La demagogia sugli extraprofitti e il ruolo sociale delle banche da riscoprire

Fra tutti i settori che stanno guadagnando dall'attuale contesto economico, il governo ha deciso di colpire proprio le banche

Nazzareno Gabrielli
Il governo italiano ha imposto una tassa sugli extraprofitti delle banche © sjhaytov/iStockphoto
Nazzareno Gabrielli
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«Fino a quando penseremo alla banca solamente come al luogo/mezzo per fare soldi con i soldi, rinunceremo ad uno strumento essenziale per favorire lo sviluppo e l’equità di una comunità economica».

Anonimo

La politica degli annunci, quella che punta a conquistare le prime pagine dei giornali, alla vigilia delle ferie estive del Paese ha scelto di scagliarsi contro le banche annunciando un provvedimento che a prima vista sembra equo: far pagare un’imposta straordinaria agli istituti di credito in ragione degli aumentati profitti che questi hanno realizzato grazie all’incremento dei tassi di interesse degli ultimi mesi.

Tra l’annuncio e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, il governo ha dovuto ritoccare in più punti la misura annunciata a causa di forti criticità immediatamente evidenziate da più parti. Eppure, anche nella formulazione poi ufficializzata, restano molti punti problematici.  

La misura è apparsa subito affrettata, indistinta e generica. Nell’immediato ha provocato un prevedibile “schiaffone” da parte dei mercati (tanto da chiedersi se non sarebbe utile indagare se ci siano stati movimenti sospetti su quei mercati subito prima della conferenza stampa di annuncio). Nel giro di breve tempo è arrivata anche l’inappellabile “bocciatura” del provvedimento da parte della Commissione europea, oltre a quello di autorevoli e riconosciute testate specialistiche e accademici nazionali e internazionali.

Perché il governo si è concentrato proprio sulle banche

Ma perché il governo ha deciso di scagliarsi proprio contro le banche quando ci sono tanti altri settori imprenditoriali che stanno guadagnando – veramente tanto – dall’andamento dell’economia nazionale e internazionale? A cominciare dall’industria delle armi che ha visto i fatturati in crescita esponenziale in seguito alla guerra russo-ucraina. Ma anche il settore dei carburanti, quello farmaceutico, quello delle big della rete, ecc.? 

Si è detto che il governo intenderebbe sanare il sopruso delle banche che da un lato beneficiano dell’innalzamento del tasso dei mutui a tasso variabile ma, dall’altro lato, non alzano allo stesso modo il tasso del conto corrente dei clienti risparmiatori.

Mettiamo in chiaro un concetto che non è – qui – in discussione: il fenomeno di tassi che si alzano è evidente, ed è legato all’andamento dell’economia mondiale. Non si vuole certo negare che, con tassi più alti, chi fa credito incassa più interessi a parità di volumi concessi

Una misura che colpisce indiscriminatamente banche molto diverse tra loro

Una buona domanda sarebbe: «Cosa ci fanno le banche con questi maggiori utili?». Li accantonano per rafforzare la solidità della banca stessa, consentendole di erogare maggiore credito e di fronteggiare eventuali difficoltà che potrebbero derivare, ad esempio, da un aumento dei crediti deteriorati? Oppure li utilizzano prevalentemente per ingrossare i dividendi degli azionisti? Tra le due scelte c’è un’enorme differenza in termini di impatti sociali. Una differenza che meriterebbe una diversa considerazione da parte della legge. 

Il governo non solo ha scelto di colpire indiscriminatamente tutte le banche: quelle che lavorano con un forte orientamento al servizio per la collettività e quelle focalizzate invece sulla massimizzazione dei profitti per gli azionisti. Ha anche scelto di cavalcare un approccio demagogico. Secondo una logica istintiva secondo cui le banche andrebbero “punite” perché non hanno alzato i tassi di interesse sui conti correnti di pari passo con l’aumento dei tassi sui prestiti.

Perché la tassa sugli extraprofitti non porta a una maggiore equità

Ma, se si va appena un po’ più a fondo, si vede come questa logica non porti a una maggiore equità.

