Svizzera, domenica il referendum per la “moneta pubblica”
Gli elettori elvetici chiamati a votare su un referendum costituzionale: togliere alle banche la possibilità di creare moneta sotto forma di crediti
La rivoluzione mondiale in campo monetario e bancario potrebbe partire dalla pacifica Svizzera, cioè, paradossalmente, dal paese più borghese e con le maggiori banche al mondo. Infatti in Svizzera il 10 giugno si terrà un referendum di riforma costituzionale per passare dalla moneta bancaria alla moneta pubblica: ovvero per togliere alle banche private il privilegio esclusivo di creare moneta dal nulla e per ridare invece il monopolio dell’emissione monetaria alla banca centrale e allo Stato.
Secondo i promotori, il passaggio dalla moneta bancaria alla moneta pubblica eliminerà alla radice le crisi cicliche finanziarie e renderà possibile l’utilizzo della moneta per il bene comune del Paese.
L’iniziativa, iniziata nel 2015 con la raccolta di 110 mila firme, è stata avviata dal Movimento Svizzero per la Moneta Sovrana, la Vollgeld-Initiative, che l’ha denominata, in italiano ticinese, «Moneta Intera» (ovvero: moneta piena, legale). Le votazioni si terranno domenica e i risultati riguarderanno tutto il mondo.
Moneta, pubblica o bancaria?
Apparentemente la consultazione popolare riguarda una complicata questione monetaria. Ma se il referendum – a cui si oppongono il governo, l’associazione delle banche svizzere e la maggior parte dei partiti della Confederazione – venisse approvato, si tratterebbe di una rivoluzione non solo in campo economico ma anche politico.
Potrebbe essere il primo ma decisivo passo verso la creazione di una moneta pubblica. Se passasse il referendum costituzionale, la Banca Centrale potrebbe non solo emettere tutta la moneta, sia quella cartacea che quella elettronica, ma potrebbe anche distribuirla gratuitamente (ovvero senza interessi, a differenza delle banche) in base ai criteri fissati dal Parlamento svizzero. Ovvero la moneta potrebbe essere spesa direttamente per gli investimenti pubblici, per le energie sostenibili, il riassetto del territorio, le infrastrutture materiali e immateriali – scuola, sanità, previdenza -, per diminuire le tasse o per aumentare il reddito delle famiglie, o anche per un reddito garantito.
La moneta pubblica potrebbe anche essere prestata alle banche e alle aziende private, ma solo dietro pagamento di interessi.
Le banche commerciali invece non potrebbero più creare moneta dal nulla, come fanno attualmente – anche se il fenomeno è poco noto presso il pubblico.
Un ritorno al passato?
Un successo del referendum secondo i promotori farebbe ritornare le banche a fare il loro antico mestiere. Diventerebbero solo intermediari finanziari nel senso proprio del termine. Si occuperebbero di raccogliere i risparmi delle famiglie che vogliono impiegare i loro soldi con profitto, correndo però i normali rischi di investimento, per riversarlo nell’economia sotto forma di prestiti. Le banche tornerebbero a essere quelle che erano prima della moneta elettronica: dei semplici intermediari tra risparmio e investimenti (“narrow banking”). Oppure potrebbero offrire crediti solo sulla base del capitale degli azionisti.
La funzione dei pagamenti verrebbe scorporata da quella di concessione dei crediti: la prima verrebbe svolta dalla Banca Centrale, la seconda dalle banche private. Le banche creano moneta dal nulla. Ma creano anche debito.
La moneta “creata” dalle banche sotto forma di credito
Come fanno le banche a creare moneta dal nulla? Gran parte della moneta, in particolare quella che utilizziamo per le transazioni di maggiore importo – per esempio per comprare la casa, per l’auto, per finanziare gli impianti industriali, l’acquisto di terreni e immobili, o per gli stipendi, o quant’altro – è moneta digitale che viene emessa dal sistema bancario e che resta in questo circuito senza mai trasformarsi in moneta fisica. Nessuno infatti compra una abitazione in contanti o costruisce una fabbrica pagando in contanti.
La moneta elettronica o digitale è all’origine emessa dalle banche sotto forma di credito (debito per il cliente) in vista del profitto bancario costituito dagli interessi. Nel bilancio bancario il nuovo credito viene messo all’attivo, il deposito disponibile per il cliente al passivo. Così si crea moneta dal nulla. Ma dal momento che la creazione di denaro digitale via computer ha un costo per le banche che tende praticamente allo zero, l’interesse si può considerare come una sorta di moderno signoraggio.
L’analisi della Bank of England
In un documento ufficiale un istituto prestigioso come la Banca d’Inghilterra ha spiegato chiaramente questo meccanismo; per il 95% del valore complessivo la moneta che utilizziamo è moneta bancaria elettronica (o moneta scritturale). Solo una parte secondaria, il 5-10% circa, è costituita da monete e contanti emessi dall’istituto centrale e utilizzata per le spese correnti.
