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Umanità e ambiente. Essere buoni paga

Dove si contrastano soprusi e disparità, si attirano investimenti e aumenta il benessere collettivo. Tutti gli articoli dal dossier sui diritti umani.

Emanuele Isonio
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Emanuele Isonio
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Valori 155, febbraio 2018 – dossier Gli abusi non fanno crescere

copertina VALORI 155 febbraio 2018

Umanità e ambiente. Essere buoni paga

di Emanuele Isonio

Gli economisti sono ormai concordi: dove si contrastano soprusi e disparità, si attirano investimenti e aumenta il benessere collettivo

tabella IL DANNO ECONOMICO DELLA VIOLENZA SULLE DONNE – Valori 155 febbraio 2018 – clicca e ingrandisci

Siamo realisti: spesso per gli speculatori senza scrupoli fare affari disinteressandosi (o anche palesemente violentandoli) dei diritti di ecosistemi naturali, popolazioni locali, lavoratori, è una forma di guadagno facile, rapido e a basso costo. Ma se dal fatturato di un’impresa si passa a ragionare a livello macroeconomico a lungo termine, il discorso cambia. E la tutela delle diverse categorie di diritti umani si rivela un buon affare. Riconosciuto sempre più spesso dagli economisti. «Trovare studi capaci di includere e misurare tutti i tipi di diritti è impossibile. Esistono però analisi su temi specifici che mostrano indubbie correlazioni tra il rispetto di alcuni diritti e le performance economiche di uno Stato» spiega Roberto Antonietti, docente di Globalizzazione economica e diritti umani all’università di Padova. «Tra l’altro in letteratura non si trova nessuno studio che indichi il rispetto dei diritti umani come un freno alla crescita». Ci sono ad esempio indagini sul legame tra soprusi, costi sociali, sanitari e danni alla produttività. Come quello realizzato, proprio in Italia, cinque anni fa, dalle ricercatrici di varie università sui danni economici della violenza sulle donne: quasi 17 miliardi di euro annui, tra spese sanitarie, costi per l’ordine pubblico, i servizi sociali ma, soprattutto, per la mancata produttività lavorativa e per il risarcimento dei danni fisici e morali (vedi ). O come i tanti calcoli sulle esternalità negative causate dall’inquinamento (vedi  a pag. 11) che, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, solo in Italia provocano danni per 88 miliardi di euro l’anno e si mangiano quasi 5 punti di Pil. Ci sono poi indagini sui costi per il sistema Paese connesse con le violazioni dei diritti sindacali e del lavoro. E ancora, studi sui vantaggi degli investimenti in accesso ai servizi sanitari (vedi  a pag. 14) e altri che invece spiegano l’intimo legame tra livello di pacificità, riduzione delle disuguaglianze e tutela delle libertà civili (vedi  a pag. 28).

grafici I LEGAMI TRA DIRITTI UMANI, BENESSERE E CRESCITA – Valori 155 febbraio 2018 – clicca e ingrandisci

DIRITTI = SVILUPPO = CRESCITA «Ma lo studio più completo – spiega Antonietti – è probabilmente quello realizzato dai ricercatori tedeschi Lorenz Blume e Stefan Voigt delle università di Kassel e Marburg» che hanno ricostruito le indagini di altri economisti, evidenziando quattro tipi di diritti che influenzano investimenti, produttività e crescita economica (vedi ): diritti umani di base, diritti di proprietà, diritti civili, uguaglianza di genere e garanzie per i lavoratori. La motivazione alla base del legame è tutto sommato comprensibile: “Affinché i fattori di produzione diventino produttivi – si legge nello studio tedesco – è essenziale una minima quantità di certezza. Le violazioni dei diritti umani fondamentali avvengono spesso in modo non sistematico e pericoloso. Possono quindi essere interpretate come un indicatore dell’assenza di alcune forme essenziali di certezza e portano a un abbassamento degli investimenti che a sua volta porterà a tassi di crescita economica più bassi, con conseguente riduzione del reddito pro capite”.

SANZIONI CERTE, AZIENDE PIÙ LIGIE Certo, ancora lunga è la strada perché il rapporto tra diritti e sviluppo illumini le scelte. Non solo in campo politico, ma anche nelle strategie aziendali, che spesso sottovalutano i rischi di un eccesso di spregiudicatezza contro ambiente e dipendenti. Ma quanto pesa il danno di immagine sulla performance di un’impresa? Tanto, poco, nulla: dipende. Le ricerche sull’impatto reputazionale per le compagnie delle economie avanzate, notavano nel 2011 i ricercatori della Yasar University di Bornova, in Turchia, avevano prodotto “risultati contrastanti che indicavano relazioni positive, parziali o addirittura inesistenti”. Problema complesso, che gli studi successivi non sembrano aver risolto. Quando però i comportamenti irresponsabili vengono sanzionati – infliggendo così un danno tangibile ai bilanci della corporation – allora la musica cambia: lo sanno bene gli azionisti di BP, la compagnia petrolifera britannica protagonista dell’immane disastro ambientale del golfo del Messico il 20 aprile 2010 provocato dall’incendio della piattaforma Deepwater Horizon. Nei due mesi successivi, il titolo BP perse il 55% del suo valore scendendo a quota 27 dollari per azione e bruciando qualcosa come 105 miliardi di dollari (vedi ). Determinante la consapevolezza delle inevitabili sanzioni pecuniarie e delle spese legali, poi puntualmente affrontate dalla compagnia. Le azioni BP, scambiate oggi attorno ai 40 dollari, non sono mai più tornate ai valori pre-incidente. ✱

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Tutti gli articoli del dossier sono resi disponibili su Valori.it man mano che ci avviciniamo all’inizio del Festival dei Diritti Umani (20 marzo) e Fa’ la cosa giusta! 2018 (23 marzo). Li trovate qui.