Trump e i miliardari della tecnologia: cosa ci guadagna la Silicon Valley
Con Trump alla Casa Bianca, l’élite tech ottiene deregole, incarichi, fondi pubblici e potere. E l’IA corre senza freni
Dalla sua rielezione alla Casa Bianca, Donald Trump si è fatto notare per gli scandali e le polemiche che ha suscitato: dalla politica anti-migranti alle decisioni in ambito internazionale, fino agli attacchi contro le istituzioni federali. Ma l’élite della tecnologia, che ha scelto di sostenere il candidato repubblicano, ha ottenuto in cambio massicce deregolamentazioni, una forte spinta alla produzione energetica, incarichi nell’amministrazione e appalti pubblici. Un investimento che ha dato i suoi frutti, appena offuscato dalle schermaglie personali tra Trump ed Elon Musk.
L’intelligenza artificiale corre senza regole con Trump
I baroni della Silicon Valley temevano che l’espansione dell’intelligenza artificiale e delle criptovalute potesse essere ostacolata dalle regolamentazioni? Con Trump alla Casa Bianca, non hanno più nulla di cui preoccuparsi. Il 20 gennaio, subito dopo il giuramento, il neo-presidente ha revocato il decreto n. 14110 firmato nel 2023 da Joe Biden, che mirava a promuovere un uso responsabile ed etico dell’IA e a ridurne i rischi per consumatori, lavoratori e sicurezza nazionale. Un passo indietro sul fronte della trasparenza e della tutela della privacy, ma un’autostrada spalancata per i venture capitalist della tecnologia.
Questa autostrada, l’amministrazione Trump ora vuole proteggerla da ogni tentativo di regolamentazione a livello statale. Una clausola inclusa inizialmente nella «grande e bellissima legge» (One Big, Beautiful Bill) – che comprende anche una serie di agevolazioni fiscali per i grandi patrimoni e drastici tagli all’assicurazione sanitaria – prevedeva il divieto, per tutti gli Stati americani e per i prossimi dieci anni, di adottare qualsiasi norma o regolamento che potesse limitare o disciplinare i modelli e i sistemi di intelligenza artificiale. La proposta è poi stata scartata. Un simile moratorio avrebbe potuto bloccare leggi già introdotte in Stati come California o New York, in materia di trasparenza dei dati utilizzati per addestrare l’IA o dei bias algoritmici.
Criptovalute: indagini sospese e deregolamentazione totale
Sul fronte delle criptovalute, la Securities and Exchange Commission (SEC), autorità di vigilanza dei mercati finanziari statunitensi, aveva avviato una serie di indagini su piattaforme sospettate di varie irregolarità. Indagini che sono state abbandonate dopo l’arrivo di Donald Trump al potere. Sono state abrogate anche le norme del Staff Accounting Bulletin (SAB) 121, che obbligavano le banche a dichiarare le criptovalute detenute per conto dei propri clienti e a mantenere riserve adeguate per garantirne la sicurezza.
L’amministrazione Biden aveva inoltre creato un’unità speciale del Dipartimento di giustizia per contrastare gli abusi nel settore delle criptovalute. In particolare il riciclaggio di denaro attraverso queste piattaforme. Unità che è stata smantellata dall’amministrazione repubblicana, in applicazione del decreto per «rafforzare la leadership americana nel campo della tecnologia finanziaria digitale». Che ordina ai dipartimenti del Tesoro e della Giustizia, nonché a tutte le agenzie federali, di rivedere le proprie regolamentazioni sulle criptovalute per modificarle o abrogarle del tutto. Lo stesso decreto prevede anche la creazione di una riserva nazionale di asset finanziari digitali.
Se gli investitori della tecnologia possono gioire per questa deregolamentazione massiccia e per le grazie concesse da Donald Trump ad attori delle criptovalute già condannati, queste decisioni sollevano interrogativi sui conflitti di interesse del presidente. Secondo il magazine Forbes, infatti, Trump ha guadagnato 57,4 milioni di dollari grazie a World Liberty Financial, una società di criptoattività di cui è parzialmente proprietario. Tre giorni prima del suo insediamento, Donald Trump aveva inoltre lanciato il suo token personale, il $Trump. Anche altri membri della sua famiglia hanno investito nel settore.