Le banche private sono però tenute per legge a detenere presso la banca centrale sotto forma di contanti o di titoli molto liquidi una percentuale dei depositi bancari come riserva prudenziale in caso di crisi di liquidità. In Europa questa percentuale è del 2%. Quindi versando due euro la banca può creare 100 euro sotto forma di credito. Si tratta del sistema noto come “riserva frazionaria”.
A parte il 2% di cui sopra, le banche non hanno perciò bisogno di fondi per erogare credito. Questo è dovuto al fatto che i depositi bancari sono giuridicamente privilegiati da parte dello Stato: infatti lo stato ha concesso ai prestiti delle banche – cioè alla moneta bancaria – lo status di moneta legale con cui le persone possono effettuare i pagamenti e saldare i debiti.
Il vincolo del mercato per le banche
Oltre a quello della riserva frazionaria, le banche hanno poi numerosi altri vincoli regolamentari e sono sottoposte a vigilanza stretta. Ma una banca privata ha in ultima istanza solo un grande vincolo costituito dal mercato: deve infatti concedere credito – o negoziare titoli – con profitto. I soldi prestati devono ritornare con interesse. I titoli che negozia non possono perdere di valore. Altrimenti la banca fallisce.
Lo Stato e la banca centrale hanno quindi ceduto alle banche private il potere di “stampare” moneta. Nessun’altra società finanziaria o industriale ha il potere di creare moneta dal nulla: solo le banche hanno una potestà monetaria pienamente legalizzata e i conseguenti profitti di signoraggio. Questo significa che il controllo della massa monetaria sfugge alla Banca Centrale.
La Banca Centrale – che emette le banconote fisiche e che controlla le riserve bancarie – può solo tentare di determinare indirettamente il tasso di crescita (o di decrescita) dei crediti bancari – e quindi della circolazione monetaria – fissando il tasso ufficiale di interesse, ovvero il prezzo dei suoi prestiti alle banche. Tuttavia sono poi le singole banche a determinare la effettiva massa monetaria in circolazione nell’economia: solo le banche infatti che decidono di erogare o non erogare crediti in base alle richieste delle aziende e delle famiglie e, naturalmente, alle loro attese di profitto.
Moneta-credito, moneta-debito
La moneta-credito erogata dalle banche diventa dal lato del cliente moneta-debito, ovvero moneta che deve essere ripagata con interesse. Tuttavia la crescita incessante dei debiti uccide l’economia reale. Non a caso le economie capitaliste contemporanee – fortemente bancarizzate – sono sempre più ammalate di debiti.
Quando l’economia è in espansione, le banche concedono facilmente i crediti, quando scoppia la bolla, allora il sistema bancario contrae immediatamente la moneta. La creazione di moneta privata bancaria comporta quindi come conseguenza cicli di speculazione, euforia, inflazione e poi di crisi, deflazione, disoccupazione, e così via.
Gli effetti preversi della moneta bancaria
Il sistema monetario basato sulla moneta bancaria, o moneta-debito, comporta numerosi effetti perversi. Tutti effetti che i promotori di Svizzera Moneta Intera ritengono di poter evitare attraverso la loro proposta di referendum.
- I risparmiatori attualmente non sono mai completamente garantiti perché i depositi in banca funzionano apparentemente come moneta legale, ma NON sono moneta legale, sono moneta di secondo rango. Infatti quando una banca fallisce tutti i correntisti cercano la moneta vera, quella legale emessa dalla banca centrale (banconote e monete). I promotori di Moneta Intera sostengono che i risparmi da utilizzare per i pagamenti correnti sarebbero invece depositati presso la Banca Centrale e diventerebbero completamente garantiti.
- Come abbiamo visto, tutta la moneta attualmente in circolazione nasce all’origine da un debito contratto dal cliente – individuo, azienda, ente pubblico – verso le banche e comporta quindi il pagamento di interessi. Il peso degli interessi grava su tutto il sistema economico, sui consumatori, sulle aziende e sullo Stato.
- Le banche possono creare facilmente moneta dal nulla per allargare irresponsabilmente le maglie del credito nei periodi di boom e di euforia, mentre al contrario sono costrette a restringere i improvvisamente i cordoni della borsa nei periodi di crisi. Da qui i cicli delle frequenti e strutturali crisi finanziarie che si abbattono come cicloni sia sui paesi avanzati che quelli in via di sviluppo.
- Dopo lo scoppio delle bolle, le banche in crisi devono essere salvate con i soldi dei contribuenti e con i soldi pubblici stampati dalla banca centrale. Si verifica così il noto fenomeno della socializzazione delle perdite e la privatizzazione dei profitti.
