuni capisaldi (come il principio di doppia materialità) restano inalterati, su molti altri il pacchetto Omnibus suona come una marcia indietro. Gli standard di rendicontazione diventano più basici, la quantità e la qualità di informazioni da richiedere ai fornitori diminuisce, si restringe il perimetro di imprese tenute a rendicontare le attività allineate alla tassonomia. Soprattutto, tutti questi obblighi tornano ad applicarsi soltanto alle aziende più grandi. La nuova soglia è di mille dipendenti e 50 milioni di euro di fatturato o 25 di stato patrimoniale. Così facendo dunque non sarebbero più 50mila, ma circa 10mila.
La procedura d’urgenza sullo stop the clock
La modifica di una direttiva, però, è un processo lungo e dall’esito tutt’altro che scontato. Nel frattempo, le grandi imprese di interesse pubblico (la cosiddetta Wave 1) già quest’anno devono presentare la rendicontazione ai sensi della CSRD, basandosi sui dati dell’esercizio precedente. Altre dovrebbero iniziare a breve ma – ipotizzando che tutte le modifiche del pacchetto Omnibus siano approvate nella loro forma attuale – rischiano di veder decadere l’obbligo. Si tratta delle imprese della cosiddetta Wave 2 (grandi società non quotate che soddisfano due di questi criteri: 50 milioni di euro di fatturato, 25 milioni di euro di stato patrimoniale, 250 dipendenti) e della Wave 3 (Pmi quotate).
Da qui l’idea di concedere una dilazione di due anni, lo stop the clock appunto. Per la Wave 2, la rendicontazione partirebbe nel 2028 e non più nel 2026; per la Wave 3, nel 2029 e non più nel 2027. Proprio sullo stop the clock il Parlamento ha approvato la procedura d’urgenza. Scorporandolo, in sostanza, dagli altri interventi e attribuendogli una corsia preferenziale. Il voto del Parlamento, dunque, sarà già giovedì 3 aprile: a quel punto mancherà soltanto l’approvazione formale da parte del Consiglio. «Siccome sul pacchetto Omnibus c’è divisione, si procede prima sullo stop the clock, con l’obiettivo di arrivare a un accordo prima della pausa estiva», spiega a Valori Mauro Albrizio, responsabile dell’ufficio di Legambiente a Bruxelles.
Le normative sulla sostenibilità smantellate ascoltando le lobby
Albrizio preferisce non sbilanciarsi troppo sulle previsioni sui possibili orientamenti dell’Europarlamento. Anche perché, come ricorda peraltro il Deregulation Watch, questo è solo il primo di una serie di pacchetti Omnibus che la Commissione europea intende presentare entro fine anno. E che rischiano di indebolire numerose norme ambientali, esistenti e future. Tra gli osservati speciali c’è anche il regolamento REACH sulle sostanze chimiche, da tempo al centro di varie speculazioni. Sembra che già questo primo pacchetto Omnibus stia preparando il terreno, perché apre alla modifica di alcuni criteri della tassonomia ambientale che chiedono alle aziende di segnalare e valutare la presenza e l’uso di determinate sostanze chimiche.
La Commissione propone tutti questi cambiamenti senza una consultazione pubblica, denuncia una coalizione di ong guidata da Reclaim Finance. Per prepararsi alla presentazione del primo pacchetto Omnibus ha preferito organizzare incontri a porte chiuse con pochi, selezionati interlocutori. Come risultato, continuano le ong, alcune disposizioni ricalcano molto da vicino i documenti redatti da alcune potenti associazioni di categoria. Come Business Europe, la Camera di commercio statunitense (AmCham), l’italiana Confindustria e la sua omologa transalpina Medef, la Federazione dell’industria tedesca, la Federazione bancaria francese.
Una deregulation sfrenata rischia di nuocere anche alle imprese
La Commissione europea difende il pacchetto Omnibus parlando di un risparmio annuo di 6,3 miliardi di euro all’anno in costi amministrativi. E della possibilità di mobilitare investimenti pubblici e privati per altri 50 miliardi di euro. Ma è stata la stessa Commissione a dire che l’applicazione e il rispetto delle leggi ambientali possono far risparmiare all’economia europea circa 55 miliardi di euro annui in costi ambientali e sociali. Insomma, l’argomentazione del presunto vantaggio economico non sta in piedi, a detta delle centinaia di ong, associazioni e sindacati che stanno facendo fronte comune contro la minaccia di una vasta deregolamentazione ambientale e sociale.
«C’è anche una parte più progressista del mondo delle imprese che chiede certezze», ricorda Albrizio. «Prorogare alcuni adempimenti significa rimandare i problemi: così facendo, però, non si costruisce un percorso credibile agli occhi degli investitori. È lo stesso errore che l’Europa ha fatto sulle fonti rinnovabili, sulle batterie, sull’auto elettrica: tergiversando, ha regalato un grande vantaggio competitivo alla Cina. Per attrarre gli investitori bisogna definire regole certe. Bisogna decidere se guardare al futuro o restare ancorati a un vecchio modello industriale novecentesco».