Via libera alle energie fossili nell’era Trump
«L’IA e l’energia sono temi strettamente connessi», spiegava Marc Andreessen nel novembre 2024, durante un podcast dedicato alle trasformazioni attese dal settore tech dopo l’elezione di Donald Trump. Il timore dei venture capitalist è quello di trovarsi di fronte a un «collo di bottiglia», cioè a una carenza di energia che ostacoli lo sviluppo dei loro prodotti, soprattutto se le leggi ambientali e climatiche dovessero limitare la capacità produttiva. L’addestramento di un singolo modello di intelligenza artificiale può consumare migliaia di megawattora di elettricità ed emettere centinaia di tonnellate di CO2. Gli interessi dell’industria fossile si intrecciano così con quelli del settore tech.
Nel giorno del suo insediamento, Donald Trump ha premiato entrambi i settori, che avevano ampiamente finanziato la sua campagna, proclamando lo «stato d’emergenza energetica» e archiviando la lotta contro i cambiamenti climatici. Ha inoltre firmato una serie di decreti per facilitare la costruzione di centrali nucleari, abrogando norme di sicurezza che ha definito «irrazionali». Per la Casa Bianca, «un’energia abbondante è un interesse vitale per la sicurezza nazionale ed economica. Associata alla produzione nazionale di combustibili fossili, l’energia nucleare può liberare l’America dalla dipendenza dai suoi rivali geopolitici. Può alimentare non solo le industrie manifatturiere tradizionali, ma anche i settori avanzati e ad alto consumo energetico, come l’intelligenza artificiale e il calcolo quantistico».
Più trivelle, meno regole: il piano energetico trumpiano
Per quanto riguarda carbone, petrolio e gas, l’amministrazione Trump accelererà le procedure per l’esame dei permessi di estrazione e aprirà allo sfruttamento aree precedentemente protette, come i parchi nazionali o le terre incontaminate dell’Alaska. L’“emergenza energetica nazionale” è stata invocata, ad esempio, per prolungare l’attività di una miniera di carbone nel Michigan. Il decreto firmato dal segretario all’Energia Chris Wright – che ha fondato e diretto diverse aziende nel settore del gas da scisto – giustifica questa decisione con la necessità di evitare blackout in caso di aumento della domanda di energia.
Poiché attualmente il Michigan non affronta alcuna minaccia di carenza energetica, ci si può chiedere se questa preoccupazione sia legata alla costruzione di nuovi data center ad alto consumo energetico nello Stato. In ogni caso, gli investitori del settore tecnologico possono stare tranquilli: i loro enormi fabbisogni elettrici oggi hanno la precedenza sulla lotta contro il riscaldamento globale.

I miliardari del tech entrano nell’amministrazione Trump
Se l’industria tech non ha troppo di cui preoccuparsi riguardo alle politiche adottate dal presidente repubblicano, è anche perché è riuscita a inserirsi nei meccanismi della sua amministrazione: niente funziona meglio, del resto, che occupare il posto del regolatore per farsi (de)regolare a proprio piacimento.
Primo alleato dei big della Silicon Valley è il vicepresidente JD Vance, il cui mentore (e finanziatore delle prime campagne elettorali) è stato Peter Thiel. Vance ha lavorato per Mithril Capital, il fondo di venture capital di Thiel, prima di fondare la propria società, Narya Capital, con il sostegno – tra gli altri – di Marc Andreessen. Lo scorso 18 marzo, ospite a un summit organizzato da Andreessen e Horowitz a Washington, JD Vance ha promesso a una platea di leader del settore tecnologico: «Ridurremo le vostre tasse, ridurremo le regolamentazioni, ridurremo il costo dell’energia, così potrete costruire, costruire, costruire».
Sempre alla Casa Bianca, lo “zar” dell’IA e delle criptovalute di Donald Trump è David Sacks, ex PayPal e co-fondatore di Palantir (insieme a Thiel), mentre il suo consigliere per l’IA è Sriram Krishnan, socio di Andreessen e Horowitz. A capo dell’Ufficio per la politica scientifica e tecnologica c’è Michael Kratsios, che ha lavorato in passato per società d’investimento di Peter Thiel (tra cui Clarium Capital) e che aveva già fatto parte della prima amministrazione Trump. Altri alti funzionari dell’attuale amministrazione Trump hanno lavorato in passato per la Palantir di Thiel e Sacks: tra questi, Gregory Barbaccia (direttore federale per l’informazione alla Casa Bianca), Jacob Helberg (sottosegretario alla Crescita economica, energia e ambiente) e Clark Minor (direttore tecnico presso il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani).
