La Nigeria dichiara guerra alle criptovalute per tutelare la sua moneta

Il governo nigeriano ha chiesto un risarcimento di 10 miliardi di dollari alla piattaforma Binance, dopo aver arrestato due suoi dirigenti

Proteste in Nigeria © Tope A. Asokere/Pexels

Con una mossa senza precedenti la Nigeria, uno dei primi Paesi a introdurre due anni fa la versione digitale della sua valuta locale, ha deciso di dichiarare guerra alle piattaforme dove si scambiano criptovalute. Accusandole di essere la causa del crollo della naira, la moneta nazionale, e dell’economia del Paese. E quindi di essere la causa degli scioperi e delle proteste che da mesi interessano lo Stato più popoloso e più ricco del continente africano.

Prima il governo nigeriano ha ordinato di bloccare l’accesso alla maggior parte delle piattaforme crittografiche e valutarie. Poi ha chiesto a Binance, la più grande tra queste, un maxi risarcimento da 10 miliardi di dollari. Accusandola di aver manipolato i tassi di cambio attraverso la speculazione valutaria, e di avere così indebolito la naira e l’economia nazionale.

Dopo l’arresto il 26 febbraio scorso fa di due dirigenti di Binance, giunti appositamente nella capitale Abuya per interessarsi del caso (un provvedimento di custodia cautelare che secondo i loro difensori era comunque illegale), e dopo la fuga dei due avvenuta la settimana scorsa, il tribunale di Abuya ha chiesto per loro un mandato di cattura internazionale. Oltre a una maxi accusa di evasione fiscale nei confronti di Binance, articolata su quattro capi di imputazione.

La responsabilità delle criptovalute nel crollo dell‘economia nigeriana

Con i suoi 230 milioni di abitanti, la Nigeria è lo Stato più popoloso dell’Africa e ha un’economia in continua crescita. È il Paese più ricco del continente e uno dei più interessanti player globali emergenti. Anche perché, a dispetto di quanto si possa pensare, buona parte delle sue ricchezze proviene dal terziario avanzato e non dal petrolio. Ma la situazione negli ultimi tempi è peggiorata assai, anche a causa della svalutazione della naira che, solo negli ultimi mesi, ha perso il 70% del suo valore rispetto al dollaro.

E così, a febbraio, fa la Banca centrale ha dovuto annunciare un nuovo aumento dei tassi di interesse di 400 punti base. Non era il primo e non sarebbe stato l’ultimo, perché ne è seguito un altro a fine marzo. Ma, con l’inflazione alle stelle (intorno al 30%) e l’aumento dei prezzi dei beni primari di consumo (35% solo per l’alimentare), sono scoppiate proteste in tutto il Paese. E le autorità nigeriane non hanno avuto dubbi. La colpa, oltre alle guerre e al rallentamento della logistica globale, è dell’attacco consapevole che le piattaforme hanno fatto alla naira, affossandola. E così ecco il contrattacco.

Secondo Reuters, infatti, solo nei primi sei mesi dello scorso anno le transazioni in criptovalute ammontavano al 12% dell’intero Pil nigeriano. Tanto che il neo presidente Bola Tinubu, in carica dallo scorso maggio, aveva imposto l’ennesimo giro di vite e di restrizioni nei confronti delle piattaforme. Lo scorso settembre l’Autorità di regolamentazione delle telecomunicazioni aveva preso di mira proprio Binance, protagonista della nostra vicenda, dichiarandola illegale sulla base del fatto che non era regolarmente registrata come impresa nel Paese.

La mancanza di regolamenti a livello internazionale

Qualcosa di simile infatti era accaduto tre anni fa anche in Italia. E poi negli Stati Uniti con l’intervento della Security and Exchange Commission (Sec). È chiaro che il problema alla base, di Binance e di tutte queste piattaforme di criptovalute, è che operando in rete non hanno sedi fisiche da nessuna parte. Se non fiscali nei paradisi. E che, mancando una regolamentazione a livello globale, non si capisce a quali regole queste piattaforme debbano sottostare. E a quali parametri debbano rispondere. Ma torniamo alla Nigeria.

