Tassa sugli extraprofitti bancari, tra marce indietro e speculazione

Come gli annunci e le parziali ritrattazioni sulla tassazione degli extraprofitti bancari hanno generato una manna per gli speculatori

Alessandro Volpi
© Konstantinos Dimitros/iStockPhoto
Alessandro Volpi
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La vicenda dell’imposta sugli extraprofitti approvata in Consiglio dei ministri all’interno del decreto omnibus che precede le ferie è sempre più incredibile. La norma era scritta malissimo, era difficilmente applicabile e poteva far prefigurare un gettito corposo, tanto da avere in sé come unico limite il vincolo per lo stesso gettito di non superare il 25% del patrimonio netto dell’istituto colpito, registrato alla chiusura dell’esercizio del 2022.

In pochissime ore questa misura, adottata a mercati chiusi, secondo una formula che ormai è davvero solo rituale, ha scatenato un’ondata di vendite, probabilmente in larghissima parte allo scoperto, che ha mostrato di prendere sul serio la “bancofobia” governativa. I “ribassisti”, rigorosamente short, hanno puntato tutto sull’onda negativa nei confronti degli istituti di credito generata dal provvedimento e, così, hanno sottratto quasi 10 miliardi di euro alla capitalizzazione delle banche, lucrando in maniera impressionante.

Solo un’ulteriore prova della natura speculativa del “mercato”

Se serviva una prova ulteriore della natura del tutto speculativa del cosiddetto “mercato” di Borsa, la vicenda dell’imposta in questione la fornisce in maniera paradigmatica: una norma improvvisata e non applicabile se non dopo vari passaggi parlamentari viene presa subito sul serio dai trader e da fondi che lanciano un attacco in grande stile alle banche, destinato a produrre loro un danno assai più alto dell’eventuale e futuribile tassazione.

È evidente che la ricerca del consenso esercitata dal governo Meloni con un provvedimento-manifesto, di fatto inattuabile subito, ha prodotto effetti che lo stesso governo forse non aveva saputo neppure immaginare. Ma c’è di più. Non si può escludere che il fuoco di fila speculativo fosse stato acceso, in maniera preventiva, da qualche “soffiata” del più tipico insider trading. Così come è altrettanto possibile che la repentina marcia indietro del governo, destinata a determinare subito un rialzo dei titoli bancari fosse, in qualche modo, prevista.

La marcia indietro del ministero dell’Economia e delle Finanze sulla tassa sugli extraprofitti

Dopo le forti perdite da parte delle principali banche italiane, infatti, il ministero dell’Economia e delle Finanze, fino a quel momento sostanzialmente silente, si è precipitato a stravolgere il contenuto della
norma sugli extraprofitti. Affermando che il gettito non potrà essere superiore allo 0,1% degli attivi del singolo istituto. Una misura che restringe il campo in maniera molto rilevante rispetto al testo originario del decreto e, soprattutto, fa capire la volontà dell’esecutivo di voler negoziare apertamente con le banche i termini della misura. Il ministro Giorgetti, del resto, sa bene che le banche saranno necessarie nell’acquisto dei titoli del debito italiano dopo la fine degli interventi da parte della Bce. E per questo preferisce non inimicarsele.

La reazione a questo vero e proprio mutamento dello “spirito” del provvedimento – nonostante il ministro Salvini stesse ancora vaticinando in merito alla destinazione delle faraoniche entrate dell’imposta – è stata rapidissima al pari delle vendite di ieri. Chi ha agito alla scoperto ha chiuso le operazioni mentre, ancora una volta, non si può escludere che, se qualcuno avesse conosciuto in anticipo le intenzioni del Mef, si sia precipitato a comprare titoli bancari a prezzi stracciati. In sintesi, la demagogia ha generato una bolla speculativa con tutti i crismi.

Purtroppo, vicende come questa determinano un ulteriore effetto assai negativo, costituito dal fatto che il tema della tassazione dei profitti esorbitanti del sistema bancario e quello della costante distorsione del funzionamento del credito e della tutela del risparmio divengano sempre più difficoltosi. Perché l’incapacità degli apprendisti stregoni finisce per allontanarli dall’agenda delle priorità. Ma, forse, anche questo è voluto: una messinscena narrativa per evitare di affrontare il problema, arricchendo intanto i grandi speculatori.