Oro, Croazia, banche svizzere: la fuga dei risparmiatori italiani
Beni rifugio, titoli stranieri o conti esteri: i risparmiatori italiani cercano protezione. Ma dalla patrimoniale sarà dura fuggire
«Se venisse messo a repentaglio il valore della loro ricchezza i risparmiatori reagirebbero fuggendo e gli investitori stranieri sarebbero più rapidi». Così il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nelle Considerazioni finali diffuse alla fine di maggio. Affermazioni profetiche – ma non è neanche una notizia – alla luce della cronaca dei mesi successivi, complice l’ascesa dello spread e delle relative paure.
Lo scenario peggiore si chiama Italexit, l’addio dell’Italia alla moneta unica. Quello meno fantascientifico è noto come patrimoniale, temuta imposta sulla ricchezza che minaccia un imponibile complessivo da oltre 10 trilioni e mezzo di euro. E i numeri in ogni caso danno già ragione al governatore. Gli investitori stranieri, dicono i dati Bankitalia, sono già in fuga.
Da maggio ad agosto gli acquisti netti dei residenti esteri (saldo tra il valore dei titoli comprati e quello dei titoli ceduti) si sono ridotti di 66 miliardi. Un risultato in netta controtendenza rispetto ai mesi precedenti. Il calo, indovina un po’, ha riguardato soprattutto i titoli pubblici e le obbligazioni delle banche. Due classi di prodotti strettamente correlate.
«Per i risparmiatori il timore è reale»
Quanto ai risparmiatori nostrani la stima è complicata, ma qualche numero è già noto. La ricchezza degli italiani detenuta oltre frontiera, dicono le ultime rilevazioni, vale quasi 220 miliardi di euro.
Il dato è emerso con l’ultima voluntary disclosure che ha interessato più di 140mila contribuenti. Nel dettaglio ci sono:
- 95 miliardi di prodotti finanziari,
- 54 miliardi nei conti bancari,
- quasi 41 tra previdenza e beni mobili,
- 29 circa nel settore immobiliare.
Numeri sottostimati però, almeno per due motivi: intanto perché non tutto è stato dichiarato, ovviamente; in secondo luogo – ed è questo oggi l’aspetto più interessante – perché i movimenti in uscita sembrano destinati ad aumentare. In modo del tutto legale, si capisce.
La profezia di Visco«C’è un aumento significativo di richieste di informazioni anche se non possiamo sapere quante di queste si traducono in un effettivo spostamento di capitali; il timore però è reale» spiega a Valori Fabrizio Vedana, vicedirettore generale di Unione Fiduciaria, sottolineando inoltre il crescente interesse dei risparmiatori per l’acquisto di oro e beni-rifugio. Un grande classico nei momenti di forte preoccupazione. In caso di ritorno alla lira, dice la teoria, i titoli in valuta estera (come i bund tedeschi ad esempio) proteggerebbero l’investitore italiano dal rischio svalutazione.
C’era una volta in Svizzera
E portare soldi all’estero? Facile, almeno così pare, e soprattutto lecito. Basta andare oltre confine o magari un po’ più in là per trovare soddisfazione. Francia, Austria, persino Svizzera dove il segreto bancario è ormai un ricordo, suggestione perduta del tempo che fu.
Il contribuente informa il fisco italiano, con il quale gli istituti elvetici sono ormai collaborativi. Tutto lecito, tutto più semplice. Tra i più interessati, nota il Sole 24 Ore, i risparmiatori di piccolo o medio calibro, “esuli” da 100 o 200mila euro che nulla chiedono se non un po’ di tranquillità. Le spese di gestione dei conti sono abbastanza elevate. Ma attenzione: da qualche tempo le banche più piccole avrebbero iniziato a fare concorrenza ai big praticando condizioni migliori. Buono a sapersi.
Croazia, il Paese del «fisco amico»
Tra le destinazioni un po’ più esotiche spicca invece la Croazia, dove «le banche sono ormai sicure e affidabili», precisa Nicola Silvestrini, partner dell’omonimo studio di commercialisti di Legnago (Verona), nel cuore del profondo Nord Est.
Paese emergente dell’Unione Europea, la Croazia è molto interessata ad attrarre capitali esteri e non è un caso, assicura l’esperto, che la sua legislazione bancaria sia piuttosto liberal. «Si può prelevare anche un milione di euro cash e i conti possono essere denominati nella moneta unica (cui la valuta croata è comunque agganciata, ndr)» ma quel che più conta, sottolinea Silvestrini, è il clima generale: «lì c’è un fisco amico, c’è un rapporto più disteso tra cittadini e agenzia delle entrate».
E in alternativa? La Francia? «È un Paese socialista (Sic) e fiscalmente impegnativo» conclude l’esperto. «Se uno scappa dall’Italia per non vedersi applicare la patrimoniale rischia poi di doverne pagare un’altra decisa da Parigi». Come non detto.
SOS Patrimoniale
Il fantasma è sempre lì e la paura dei risparmiatori è ampiamente giustificata. «Al momento l’ipotesi di una patrimoniale spaventa di più rispetto allo scenario Italexit» sostiene Fabrizio Vedana. «Ma in quel caso – aggiunge – sfuggire all’imposta risulterebbe difficile a meno che la tassa non si concentri solo sugli asset detenuti in Italia. Difficile ipotizzarlo per ora».
Il nodo è più o meno tutto qui, e non è un dettaglio da poco. Le attività all’estero, è bene ricordarlo, devono essere dichiarate. Ma il vero problema, in realtà, è l’incertezza: nessuno può ipotizzare in anticipo l’architettura di una futura imposta sulla ricchezza, anche perché «a livello di tassazione ogni Stato membro detta le sue regole».
Sul tavolo per ora non c’è nulla. A parte l’ormai celebre proposta Wendorff, la patrimoniale sui generis al 20% con obbligo di investimento in Btp. Che dire? «Non sarebbe un’imposta progressiva e già per questo motivo ci sarebbero dubbi sulla sua costituzionalità» osserva ancora Vedana. «E poi, in ogni caso, sarebbe facile eluderla legalmente: basterebbe spostare la liquidità in strumenti diversi come polizze o trust. Anche se queste, si sa, sono strategie disponibili soprattutto per i contribuenti più ricchi». Che alla fine, è ovvio, cadono sempre in piedi.