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Tangenti nigeriane, il lungo j’accuse della Ong anticorruzione contro ENI

Al processo per la concessione OPL245, testimonia il presidente della Ong inglese Global Witness. E la difesa rimane senza parole...

Luca Manes
Luca Manes
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«Già nel 2002 ero a conoscenza dell’esistenza della Malabu. Se ne parlava nella rivista specializzata Africa Energy Intelligence e si diceva che la società era controllata da Dan Etete. Etete mi interessava perché era stato ministro del Petrolio, sotto il dittatore Sani Abacha».

I sospetti degli attivisti

Quanto la storia delle licenza petrolifera OPL 245 nasca da molto lontano lo conferma la testimonianza di Simon Taylor di Global Witness durante la decima udienza del processo milanese a Eni e Shell. Taylor, direttore e, nel 1993, tra i fondatori della Ong anti-corruzione inglese che ora può contare su 110 persone di staff e oltre 10 milioni di sterline di budget, tira anche lui in ballo uno dei personaggi chiave di questa intricata vicenda.

Intervista a Simon Taylor (presidente Global Witness) dopo la testimonianza al processo OPL 245 Dell’ex alto esponente del governo di Abacha, auto-intestatosi la ricchissima licenza petrolifera offshore OPL 245 alla fine degli anni Novanta, si è chiacchierato tanto sui giornali di settore, come evidenziato da Taylor il quale, forte della sua esperienza ultra-decennale in particolare nel settore oil & gas, ha subito fiutato delle potenziali anomalie in uno degli affari più importanti degli ultimi anni.

Le domande a Shell

«Quando nel 2008 abbiamo iniziato a interloquire in forma epistolare con Shell, alla società chiedevamo se erano al corrente di chi fosse Etete, condannato nel frattempo per riciclaggio di denaro per il caso Bonny Island nel 2008 (storia in cui era coinvolta anche l’Eni tramite la Snamprogetti, che ha di fatto patteggiato con le autorità statunitense pagando 365 milioni di dollari, ndr)».

La Shell, che intanto nell’aprile del 2011 aveva siglato l’affare insieme all’Eni, ha sempre risposto in maniera generica, confermando però che ogni forma di trattativa era stata condotta direttamente con il governo nigeriano e non con la Malabu.

E i colloqui con Descalzi

Più o meno la stessa linea tenuta da Eni, a cui Global Witness si è rivolta non solo con lettere, ma anche con la presenza e quesiti diretti nel corso di varie assemblee degli azionisti. A margine dell’assemblea del 2014, Taylor e i colleghi di Corner House e Re:Common, che nel frattempo il 9 settembre del 2013 avevano presentato l’esposto alla Procura di Milano, hanno chiesto e ottenuto un incontro con la dirigenza dell’Eni.

Quindi, non le solite chiacchiere con i responsabili della Corporate Social Responsability, ma uno scambio serrato con il numero due di Eni Roberto Casula – anche lui a processo – l’allora capo del dipartimento legale Massimo Mantovani e altri top manager del Cane a Sei Zampe.

In quell’occasione gli esponenti delle Ong anti-corruzione hanno battuto forte su una telefonata intercettata durante l’inchiesta P4 e che verteva su uno scambio in merito all’affare OPL 245 tra Claudio Descalzi (all’epoca non ancora amministratore delegato) e Luigi Bisignani. Un personaggio che Taylor ha imparato bene a conoscere durante i primi anni di indagine sul caso.

In quel meeting l’Eni non confermò che a parlare con Bisignani fosse proprio Descalzi, cosa che però è stata poi confermata successivamente. Sempre nei piani alti del palazzo dell’Eur si discusse di un rapporto interno sulla vicenda di cui i dirigenti del Cane a Sei Zampe ribadirono l’esistenza, senza però farlo vedere a Taylor e soci. Global Witness ha però continuato a scavare.

Anche l’interprete si confonde…

«Il nostro modus operandi consiste nel raccogliere tutti i documenti e le testimonianze che possono avere rilevanza per il caso, ma ovviamente anche svolgere missioni sul campo».

Grazie a un rapporto reso pubblico dal Parlamento nigeriano, anche Global Witness, così come la FBI, è venuta a conoscenza della lista di società che hanno beneficiato dei corposi trasferimenti fatti con il denaro pagato da Eni e Shell per la licenza.

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L’organizzazione inglese ha eseguito tutti i riscontri del caso, scoprendo che erano tutte entità fasulle – di fatto agli indirizzi menzionati nei documenti ufficiali non corrispondavano sedi vere e proprie. Tra i passaggi più delicati spiegati durante le testimonianza, alcuni così complessi da confondere anche l’interprete del Tribunale, non di rado ripresa dal pm Fabio De Pasquale, spicca quello su un rapporto della unità anti-corruzione nigeriana.

Nessuna domanda per la difesa

Nel documento non si cita mai Etete, ma solo perché tra i soci di Malabu risulta esserci il suo prestanome Kweku Amafegh. Gli altri due soci sono invece il figlio del dittatore Abacha e l’ex ambasciatore nigeriano nel Regno Unito. Non personaggi banali, insomma.

Quando tutti ci aspettavamo il contro-interrogatorio degli avvocati della difesa, ecco la sorpresa di giornata: nessuna domanda. Voglia di tenere un basso profilo, senza stuzzicare il teste e rischiare risposte “troppo scomode”?

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