DOGE: il dipartimento trumpiano creato dai miliardari tech
Le porte girevoli tra settore privato e amministrazione pubblica non sono una novità, né riguardano solo l’industria tecnologica. Eppure, con il nuovo mandato di Donald Trump, questa commistione ha assunto una nuova dimensione con la creazione del Department of Government Efficiency (DOGE), inizialmente diretto dal mediaticissimo Elon Musk. Se da un lato Musk ha occupato la scena sul piano della comunicazione, il DOGE avrebbe anche beneficiato del supporto volontario di venture capitalist come Marc Andreessen e Antonio Gracias, e ha assunto decine di figure legate ai miliardari del tech e del capitale di rischio (ex dipendenti di Palantir, SpaceX, X, ecc.), alcune delle quali sono rimaste in carica anche dopo l’uscita di scena del patron di Tesla.
La creazione del DOGE riflette l’allineamento dei leader tecnologici con l’ideologia libertaria e conservatrice che caratterizza gran parte dell’entourage di Donald Trump. L’obiettivo è quello di ridimensionare drasticamente l’amministrazione federale, anche a costo di chiudere agenzie e licenziare in massa, per ridurre la spesa pubblica (a sua volta giustificata dal taglio delle tasse), ma anche per eliminare regolamentazioni e persino… parole: quelle legate a temi climatici o alla giustizia sociale e all’uguaglianza. Una visione in linea con le istanze reazionarie dei venture capitalist, ma anche con le ambizioni del “Project 2025” promosso dai think tank conservatori guidati dalla Heritage Foundation. L’uscita di Musk, insomma, non dovrebbe cambiare molto.
Trump e i tech bros smantellano le agenzie federali
È difficile stabilire con esattezza cosa resterà dei “tagli” del DOGE, viste le sue azioni spesso caotiche, opache e talvolta persino illegali. Tuttavia, il dipartimento ha destabilizzato una parte dell’apparato federale, in particolare le agenzie incaricate di supervisionare il settore tech. Nel maggio 2025, un rapporto dell’ong Public Citizen ha stimato che Elon Musk fosse in conflitto di interessi con oltre il 70% delle agenzie sotto il controllo delle sue squadre. Il DOGE si è scagliato, ad esempio, contro l’ente federale dell’aviazione (FAA), che aveva aperto indagini su SpaceX per problemi causati dai lanci (caduta di detriti e danni ambientali), arrivando anche a proporre multe contro l’azienda.
Alcuni posti sono stati soppressi anche presso la National Highway Traffic Safety Administration, che aveva avviato indagini su incidenti che coinvolgevano auto Tesla, e che valuta i rischi dei veicoli autonomi. Riduzioni di personale e risorse hanno colpito anche l’Agenzia per la protezione dell’ambiente (EPA), che aveva già contestato a Tesla violazioni della legge sulla qualità dell’aria e a SpaceX danni alla qualità delle acque.
Nonostante l’uscita di Musk, il DOGE resta pieno di ex dipendenti del settore tecnologico, interessati a tutelare i propri interessi. Gavin Kliger, ingegnere della società di IA Databricks (sostenuta da Andreessen e Horowitz), ha lavorato ai licenziamenti presso il CFPB (l’Ufficio per la tutela finanziaria dei consumatori), pur possedendo – secondo quanto riportato – 750mila dollari in azioni di aziende soggette alla supervisione dell’agenzia, come Tesla, Apple e Alibaba. È un caso se i tagli al fisco (IRS) hanno colpito in modo sproporzionato l’unità che controlla i miliardari?
Contratti pubblici miliardari per Musk, Palantir & co.
Pur criticando il peso dell’amministrazione federale, i leader del tech non disdegnano certo i contratti pubblici. A cominciare da Elon Musk, che secondo il Washington Post avrebbe ricevuto oltre 38 miliardi di dollari in 20 anni sotto forma di sussidi, finanziamenti e commesse per le sue aziende Tesla e SpaceX. Nel 2024, Palantir ha incassato 1,2 miliardi di dollari grazie a contratti governativi.
