Stop Trade with Settlements: la campagna contro il commercio con le colonie israeliane
Una nuova campagna internazionale chiede di vietare il commercio con le colonie israeliane illegali, per difendere diritti e futuro dei palestinesi
L’occupazione israeliana della Cisgiordania costa ogni anno miliardi di dollari all’economia palestinese. Mentre la povertà è aumentata dal 12% al 28% negli ultimi 2 anni, con un tasso di disoccupazione raddoppiato da ottobre 2023 e arrivato al 35%. Gli espropri di aree sempre più vaste, le demolizioni, gli sfollamenti forzati e l’ampliamento degli insediamenti dei coloni israeliani (illegali secondo il diritto internazionale) hanno un impatto sempre più drammatico sulla capacità di sussistenza delle comunità palestinesi, ma i governi e le imprese dell’Ue e del Regno unito continuano ad alimentare questa situazione.
È quanto denunciato da Oxfam, insieme ad una alleanza di decine di organizzazioni umanitarie e della società civile, che lanciano oggi un rapporto e la nuova campagna “Stop Trade with Settlements” (Stop al commercio con gli insediamenti illegali), che chiede all’Italia, all’Unione europea, agli altri Stati membri e al Regno Unito di adottare misure concrete per vietare gli scambi commerciali con gli insediamenti dei coloni israeliani in Cisgiordania occupata (compresa Gerusalemme est).
Obiettivo della campagna: vietare il commercio con gli insediamenti illegali
A un anno esatto dal voto dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che ha chiesto a Israele di porre fine entro settembre 2025 all’occupazione illegale e di ritirarsi dai Territori Occupati Palestinesi, è sotto gli occhi di tutti come la risposta di Israele, in totale sfregio a quanto richiesto dalla comunità internazionale, si sia tradotta in ulteriori piani di espansione. Allo stesso tempo è più che mai evidente quanto l’occupazione illegale, complici anche il commercio e gli investimenti esteri con gli insediamenti, sia alla radice di un’immane crisi umanitaria.
«Negli ultimi anni l’oppressione di Israele sulle comunità palestinesi è diventata sempre più soffocante. – spiega Paolo Pezzati, portavoce per le crisi umanitarie di Oxfam Italia –. Una strategia che mira a frammentare l’economia della Cisgiordania e minare la costruzione di un futuro Stato palestinese. Per questo porre fine al commercio con gli insediamenti è un passo necessario per sostenere i diritti umani e proteggere i mezzi di sussistenza della popolazione palestinese. Solo così si potrà contribuire davvero a fermare l’espansione degli insediamenti che oggi rappresentano il 42% della Cisgiordania e porre fine all’occupazione illegale».
Espropri, demolizioni e ampliamenti: il soffocamento della Cisgiordania
Dall’occupazione della Cisgiordania del 1967, Israele si è appropriato di circa 2.000 chilometri quadrati per la costruzione e l’espansione di insediamenti, in un’accelerazione esponenziale negli ultimi quattro anni, che culmina oggi con l’approvazione di un piano di costruzione di 3.400 nuove unità abitative in un blocco che collega Gerusalemme Est e l’insediamento di Ma’ale Adumim, interrompendo di fatto la circolazione dei palestinesi tra la Cisgiordania settentrionale e meridionale.
Nel 2023, il governo israeliano ha approvato la costruzione di 30.682 abitazioni in Cisgiordania e a Gerusalemme est. Un’espansione record, con un aumento del 180% dei nuovi insediamenti, in soli 5 anni. Nel giugno 2024 ha designato 12,7 chilometri quadrati nella Valle del Giordano come “terra demaniale”. A maggio 2025 ha istituito 22 nuovi insediamenti. Gran parte dei nulla osta rilasciati da Israele hanno riguardato aree sempre più interne della Cisgiordania, frammentando il territorio palestinese e riducendo la libertà di movimento.
Le donne palestinesi nelle insediamenti: lavoro precario e sfruttamento
Con 900 checkpoint posizionati in tutta la Cisgiordania, gli spostamenti sono sempre più difficili, pericolosi e lunghi. In questo momento infatti il 30% del territorio è inaccessibile ai palestinesi. Le lunghe attese ai checkpoint hanno poi gravi ripercussioni sui lavoratori, le aziende e l’economia palestinese. Si stima che il costo di tutto questo sia di 764.600 dollari al giorno, pari a una perdita salariale di 16,8 milioni al mese, per le ore di lavoro perse.
Con oltre un terzo della popolazione della Cisgiordania senza lavoro a causa delle politiche di Israele, sono le donne palestinesi le prime vittime di una situazione di totale sfruttamento. Non avendo alternative circa 6.500 di loro sono costrette a lavorare negli insediamenti illegali israeliani, spesso senza un contratto, un’assicurazione sanitaria e condizioni minime di sicurezza, con orari lunghissimi e per paghe da fame, di molto inferiori al salario medio israeliano: circa il 65% guadagna meno di 20 dollari al giorno.