Per capire perché, può essere utile fare un esempio. Una persona/famiglia che ha un mutuo con un residuo debito di 100-150.000 euro difficilmente ha anche un saldo di conto corrente tanto elevato (altrimenti abbasserebbe il proprio debito). È dunque evidente che non si aiuta chi ha un mutuo variabile aumentando i rendimenti di chi ha grandi risparmi. Dal lato dei risparmiatori, se anche si aumentasse del 2% il tasso di un conto corrente, il maggior rendimento per il cliente sarebbe pari a 20 euro (lordi) all’anno ogni 1.000 euro di saldo (200 euro per un saldo che non scende mai sotto ai 10.000 euro durante tutto l’anno). Non certo una cifra che possa incrementare di molto il reddito annuo di una famiglia e men che meno in grado di attutire l’impatto dell’aumento della rata del mutuo.

Bisogna poi ricordare che l’aumento dei tassi dei mutui riguarda solamente quelli a tasso variabile e non quelli a tasso fisso. Sono incrementi importanti: tanto più quanto maggiore è il debito residuo. Su questi casi andrebbe fatto un intervento di calmierazione, magari a partire dalle fasce di reddito più fragili e distinguendo tra chi ha il mutuo per la prima casa e chi per un’altra esigenza non altrettanto primaria.

Inoltre nell’attività bancaria il fattore “tempo” è determinante. Il mutuo consente di restituire il debito in 20-30 anni e, se si vogliono paragonare i tassi pagati dai clienti sui mutui con quelli percepiti sul conto corrente, il tasso andrebbe paragonato a un risparmio che viene “bloccato” per un analogo periodo, non con il saldo del conto corrente che si può prelevare in qualunque momento. Non a caso il tasso sui risparmi vincolati del sistema bancario, ma anche dei titoli di Stato, è nettamente in crescita.

Qual è poi il senso di una tassa spot?  Serve solo a far cassa in un determinato momento storico, non struttura una dinamica di indirizzo dell’economia verso assetti più virtuosi limitando le “storture” del mercato. Per generare gettito aggiuntivo e arginare le speculazioni del settore finanziario, meglio sarebbe una tassa microscopica (0,05%) sulle transazioni finanziarie speculative, cioè che non generano beneficio all’economia reale. Si stima che essa possa avere un gettito di alcuni miliardi annui, senza andare a scapito dell’economia reale (quella che ha una diretta conseguenza sulla vita delle persone e delle imprese, creando posti di lavoro ecc.).

Qual è la vera missione di una banca

Alla fine allora, qual è la risposta possibile alla domanda: «Perché proprio le banche?».

Penso sia perché le persone, le istituzioni e le imprese hanno smarrito il senso e il significato di un’impresa particolare come è la banca, che ha alcune missioni specifiche. 

Quella di tutela del risparmio dei clienti. Non favorire la creazione di valore dal denaro, ma dall’utilizzo che si fa di quel denaro. Se l’uso è a fini speculativi, l’economia reale non cresce e – di fatto – i risparmiatori ne traggono un danno… anche se il tasso del conto corrente è alto.

Quella di favorire l’accesso al credito come strumento di crescita di un sistema economico, di una comunità (pensiamo alle banche di territorio) che porta risorse finanziarie compiendo una selezione delle idee di investimento (sia di famiglie che di imprese) migliori, meno avventate e rischiose. Consentendo in tal modo una leva allo sviluppo.

Quella di fare l’intermediario finanziario che – con strumenti specifici come mutui, prestiti, facilitazioni e servizi anche innovativi – pone le basi per una finanza al servizio della persona, dell’ambiente e della società. 

Tutto questo si può fare in maniera equa, trasparente e non speculativa, come dimostrano tante banche etiche che operano nel mondo e tante banche cooperative e del territorio.

Possiamo agire perché si diffonda una nuova consapevolezza sul ruolo sociale della finanza. Abbiamo gli strumenti per farlo: il nostro essere clienti e risparmiatori oltre che elettori!

Nazzareno Gabrielli è direttore generale di Banca Etica