Nel 2022 i produttori di petrolio guadagneranno oltre 900 miliardi
L'Opec, il principale gruppo di Paesi produttori di petrolio, ha realizzato profitti enormi nel 2021. E il 2022 andrà ancora meglio
La crisi energetica è una realtà, ma non produce gli stessi effetti per tutti. Nel 2021, l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (Opec) – quel gruppo di Stati che dal 1960 si è unito allo scopo di negoziare con le compagnie petrolifere livelli di produzione di petrolio, prezzi e concessioni – ha aumentato del 78% i propri utili rispetto all’anno precedente. A confermarlo è il rapporto annuale pubblicato dalla stessa OPEC.
Stiamo parlando di 570 miliardi di dollari, contro i 320 miliardi del 2020, l’anno meno redditizio dal 2003. E le cose andranno ancora meglio nel 2022: l’organizzazione ha stimato che quest’anno, caratterizzato da bollette salate e dalla guerra in Ucraina, i ricavi schizzeranno a 907 miliardi di dollari. Un aumento attribuibile, dice l’Opec stessa, alla crescita della produzione di greggio e all’aumento dei prezzi dello stesso.
La produzione giornaliera di barili è in costante aumento
A marzo 2022 il barile di Brent, il principale benchmark europeo, si avvicinava a 140 dollari, non lontano dal record storico del 2008 (147,50 dollari). Mentre il WTI, benchmark americano, scambiava intorno ai 125 dollari. Se da allora i prezzi sono scesi sotto la soglia dei 100 dollari, l’aumento dei ricavi segnerebbe comunque un +40% in un anno.
La produzione di oro nero è salita a 31,7 milioni di barili al giorno nel 2021 rispetto ai 30,7 milioni del 2020 e i prezzi sono aumentati perché la domanda di petrolio ha superato l’offerta. Il costo del paniere del greggio, che funge da riferimento per le valutazioni economiche dell’Opec, è aumentato del 70 per cento da un anno all’altro.
Le stime di agosto 2022, per i produttori di petrolio, sono di aumentare ulteriormente la produzione, a una media di 34 milioni di barili al giorno. Che si prevede possa aumentare ulteriormente, a 34,5 milioni di barili nel 2023.
Nonostante le previsioni di crescita, però, l’Opec prevede che nel 2023 scenderanno i ricavi da esportazione (che comunque continueranno a rimanere stratosferici: 835 miliardi). Ciò è dovuto al fatto che le scorte globali di petrolio freneranno i prezzi se sono più abbandanti.
Per questo motivo, l’Opec ha deciso proprio di recente di rallentare la produzione giornaliera di petrolio, tagliando 100mila barili al giorno. Una decisione adottata per mantenere stabili i prezzi (e con essi i ricavi): i produttori, preoccupati del calo del prezzo sotto i 100 dollari, hanno ridotto il numero di barili sul mercato proprio per impedire ai prezzi di scendere troppo.
Una decisione in contrasto con quanto richiesto dal presidente americano Joe Biden, che aveva fatto pressioni su Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e altri produttori proprio affinché contribuissero a far scendere il prezzo dei carburanti.
L’Arabia Saudita ci guadagna di più
Paesi come Iran, Libia e Venezuela, nonostante le sanzioni comminate da Paesi esteri, hanno aumentato i propri ricavi. Si tratta di una stima, poiché il report non tiene conto di eventuali sconti e possibili modifiche ai prezzi che alcuni Stati possono offrire ai propri acquirenti. Ma è l’Arabia Saudita a detenere il record di entrate all’interno dell’Opec per il 2021.
Riyad, infatti, produce il maggior numero di petrolio greggio e i ricavi netti sono saliti a 184 miliardi di dollari. Ovvero più di un terzo di tutte le entrate petrolifere dell’Opec dell’anno scorso.
Bye bye transizione
Insomma, la transizione energetica rischia di diventare un claim svuotato di risultati pratici. Vero è che la potenza installata di energia pulita sta crescendo, ma allo stesso tempo cresce la richiesta di energia. E molto di questo fabbisogno fa affidamento ancora sul petrolio, come dimostrano i numeri dell’Opec.
Ma mentre crescono gli utili di chi il petrolio lo produce, crescono le emissioni di gas ad effetto serra in atmosfera. E meno male che la pandemia doveva servire da lezione: per la ripresa post-Covid, imprese e governi hanno attinto a tutte le risorse disponibili. In larga parte non rinnovabili.