Il ritorno di Trump non dovrebbe intaccare questa pioggia di denaro. Palantir è tra i principali beneficiari della nuova campagna contro l’immigrazione lanciata dall’amministrazione, fornendo strumenti di analisi dati all’Agenzia per l’immigrazione e le dogane (ICE). Stephen Miller, architetto della politica anti-immigrazione di Trump, è peraltro anche azionista di Palantir. In ambito difesa, la volontà di Trump di costruire una sorta di “Cupola d’Oro” potrebbe tornare utile a SpaceX, Palantir e Anduril (sostenuta da Andreessen), aziende unite attorno a questo progetto. Il 20 maggio 2025, il segretario alla Salute Robert F. Kennedy Jr. ha incontrato diverse aziende tecnologiche attive nel settore sanitario, quasi tutte sostenute da Andreessen e Horowitz. La start-up Ramp, finanziata da Peter Thiel, sarebbe invece in lizza per ottenere un contratto multimilionario per la fornitura di carte di credito ai funzionari governativi.
A inizio maggio, Wired ha rivelato che Anthony Jancso, ex Palantir, fondatore della start-up AccelerateX e dipendente del DOGE, aveva scritto su Slack per reclutare personale in un progetto volto a sostituire funzionari federali con l’intelligenza artificiale. Alcuni articoli della “One Big Beautiful Bill” prevedono infatti l’impiego dell’IA nei Dipartimenti della Difesa, del Commercio, delle Dogane e della Sanità, con l’obiettivo di individuare pagamenti non giustificati nel programma Medicare, l’assicurazione sanitaria per anziani e persone con disabilità. Le opportunità, per i giganti del digitale e la galassia di start-up sostenute dai fondi di venture capital, non mancheranno.
Dazi come leva politica a vantaggio della Silicon Valley
È vero, il settore tech – come del resto tutto il mondo degli affari – non ha accolto con entusiasmo gli annunci di Donald Trump sui dazi. Anche gli investimenti dei venture capitalist hanno potuto risentire delle fluttuazioni di Borsa causate dalle dichiarazioni contraddittorie del presidente. Tuttavia, se queste minacce sono usate come leve di negoziazione, potrebbero ancora una volta giocare a favore della Silicon Valley. Anche in modo molto diretto: ad esempio, quando il Dipartimento di Stato incoraggia i propri partner commerciali ad adottare i servizi Starlink di Elon Musk, come rivelato dal Washington Post.
Il Lesotho ha assegnato un contratto a Starlink subito dopo che Donald Trump ha annunciato dazi del 50% sul Paese. Un promemoria ottenuto dal giornale esclude ogni coincidenza: «Mentre il governo del Lesotho negozia un accordo commerciale con gli Stati Uniti, spera che la concessione di una licenza a Starlink dimostri la sua buona volontà e l’intenzione di accogliere imprese americane.» Minacciata dalla guerra commerciale di Trump, anche l’India ha fatto una serie di concessioni agli Stati Uniti in vari settori, tra cui il rilascio di una licenza a Starlink.
I dazi, dunque, come semplice strumento di pressione? È questa, almeno, l’opinione di Peter Thiel, intervistato in proposito da Joe Lonsdale, un altro dei cosiddetti “tech bros”. Se da un lato Thiel ritiene che la deregolamentazione – in particolare ambientale – possa riportare qualche industria negli Stati Uniti, la vera priorità per lui è sottrarre potere alla Cina e trasferire la produzione in Paesi che non intendano competere con gli interessi americani.
Il mondo prova a tassare la tech, ma Trump minaccia ritorsioni
L’altro ostacolo sulla strada dei miliardari della Silicon Valley è rappresentato dai tentativi, da parte di alcuni Paesi o gruppi di Paesi, di imporre regole o tasse. Anche in questo caso, di fronte alla minaccia di Trump di interrompere immediatamente i negoziati commerciali, i vertici del Canada hanno annunciato l’abbandono del progetto di tassa sui servizi digitali, che avrebbe permesso di recuperare parte dei profitti generati nel Paese dai colossi americani del web.
L’Unione europea e le sue ambizioni regolatorie (Digital Services Act, Digital Markets Act e AI Act) sono ora nel mirino. Il futuro di queste leggi, pensate per tutelare i consumatori europei, dipenderà dalla capacità dell’UE di mantenere l’unità nelle trattative. Un’unità messa sotto attacco – prevedibilmente – dai movimenti di estrema destra vicini al trumpismo nel Vecchio Continente.
L’articolo è stato pubblicato in francese su Observatoire des multinationales e tradotto in italiano dalla redazione di Valori.it
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