«Il piano di Eni in Africa per la produzione di biocarburanti è al palo»
Lo sostiene un'indagine di Transport & Environment sui progetti di Eni in Kenya e Congo: troppe le difficoltà di produrre biocarburanti su larga scala
Sviluppare specifiche colture per aumentare la produzione di biomasse, quindi sostenere l’utilizzo dei biocarburanti come alternativa al petrolio e al gas. Questo il piano di Eni in Africa – appoggiato fortemente dal governo italiano – che, però, non starebbe andando nel verso sperato. Lo rivela un’indagine di Transport & Environment, l’associazione indipendente ambientalista europea con focus sui trasporti. Secondo l’indagine condotta in collaborazione con The Continent, il gigante petrolifero italiano non starebbe mantenendo la promessa di produrre migliaia di tonnellate di colture energetiche per biocarburanti.
L’obiettivo di produzione agricola di Eni per il Kenya nel 2023 è di 30mila tonnellate annuali. La produzione, nei piani dell’azienda, aumenterebbe a 200mila tonnellate all’anno entro il 2026. Nella Repubblica del Congo, Eni si è impegnata a produrre 170mila tonnellate all’anno entro il 2026. Complessivamente, Eni si è impegnata a spedire tonnellate di olio vegetale dall’Africa verso le nostre bioraffinerie. In aumento fino a 700mila tonnellate entro il 2026, corrispondenti a circa un quarto della sua capacità di raffinazione.
La scommessa di Eni sui biocarburanti
Eni ha puntato molto sui biocarburanti. È notizia dello scorso mese la firma di un importante accordo con Ryanair per la fornitura dei cosiddetti combustibili sostenibili per l’aviazione (SAF). Il governo italiano, d’altra parte, guarda all progetto di Eni considerandolo parte integrante della sua strategia per arginare, attraverso lo sviluppo economico locale, i flussi migratori dall’Africa. Una parte fondamentale di questa strategia riguarda appunto gli investimenti energetici. Durante il recente summit Italia-Africa, la presidente del Consiglio Meloni ha parlato dell’Italia come di un naturale hub energetico tra l’Ue e l’altra sponda del Mediterraneo.
Eni ha promesso di creare un’intera filiera di “oli sostenibili” da colture agricole. E ha strutturato accordi con sei Paesi africani per sviluppare degli “agri-hub” che forniranno olio vegetale per le sue raffinerie italiane. La principale coltura su cui Eni sta scommettendo è quella del ricino. Presentata come resistente alla siccità e adatta alla coltivazione su terreni di scarsa qualità.
Interviste sul campo con agricoltori e altre figure chiave nei Paesi dove la stessa azienda sostiene che i progetti sono più avanzati – Kenya e Repubblica del Congo – mostrano però come Eni avrebbe promesso troppo e fornito troppo poco. L’analisi dei dati in Kenya mostra che Eni non è riuscita a raggiungere nemmeno un quarto dei suoi obiettivi di produzione per il 2023. Mentre nella Repubblica del Congo i progetti di Eni sono fermi allo stadio pilota da più di 18 mesi.
Dal Kenya Eni ha esportato solo il 24,5% del suo obiettivo iniziale
I dati doganali analizzati da T&E, che coprono il periodo gennaio-novembre 2023, indicano che sono state spedite dal Kenya in Italia 7.348 tonnellate di olio di ricino. Questo quantitativo si componeva di due spedizioni, una a luglio e una ad agosto 2023. Ma, stando all’agenzia di reporting dei prezzi delle materie prime Argus, nessuna ulteriore spedizione di olio di ricino è stata effettuata, tra settembre e novembre 2023. Il che suggerisce che Eni avrebbe esportato appena il 24,5% delle 30mila tonnellate/anno pianificate. Cioè meno di un quarto del suo obiettivo iniziale fissato per il 2023, così come indicato nel suo paper “Seeds for Energy”.
Quello stesso obiettivo è stato successivamente rivisto al ribasso (20mila tonnellate/anno) nel report annuale dell’azienda del 2022. In risposta alle domande poste dal team investigativo di Transport & Environment, Eni ha rifiutato di fornire cifre sui volumi di produzione spediti dal Kenya in Italia nel 2023. Raggiungere l’obiettivo di 200mila tonnellate entro il 2026 – così come pianificato dall’azienda – renderebbe necessario un aumento della produzione di 27 volte quella dello scorso anno.
Le testimonianze degli agricoltori kenioti mostrano come l’azienda abbia appaltato la semina e il raccolto delle colture a una complessa rete di intermediari e cooperative. Causando inefficienze e delusioni per migliaia di piccoli agricoltori. In assenza di un supporto adeguato da parte di Eni e dei suoi agenti e “complice” la peggiore siccità degli ultimi 40 anni, tanto i raccolti quanti i ricavi degli agricoltori sono stati gravemente colpiti.
In Congo un approccio diverso, ma stesso risultato
Nella Repubblica del Congo, Eni sta adottando un approccio diverso. Invece di fare affidamento sull’agricoltura su piccola scala, il gigante petrolifero sta collaborando con grandi aziende agricole. Tuttavia, le difficoltà incontrate nell’adattare le varietà di semi alle condizioni locali starebbero rallentando i progetti. Le produzioni commerciali successive allo stadio pilota devono ancora partire. Intanto, gli agricoltori locali in due dei siti pilota di Eni in Congo affermano che le terre tradizionalmente coltivabili sono state espropriate dal governo a favore delle aziende agricole con cui la multinazionale italiana sta lavorando, Agri Resources e Tolona. Mettendo in dubbio i benefici per la popolazione locale.
