Tassa sugli extraprofitti delle banche, il governo fa retromarcia ma non centra l’obiettivo

Dopo le tante critiche piovute sulla tassa sugli extraprofitti bancari, il governo corre ai ripari. Ma senza centrare il cuore del problema

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni © Number 10/Flickr

Il fuoco di critiche, provenienti anche dalla Bce, che si è riversato sul governo italiano dopo la presentazione del suo progetto di tassa sugli extraprofitti delle banche sembra aver convinto lo stesso esecutivo a modificarne i contorni. L’idea, secondo quanto trapelato nella giornata di domenica 24 settembre, sarebbe di modificare sia il prelievo che la base imponibile. 

Il governo sceglie di agire su prelievo e base imponibile anziché sul cuore della norma sugli extraprofitti

In particolare, il primo andrebbe ad incidere sul periodo di due anni compreso tra il 2021 e il 2023. E il tetto massimo dell’imposta passerebbe dallo 0,1 allo 0,26%. In compenso, non sarebbe più calcolata sul totale dell’attivo, bensì sulla porzione complessiva esposta a rischi. In altre parole, in questo modo dovrebbero essere esclusi i titoli di Stato

Inoltre, alle banche potrebbe essere concessa una scelta: o pagare la tassa oppure aumentare (di una cifra però considerevolmente più alta) le loro riserve di capitale. Queste ultime, però, sarebbero non distribuibili in termini di utili. E andrebbero a rafforzare il Tier-1 capital ratio, ovvero la patrimonializzazione degli istituti di credito. 

La mossa consente il ritiro di numerosi emendamenti da parte delle forze di governo

A livello politico, la mossa sembra aver soddisfatto Forza Italia, che appare orientata a ritirare tutti gli emendamenti presentati al primo decreto con il quale era stata avanzata la misura. 

Né gli organi di stampa, né le agenzie citano però altre modifiche che si sperava potessero arrivare dal governo. La tassa sulle banche, ad esempio, sembra che possa continuare ad essere applicata indistintamente sia agli istituti di credito le cui attività sono concentrate sul sostegno all’economia reale, sia a quelli che presentano grandi attività speculative. L’attenzione alla funzione sociale da parte di alcune banche, in altre parole, non sembra destare attenzione a Palazzo Chigi. 

Né si parla di possibili alternative, come una tassa sulle transazioni finanziarie, che consentirebbe non soltanto di colpire chi all’economia reale fa male – gli speculatori appunto – ma garantirebbe entrate potenzialmente ben superiori (e non una tantum). Ci sarà ancora tempo per tentare di cambiare le carte in tavola in sede di conversione in legge del provvedimento. Ma l’impressione è che il governo non voglia rinunciare all’accetta. Ovvero all’imposizione di una tassa lineare, priva di distinguo.