Il parere consultivo della Corte internazionale di giustizia (CIG) del luglio 2024 ha chiarito che i governi che consentono il commercio con gli insediamenti israeliani, si rendono complici di un’espansione illegale, sostenendo il controllo di Israele nei Territori Palestinesi Occupati. Tuttavia Israele continua ad attrarre investimenti esteri nei suoi insediamenti in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est, attraverso agevolazioni fiscali, sussidi, trattamenti preferenziali, affitti ribassati dei terreni e sovvenzioni.
Incentivi, investimenti esteri e il ruolo delle aziende negli insediamenti
Il report pubblicato oggi prende in esame alcune tra le principali aziende e istituzioni finanziarie internazionali che hanno solide relazioni commerciali con gli insediamenti israeliani:
- la società tedesca TUI propone tour negli insediamenti israeliani illegali anche in autobus blindato, per incontrare i coloni israeliani di Hebron;
- Le attrezzature prodotte dalla JC Bamford Excavators (JCB), un’azienda edile con sede nel Regno Unito, vengono utilizzate da Israele per demolire strutture, abitazioni e coltivazioni palestinesi e per costruire insediamenti illegali. Le aziende edili come la JCB traggono profitto dal trasferimento forzato dei palestinesi e dall’espansione degli insediamenti.
- la multinazionale tedesca Siemens fornisce attrezzature e servizi per le infrastrutture di trasporto che collegano gli insediamenti e ha chiuso un accordo per lo sviluppo della rete ferroviaria del valore di oltre 1 miliardo di euro;
- la francese Carrefour ha stipulato un accordo con Yenot Bitan per la produzione e la vendita dei propri prodotti in Israele. Ci sono almeno nove negozi Yenot Bitan situati nei Territori Palestinesi Occupati, di cui due con marchio Carrefour;
- l’istituto bancario britannico Barclays ha fornito 18,1 miliardi di dollari in prestiti e servizi a società legate agli insediamenti, tra il gennaio 2021 e l’agosto 2024, diventando così il terzo creditore di società che hanno relazioni commerciali con gli insediamenti, dopo BNP Paribas e HSBC;
- la compagnia di navigazione danese Maersk, ha trasportato merci per quattro società elencate nel data base delle Nazioni Unite tra le aziende che sostengono direttamente l’economia degli insediamenti: Comasco, Extal, Ofertex Industries e Twitoplast;
- la multinazionale spagnola del turismo eDreams Odigeo e la sua controllata Opodo, sono state segnalate per aver offerto hotel e alloggi negli insediamenti israeliani in Cisgiordania.
L’Unione europea e l’Italia sotto accusa: stop commerciale richiesto di fronte all’ingiustizia
L’Unione europea oggi è il maggiore partner commerciale di Israele, con una quota di circa il 32% del movimento totale di merci. Nel 2024 il volume totale dell’import-export di beni tra Israele e l’Ue è stato di 42,6 miliardi di euro. L’Italia da sola l’anno scorso ha importato beni e servizi per oltre 1 miliardo di euro con un volume totale di scambi pari ad oltre 4 miliardi, il Regno Unito nel complesso per poco meno di 6 miliardi di sterline.
«Ad oggi le politiche europee e nazionali, che rendono riconoscibili i prodotti provenienti dagli insediamenti israeliani illegali, vengono attuate in modo incoerente e sabotate sistematicamente, con il risultato che in tutta Europa sono presenti prodotti provenienti da qui, ma etichettati “Made in Israel“ – spiegano le organizzazioni promotrici della campagna –. Per compiere un primo passo concreto in difesa dei diritti del popolo palestinese è quindi fondamentale che l’Ue e tutti gli stati membri mettano al bando il commercio con gli insediamenti, compresa la fornitura di servizi e gli investimenti. Per questo chiediamo a tutti di firmare il nostro appello, che chiede al Governo italiano di interrompere ogni relazione commerciale con gli insediamenti illegali israeliani».
Inoltre, le organizzazioni chiedono:
- che siano direttamente gli esportatori israeliani a dimostrare che i loro beni non sono prodotti nei Territori Palestinesi Occupati, contrariamente a quanto avviene ora, ritenendoli responsabili di false dichiarazioni;
- che sia vietato l’ingresso nel mercato europeo e nel Regno Unito di merci di cui non sia dimostrata l’esatta provenienza;
- che venga impedito alle banche e alle istituzioni finanziarie di concedere prestiti e crediti a società basate negli insediamenti che ne finanziano lo sviluppo.
- che si sospenda l’Accordo di Associazione UE-Israele fino al pieno rispetto da parte di Israele delle disposizioni sui diritti umani.
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