Flat tax, i “3 tempi” del fisco populista fanno felici ricchi e creditori

Il progetto di riforma fiscale del Contratto Lega-5 Stelle nasconde 3 scomode verità: avvantaggia redditieri, banche e apre le porte a tagli ultraliberisti al welfare.

Alessandro Santoro
Alessandro Santoro
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Questi lunghi mesi di campagna elettorale ufficiale (precedente il 4 marzo) e ufficiosa (successiva alle elezioni) hanno evidenziato l’importanza delle proposte fiscali nell’ambito della retorica populista.

Il fisco è lo strumento perfetto, in particolare se valutato senza guardare all’altra parte del bilancio pubblico, per dare l’idea di un vantaggio generalizzato, nascondendo il fatto che questo vantaggio è molto più grande per alcuni rispetto ad altri.

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1° tempo: il 50% del taglio di tasse a vantaggio della frazione più ricca

La cosiddetta “flat tax”, o meglio l’introduzione delle due aliquote per la tassazione dei redditi familiari (e forse addirittura per quelli di impresa?), contenuta nel contratto del governo e (forse) nel futuro programma che sarà presentato alle Camere esemplifica perfettamente questa situazione. Come documentato da Massimo Baldini e Leonzio Rizzo su lavoce.info, questa proposta genererebbe 50 miliardi di riduzione del carico fiscale, di cui la metà a vantaggio del decile più ricco. La riduzione fiscale per i primi due decili sarebbe invece inferiore a 100 euro medi annui procapite.

Quindi, finalmente, meno tasse per tutti, ma non per tutti nella stessa misura.

Ma questo è solo il primo tempo di un processo ben più massiccio di enorme redistribuzione di ricchezza in senso regressivo.

Nel contratto legastellato non si indicano le coperture di questa manovra e si prefigura un aumento del deficit. Rispetto ad esso, l’unico ostacolo sembrerebbe essere la ricontrattazione delle regole europee.

È su questo punto che si compie il capolavoro della retorica populista.

Essa attira tutta l’attenzione sulla dinamica Italia-Europa, e ha gioco facile nel costruirci sopra l’opposizione tra popolo ed èlite: il popolo (italiano) che vuole la libertà fiscale e le oppressive èlite europee che la impediscono.

Flat tax, un favore anche a banche e creditori

Ma è davvero a favore del popolo il risultato che si ottiene con una simile scelta? Per risponderlo proviamo a fare un gioco. Immaginiamo per un attimo che i vincoli di finanza pubblica europea non esistano e che quindi i 50 miliardi per la flat tax possano essere effettivamente finanziati a debito. Poiché ogni anno l’Italia colloca circa 400 miliardi di titoli del debito pubblico, si tratterebbe di un incremento di oltre il 10%. È impossibile che questo avvenga senza un congruo incremento dei tassi di interesse, e quindi il debito pubblico aumenterebbe per ben più di 50 miliardi.

Però, per ora, disinteressiamoci di questo aspetto, e guardiamo a chi andrebbero quei miliardi (dai 2 ai 4, orientativamente) di interessi all’anno. Andrebbero a favore del popolo in modo indifferenziato? No, andrebbero a favore delle istituzioni finanziarie (le odiatissime banche!) nazionali e internazionali nonché in maggiore misura delle famiglie più ricche.

Secondo i dati pubblicati a maggio 2018 dalla Banca d’Italia (ma aggiornati a febbraio dello stesso anno) istituzioni finanziarie e famiglie non residenti in Italia detengono quasi il 30% dei titoli del debito pubblico, mentre la stessa Banca d’Italia e le altre istituzioni monetarie e finanziarie italiane (banche e società finanziarie) detengono circa il 60%, con un 10% circa residuo detenuto direttamente dalle famiglie italiane.

Debito pubblico: il 30% in mano straniera – Fonte: Banca Italia

2° tempo: vantaggi per chi vive di rendita

Tuttavia, le famiglie italiane detengono indirettamente anche una parte dei titoli del debito pubblico che sono in portafoglio alle banche e alle società finanziarie attraverso le quote dei fondi comuni di investimento (italiani e stranieri). Ebbene, anche questa ricchezza è, non soprendentemente, concentrata tra le famiglie ricche.

Secondo la più recente indagine della Banca d’Italia sulla ricchezza delle famiglie italiane la ricchezza finanziaria è straordinariamente concentrata. I il 30 per cento delle famiglie italiane con patrimonio più basso detiene solo il 4% della ricchezza finanziaria complessiva, e si tratta quasi esclusivamente di depositi, mentre il 30% di quelle più abbienti ne possiede poco meno dell’80%, di cui oltre la metà riconducibile ai nuclei che rappresentano il 5% più ricco.

Distribuzione della ricchezza finanziaria tra la popolazione italiana, divisa in 10 decimi. – FONTE: Banca Italia

Ecco, quindi, il secondo tempo (non dichiarato) del fisco populista: la generazione di un flusso cospicuo e garantito (?) nel tempo di risorse pubbliche a favore dei rentiers, con buona pace delle prospettive keynesiane.

Ma la storia non finisce qui. Anche quando ci fossimo liberati dei lacciuoli europei, e financo se avessimo ripristinato la nostra libertà di stampare moneta tornando alla Lira, la nostra capacità di indebitarci sarebbe comunque limitata. A meno di immaginare importanti restrizioni alla libertà di movimento dei capitali. O altre forme di regolazione dei mercati finanziari che però, si badi bene, i partiti populisti si guardano bene dal promuovere.

3° tempo: privatizzazioni e tagli al welfare per bloccare la spirale del debito

Quindi, la spirale del maggior debito che crea maggiori interessi che creano maggior debito – su cui in precedenza non ci eravamo soffermati – andrebbe comunque fermata. Come? Con processi di abbattimento del debito e di contenimento del disavanzo, ovvero il terzo tempo del fisco populista. Tradotto: con cospicue privatizzazioni e con forti tagli delle spese sociali. Non a caso era esattamente questo enorme taglio di welfare che, nella proposta originaria ultraliberista della flat tax, doveva finanziarla.

I partiti populisti l’hanno adottata nascondendo o ignorando che questo fosse il punto di caduta, ovvero la più classica delle manovre iperliberiste.

Una strategia funzionale agli interessi della finanza, che occuperebbe lo spazio dei meccanismi di protezione sociale e sanitaria che verrebbero meno.

Ma una strategia ammantata da riscatto nazionale contro il governo delle élite. Della serie: il populismo, se ben analizzato, rivela sempre la sua natura di servitore degli interessi delle classi dominanti.

* Professore associato di Scienza delle finanze all’università Milano-Bicocca, membro del comitato di gestione dell’Agenzia delle Entrate, è stato consigliere economico della Presidenza del Consiglio dei ministri ed esperto tributario al Secit (Ministero delle Finanze).

Twitter: @saintbull70