Cop29: addio definitivo agli 1,5 gradi? Facciamo chiarezza
Cosa significa superare gli 1,5 gradi di riscaldamento globale rispetto ai livelli preindustriali? Soprattutto, siamo in tempo per evitarlo?
Il 2024 è ormai avviato a segnare due record, naturalmente negativi. Sarà nuovamente l’anno più caldo di sempre nonché il primo anno in cui viene superata la soglia di 1,5 gradi centigradi rispetto all’era preindustriale.
Formalmente, l’Accordo di Parigi sul clima si considera “violato” in questa soglia più prudenziale quando gli 1,5 gradi saranno superati come media ventennale. Questo potrebbe comunque avvenire nel corso del prossimo decennio, forse già nel 2030. Cosa significa però superare gli 1,5 gradi e, soprattutto, siamo in tempo per evitarlo?
L’obiettivo degli 1,5 gradi: un po’ di storia
Degli 1,5 gradi si iniziò a parlare durante la fallimentare Cop15 di Copenaghen. Era il 2009 e si sperava di raggiungere un accordo sul clima forte e politicamente vincolante, con impegni negoziati Stato per Stato.
Allora, più che di 1,5 gradi nel negoziato si parlava di obiettivi in termini di CO2. Del resto, la Convenzione Onu sul clima parla di «stabilizzare le concentrazioni di gas serra», non di limitare la temperatura. Il riferimento era l’articolo di James Hansen e altri ricercatori Target atmospheric CO2: Where should humanity aim? che citava appunto le 350 parti per milione, limite che secondo Hansen sarebbe la «soglia di sicurezza» e che è ormai superato in realtà dal 1990.
350 ppm era un simbolo per i movimenti della società civile. Sorse anche l’organizzazione 350.org, fondata da Bill McKibben, che fece pressione per riconoscere i 350 ppm come un limite sicuro per evitare pericolosi cambiamenti climatici. L’Unione europea invece, in vari documenti, citava un obiettivo meno ambizioso, 450 ppm. Anche il documento finale della Cop16 di Cancun, nel 2010, citava le 350 ppm insieme agli 1,5 gradi.
Perché proprio 1,5 gradi?
La scienza è arrivata dopo, con lo Special Report Global Warming 1.5°C richiesto dall’Accordo di Parigi sul clima. La scelta fu infatti politica e negoziale, legata più agli impatti della temperatura che alla concentrazione di CO2, meno percepibile come concetto.
A Parigi si discusse dei 2 gradi. Quindi, su richiesta dei piccoli Stati insulari in alleanza con l’Unione europea, fu introdotta anche la famosa frase «proseguendo l’azione volta a limitare tale aumento a 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali, riconoscendo che ciò potrebbe ridurre in modo significativo i rischi e gli effetti dei cambiamenti climatici».
L’Accordo di Parigi chiese proprio lo Special Report per dettagliare meglio i vantaggi di stare entro gli 1,5 gradi rispetto ai 2 gradi. Vantaggi quantificati numericamente per i vari impatti: per fare un esempio, a 2 gradi le ondate di caldo sarebbero 2,6 volte peggiori, la perdita di biodiversità tre volte peggiore.
Il carbon budget: quanto ne resta
Per capire se possiamo stare entro gli 1,5 gradi dobbiamo analizzare due aspetti: uno osservativo, lo stato dell’aumento delle temperature, e l’altro di emissioni, il carbon budget.
Riguardo le osservazioni, occorre sperare che il 2024 sia un’eccezione, un anno in cui si sono combinati fattori negativi sommati a fenomeni come El Niño. Nei prossimi mesi ne avremo una risposta. Tuttavia, sappiamo che finora abbiamo già in corso un riscaldamento di 1,1 gradi e che, anche se smettessimo subito di emettere gas serra, l’inerzia del sistema climatico potrebbe causare un riscaldamento ulteriore di circa mezzo grado, prima di avere la stabilizzazione delle temperature.
Veniamo al carbon budget, ovvero la quantità di gas serra espressi in CO2 equivalente che si potrebbero emettere per stare a 1,5 gradi. Secondo i dati del Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (IPCC), per avere il 50% di possibilità di stare entro gli 1,5 gradi resterebbero sole 250 GtCO2. Al ritmo attuale, sono pari a soli sei anni di emissioni. Era il 2020 quando Greta Thunberg tuonava: «Restano solo 8 anni di tempo». Ma il tempo passa, tanto che si è fallito anche un altro obiettivo, quello di raggiungere il picco globale delle emissioni proprio entro il 2020.
Sale invece a 1.150 GtCO2 il carbon budget per i 2 gradi, il che equivale a 28 anni di emissioni. Su questo, ce la possiamo fare. L’Unep nel recente Emissions Gap Report è un po’ più ottimista, ma indica comunque nel 57% il taglio delle emissioni al 2035 necessario per poi arrivare al famigerato net zero entro il 2050.
Quali sono gli scenari di aumento della temperatura plausibili
Vista così, capiamo subito che gli 1,5 gradi sono ormai una sfida persa. Vengono tenuti giustamente in vita dai documenti delle Conferenze sul clima più recenti e speriamo anche alla Cop29, non è persa del tutto la speranza, ma non possiamo far conto su scenari fanta-tecnologici di “overshooting”, superamento temporaneo per poi rientrare nel limite grazie a tecnologie di cattura e stoccaggio CO2 e simili.
Resta comunque fattibile, anche se non facile, stare entro i 2 gradi, obiettivo meno ambizioso ma più praticabile. Certo, gli impatti sarebbero più pesanti. I piccoli stati insulari, in particolari, sarebbero condannati dall’innalzamento del livello dei mari.
Se vogliamo comunque vedere qualcosa in positivo, il peggior scenario BAU Business Usual di 4-5 gradi sembra, almeno in teoria, scongiurato. Era il 2006 e nei “5 gradi dell’apocalisse” un aumento simile era descritto con questi impatti: «Possibile scomparsa di enormi ghiacciai sull’Himalaya, affliggendo con la carenza idrica il 25% della popolazione della Cina e centinaia di milioni di persone in India. L’acidità degli oceani aumenta con minaccia di totale collasso dell’industria ittica. Il livello del mare sale inesorabilmente inondando vaste regioni dell’Asia e circa la metà delle più grandi città del mondo, comprese Londra, New York e Tokyo».
Ora secondo l’Unep si andrà fra i 2,6 e i 3,1°C, scenario che comunque implica «gravi siccità nell’Europa meridionale una volta ogni 10 anni. Da uno a quattro miliardi di persone soffriranno la carenza idrica e altrettanta carenza di cibo. Molti milioni di persone a rischio di malnutrizione».
Ogni decimo di grado evitato conta
Non sarà un futuro facile, questo è ormai chiaro a tutti. Tuttavia, bisogna comunque percorrere e intensificare la strada della decarbonizzazione e della transizione ecologica, facendo perno anche sulla strada negoziale. Ogni decimo di grado evitato, dice l’IPCC, diminuisce i rischi di superare dei punti di non ritorno.
In conclusione, l’obiettivo di 1,5 gradi ha prevalso rispetto ai 350 ppm di CO2 perché è più comunicativo, pratico e politicamente attuabile. Ma pare ormai perso come obiettivo simbolico. Tuttavia, entrambi sottolineano la stessa urgenza: indipendentemente dal centrarli, occorre ridurre drasticamente e con urgenza le emissioni di gas serra e nel contempo adattarsi gli effetti dei cambiamenti climatici già in corso per proteggere gli ecosistemi, le persone e l’economia.