Di nuovo a inizio anno ecco un altro giro di vite, con il divieto imposto dalla Banca centrale agli istituti finanziari del Paese di sostenere le transazioni in criptovalute di queste piattaforme. Accusandole in pratica di favorire il riciclaggio di denaro. Come un serpente che si morde la coda, infatti, più la naira crolla a causa delle speculazioni delle criptovalute, più le piattaforme diventano popolari. Con la nuova classe media che le utilizza per accumulare o anche solo per gestire i propri risparmi.

Oscuramenti, arresti e maxi risarcimenti

Ma evidentemente questi giri di vite non sono bastati. La naira continuava a crollare e gli speculatori ad approfittarne. E così a fine febbraio l’Autorità di regolamentazione delle telecomunicazioni nigeriana ha ordinato di bloccare l’accesso a tutte le maggiori piattaforme – come Binance, Coinbase, Kraken, Fxtm e Octafx – e di oscurare i loro siti. Le accuse, arrivate per bocca del governatore della Banca centrale della Nigeria, Olayemi Cardoso, sono pesantissime. «L’analisi di queste pratiche indica che attraverso queste piattaforme transitino un gran numero di flussi illeciti», ha detto. Parlando poi di «chiare attività criminali».

Lo stesso governatore ha poi spiegato: «Solo nel caso di Binance ci siamo resi conto come nell’ultimo anno su questa piattaforma sono stati raccolti 26 miliardi di dollari da fonti e utenti che non conosciamo». Per questo i due dirigenti di Binance si erano recati ad Abuya. Ma, appena giunti in hotel, si sono visti requisire il passaporto e sono stati messi in custodia cautelare. Immediatamente dopo l’arresto, Binance ha interrotto tutti gli scambi di naira contro il Bitcoin e le stablecoin legate al dollaro. Quelle che per le autorità nigeriane sono il cuore della speculazione.

Bayo Onanuga, consigliere speciale del presidente Tinubu, ha infatti dichiarato a inizio marzo che «Binance imposta in maniera palese il tasso di cambio della Nigeria, impedendo alla Banca centrale di poterlo regolare. Il governo non può restare a guardare con le mani in mano». E così sono arrivati prima l’oscuramento dei siti e poi la detenzione dei due dirigenti. I quali sono riusciti a fuggire dal Paese. Su di loro ora pende una richiesta nigeriana per un mandato di cattura internazionale.

La guerra della Nigeria alle criptovalute continua

Ma non è finita qui. Dapprima sono arrivate la maxi richiesta di risarcimento da dieci miliardi di dollari. E poi l’accusa di evasione fiscale. Sempre nei confronti di Binance che, per adesso, non commenta. Poi una serie di provvedimenti che vanno a interessare tutte le piattaforme per lo scambio di criptovalute e non solo Binance. A partire da un aumento del 400% delle tasse di registrazione per tutte le società che commerciano, o speculano, con le monete elettroniche.

Inoltre è stato previsto un aumento di tutte le tasse e le commissioni per questi operatori. Invece di una tassa di iscrizione di 100mila naira (64 dollari) e una quota di registrazione di 30 milioni (25mila dollari), la Securities and Exchange Commission (Sec) nigeriana ne chiede ora 300mila per ogni richiesta e 150 milioni per la registrazione. E la stessa Sec ha proposto di raddoppiare i requisiti minimi di capitale versato (capitale non preso in prestito) per i fornitori di servizi di crittografia. Portandolo a 1 miliardo di naira (775mila dollari).

Ecco perché, come scrivevamo all’inizio, quello aperto dalla Nigeria non è solo un attacco mirato contro Binance. Ma una vera e propria guerra a tappeto contro le piattaforme dove si gestiscono e scambiano le criptovalute. Un conflitto che potrebbe presto allargarsi ad altri Paesi.