- Gran parte del credito viene erogato solo dietro garanzia. Il credito non è perciò indirizzato alle piccole e medie imprese, alle nuove aziende e start-up che all’inizio hanno poco patrimonio e offrono poche garanzie, ma alle maggiori aziende e a chi ha già forti patrimoni. Ovvero “piove sempre sul bagnato”.
- Il credito è utilizzato prevalentemente per trasferire e concentrare le proprietà già esistenti – per esempio nel caso di acquisizioni e fusioni, delle operazioni finanziarie o dell’acquisto di immobili già realizzati – piuttosto che per le attività produttive e innovative che creano occupazione e sviluppo. In questa maniera crescono i prezzi degli asset finanziari e immobiliari e aumenta il rischio bolla.
- il fatto fondamentale è che lo Stato, come rappresentante della comunità nazionale, si priva della risorsa essenziale (la moneta, appunto) per difendere e sviluppare il bene comune, e deve quindi limitare gli investimenti sui beni pubblici – istruzione, sanità, ricerca – e frenare la sua azione di redistribuzione dei redditi a favore dei meno privilegiati.
- Lo Stato senza potestà monetaria deve indebitarsi sul mercato per finanziarsi, e perde così la sua autonomia e il suo potere democratico a favore della grande finanza nazionale e internazionale. Il debito pubblico soffoca la democrazia.
Il Chicago Plan e le teorie alternative sulla moneta
Le teorie radicali di riforma monetaria e bancaria risalgono agli anni della Grande Crisi del 1929 e del New Deal. Negli anni Trenta del secolo scorso alcuni economisti, tra cui il più famoso del tempo, Irving Fisher, elaborarono il cosiddetto Chicago Plan per il presidente Franklin Delano Roosevelt con l’obiettivo di risolvere alla radice il problema della crisi finanziaria abolendo il sistema di riserva frazionaria. Ma Roosevelt bocciò il piano e in pratica lo segretò.
Tuttavia il Chicago Plan riappare in forme inedite ancora oggi. In Svizzera e soprattutto nel mondo anglosassone.
Nel 2012 Jaromir Benes and Michael Kumhof del FMI hanno presentato lo studio Chicago Plan Revisited. Nella loro analisi sostengono che, se si fosse tolto alle banche il potere di creare moneta grazie al meccanismo della riserva frazionaria, la crisi globale del 2008 non si sarebbe verificata.
Nel mondo anglosassone iniziative come PositiveMoney, e altre auspicano una riforma democratica della moneta. New Economic Foundation e CBS Copenhagen Business School hanno calcolato che il signoraggio sulla moneta da parte delle banche svizzere tra il 2007 e il 2015 ha generato profitti per 34,8 miliardi di franchi.
Sono soldi che sarebbero invece potuti essere incassati dalla Banca Nazionale Svizzera, e poi quindi girati allo Stato ed essere utilizzati per migliorare i servizi pubblici o diminuire le tasse ai cittadini e alle imprese. O per distribuire ai cittadini svizzeri un dividendo annuale.
Ma gli elettori non sembrano credere alla rivoluzione
Con la vittoria di Vollgeld-Initiative, le decisioni sulla quantità di moneta cartacea ed elettronica da emettere toccherebbero solo alla banca centrale. La Banca nazionale svizzera avrebbe il mandato di provvedere affinché non si crei né una stretta creditizia né un eccesso di denaro in circolazione. E dovrebbe salvaguardare l’interesse generale.
La rivoluzione monetaria non è impossibile, ma è tuttavia improbabile: gli ultimi sondaggi rivelano che il 34% degli elettori sono a favore, il 49% è contro, il 16% è indeciso. La proposta svizzera è infatti fortemente contrastata.
Tra gli economisti molti dubbi. Ma nel mondo c’è dibattito
Molti economisti mainstream – tra cui paradossalmente gli stessi responsabili della Banca Nazionale Svizzera – affermano che se passasse il referendum la moneta pubblica diventerebbe oggetto di decisioni politiche. La banca centrale perderebbe la sua indipendenza e diventerebbe uno strumento in mano al governo. I governi userebbero allora la moneta per scopi politico-elettorali, provocando inflazione (eccesso di moneta), clientelismi, corruzione e divisioni sociali. Altri insistono sul fatto che se il referendum passasse tutte le maggiori banche del Paese lascerebbero immediatamente la Svizzera.
Il dibattito sulla moneta è comunque aperto in tutto il mondo. Un esempio per tutti è quello di Martin Wolf. Il prestigioso editorialista del Financial Times, si è espresso ripetutamente a favore della proposta di “narrow banking”, cioè di trasferire il potere di emissione monetaria dalle banche private alla banca centrale, e quindi in una certa misura allo Stato. Del resto il narrow banking è stato auspicato sia da economisti liberali, come Fisher, Simons, Friedman, Allais, che keynesiani, come Tobin e Minsky.
* Giornalista economico e saggista specializzato in Economia della condivisione, beni comuni e democrazia economica.