Nonostante (insieme al Kenya) quella congolese sia la “più avanzata” tra le iniziative per la produzione di biocarburanti da parte di Eni in Africa, il flusso di olio vegetale dal Paese centrafricano verso l’Italia non è ancora iniziato. Gli obiettivi di produzione di Eni in Congo sono solo leggermente meno ambiziosi rispetto al Kenya: 170mila tonnellate all’anno previsti dal 2026. Ma dopo 18 mesi di fase pilota nessun olio vegetale è stato prodotto.
Non essendo riuscita, nel corso del 2023, a fare progressi verso la produzione commerciale in Congo, Eni ha comunicato a T&E che «le attività sono in preparazione per la stagione agricola 2024». L’azienda condurrà prove pilota su 1.200 ettari di terreno e afferma di aver «individuato» 20mila ettari dove coltiverà ricino a partire da settembre. Queste attività verranno condotte nelle stesse regioni dove si sono svolte le prime infruttuose prove. In particolare nelle regioni di Niari e Bouenza in cui operano Agri Resources e Tolona, nonché nella regione di Pool. Solo le «varietà più performanti» verranno adottate nel 2024, ha detto Eni.
«Non esistono colture miracolose»
«È la prima volta che una compagnia petrolifera entra nel business delle coltivazioni per la produzione di carburante. Questo rappresenta un tentativo importante di incrementare la produzione di biocarburanti», commenta, Agathe Bounfour, responsabile del programma Oil & Gas di T&E. «Le evidenze raccolte in Kenya e in Repubblica del Congo suggeriscono che queste nuove fonti energetiche su cui sta puntando Eni non porteranno sviluppo in Africa. Tantomeno saranno una soluzione per i fabbisogni energetici europei. Le producibilità di miracolose colture energetiche resistenti alla siccità in terre aride appare troppo bella per essere vera. E in effetti non lo è».
Tuttavia, la International Finance Corporation (IFC), che investe fondi pubblici per conto della Banca Mondiale in progetti di sviluppo guidati dal settore privato, sta considerando di concedere un prestito di 210 milioni di dollari a Eni Kenya per sviluppare ulteriori agri-hub nel Paese. Al momento della pubblicazione, l’IFC ha dichiarato a T&E che riguardo a tale prestito non è ancora stata adottata alcuna delibera. Ma non ha fornito dettagli sulla tempistica per una eventuale decisione di investimento.
Intanto Eni continua gli investimenti nel fossile
Mentre la strategia sui biocarburanti stenterebbe a decollare, Eni continua a investire in petrolio e in gas. Secondo un rapporto del 2022 di Urgewald, basato sulla Global Oil and Gas Exit List (GOGEL), l’azienda risulta essere il secondo maggior produttore di petrolio e gas nel 2021 in Africa. L’approvvigionamento africano ha pesato per il 59% della produzione di idrocarburi della major italiana. Che è classificata come il terzo sviluppatore di nuove risorse upstream di petrolio e gas nel continente. A fronte dei 25 miliardi di euro che l’azienda intende destinare nel quadriennio 2023-2026 per nuove esplorazioni e per lo sviluppo di nuovi progetti, nonché per mantenere le attività estrattive esistenti, sono 3,4 invece i miliardi di euro che saranno spesi nello stesso periodo per sviluppare la capacità di produzione di biocarburanti.
In risposta alle domande di T&E, Eni ha negato di aver importato dall’Africa meno di quanto annunciato. E ha sottolineato i «miglioramenti attesi sui rendimenti agricoli» con l’introduzione di nuove varietà vegetali. Tuttavia, le testimonianze dei partner del progetto e di esperti dirigenti agricoli kenioti sollevano dubbi sulla possibilità che l’introduzione di nuove varietà sia risolutiva dei problemi strutturali che il progetto ha incontrato finora.
«Difficile non interrogarsi sulla solidità della strategia di Eni in Africa»
Carlo Tritto, Policy Officer per T&E Italia, conclude: «Nel discorso di presentazione del Piano Mattei, la presidente del Consiglio Meloni ha esplicitamente fatto riferimento al progetto di Eni in Kenya, che dovrebbe arrivare a coinvolgere 40mila agricoltori locali. Le ricerche sul campo mostrano come tanti di questi agricoltori starebbero già abbandonando le coltivazioni di Eni poiché non profittevoli».
Secondo Tritto, «la multinazionale italiana vuole arrivare a importare 700mila tonnellate all’anno dagli agri-feedstock africani nei prossimi anni, ma lo scorso anno ha raccolto poco più di 7mila tonnellate dai suoi progetti più avanzati. Difficile non interrogarsi sulla solidità della sua strategia in Africa, così come sugli orizzonti di sviluppo paventati dal governo italiano, che nei biofuels individua anche un asset chiave per la decarbonizzazione. Il tempo dirà se questo piano sia davvero un gigante dai piedi d’argilla. Certo è, già oggi, che altre forze industriali hanno investito in soluzione energetiche per la transizione più credibili».