5×1000: c’è la finanza etica a sopperire ai ritardi dello Stato
Una ricerca di Banca Etica rivela: al non profit mezzo miliardo da un italiano su 3. Ma la cattiva politica è lenta nelle erogazioni
Altro che “buonisti”. Gli italiani, a discapito di ogni polemica politica gratuita, sembrano ben conoscere il valore del settore non profit (circa 350mila soggetti), per la tenuta economica e lo sviluppo sociale del Paese. Come racconta la ricerca Il 5 per mille per lo sviluppo del non profit elaborata e presentata oggi da Banca Etica.
Lo studio si analizza il comportamento dei contribuenti che, con la dichiarazione dei redditi del 2017, hanno destinato a volontariato, associazionismo e cooperative sociali gran parte dei 500 milioni di euro delle loro tasse che sono andati ad alimentare i fondi del 5 per mille. Anche se, precisa il rapporto, sono le fondazioni a percepire gli importi medi più alti, in particolare quelle che si occupano di ricerca sanitaria (1,4 milioni di euro l’anno di media).
In totale si tratta, per l’esattezza, di 495.841.714,55 euro con cui i cittadini, attraverso il contributo volontario, hanno scelto di sovvenzionare 60mila diversi destinatari. Soggetti che generano relazioni e lavoro (800mila occupati e milioni di volontari), producono beni e servizi, promuovono welfare locale, inclusione sociale e migliaia di progetti di coesione territoriale.
La doppia morale della politica, tra propaganda e casse vuote
E mentre il cosiddetto Terzo Settore vale circa il 4,3% del Pil nazionale, alcune frange della politica nazionale in epoca recente hanno voluto etichettare come “buonista“, con intenzione evidentemente malevola, una bella fetta di chi vi investe o di chi ne fa parte. Senza invece storcere il naso rispetto al denaro che da quell’area proviene. Anzi.
Tant’è che una polemica accesa – questa volta fondata sui numeri – è stata sollevata recentemente da Vita.it su ciò che la testata definisce «l’odioso “scippo”, da parte dello Stato, di una quota delle risorse destinate dagli italiani al non profit». Cioè sulla fine che fanno i soldi donati in eccesso rispetto al tetto di 500 milioni fissato dalla legge di stabilità 2015. Soldi destinati per volontà esplicita dei contribuenti al 5 per mille, e il cui impiego finale non è tuttavia stato ancora chiarito, nonostante un’interrogazione parlamentare al riguardo.
5×1000, la crescita costante e un modello Lazio da imitare
La quantità dei donatori e delle loro quote di contributo sono infatti in costante crescita, da anni. Secondo l’indagine, un italiano su tre ha apposto la propria firma per il 5 per mille nell’anno fiscale 2017, attestando il numero dei contribuenti per questa voce a 14milioni di persone (su 41,2 milioni di contribuenti). Un dato assoluto significativo, che acquista maggior peso se si considera l’incremento impetuoso di tale numero (+38%) rispetto al 2006. E che si traduce anche in una crescita del 51% del gettito economico.
«In media ogni donatore veicola 35 euro attraverso il 5 per mille, un dato invariato rispetto al 2016 ma che è cresciuto del +6,6% dal 2006». E se è vero che nel 2017 il 55,7% dell’importo totale è stato raccolto in Lombardia e nel Lazio (a Emilia Romagna, Piemonte, Veneto e Toscana si deve un altro 23,2%), proprio la regione della Capitale segna un exploit che merita di essere sottolineato.
Mentre la percentuale di donatori è coerente con il reddito regionale pro capite (nelle regioni più ricche si dona di più), il Lazio costituisce una eccezione virtuosa.
È «prima per percentuale di donatori e solo undicesima per reddito pro capite». Ma non solo. Contro una media nazionale pari a 8mila euro circa, il Lazio spicca per l’importo medio erogato per anno e per ente più alto (18mila euro), seguita da Lombardia (15mila euro) e Liguria (10mila euro).
Un segno di una propensione convinta di molti italiani a premiare le categorie dei beneficiari della donazione. Ovvero:
● volontariato e altre associazioni (53% delle risorse, 57% degli enti beneficiari): organizzazioni che si occupano fondamentalmente di ambiente, solidarietà e cultura;
● fondazioni (36% delle risorse, 4,5% degli enti beneficiari). Le sottocategorie più apprezzate sono quelle indirizzate alla ricerca scientifica e/o sanitaria, o collegate al sistema dei Beni culturali;
● cooperative sociali (3,3% delle risorse, 12% degli enti beneficiari). Attive nei servizi socio-assistenziali e nell’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, legate al welfare territoriale e alla pubblica amministrazione;
● comuni e pro loco (3,2 % delle risorse, 11% degli enti beneficiari). Categorie “estranee” al non profit ma che, grazie al 5 per mille, talvolta riescono a supplire (parzialmente) ai tagli fiscali degli ultimi anni;
● associazioni sportive dilettantistiche senza scopo di lucro (1,7% delle risorse, 16% degli enti beneficiari), aumentate molto di numero negli ultimi anni.
Si tratta di una moltitudine di beneficiari che genera utili. Un’attivo consistente a livello nazionale che – invece di tramutarsi in profitti da redistribuire – viene reinvestito per finanziare le attività e migliorare i servizi erogati. Una terza dimensione dopo lo Stato (primo settore) e il Mercato (secondo settore).
I ritardi del 5×1000 e il supporto della finanza etica
Questa moltitudine deve tuttavia aspettare in media tra i 12 e i 24 mesi per vedersi accreditare le somme indirizzate dalle scelte dei cittadini col 5 per mille. Con un danno che pesa tanto di più in quanto si tratta di soggetti spesso di rilievo essenzialmente locale, a bassa capitalizzazione, e che dipendono in grande misura dalle commesse pubbliche – e relativi pagamenti – per la propria sopravvivenza.
Ed è qui che la necessità dell’opzione bancaria può giocare un ruolo decisivo. Un’opzione che Banca Etica rende esplicita e rivendica pubblicando la terza edizione dalla ricerca. E così ribadendo la personale affinità con il Terzo Settore (da cui nacque 20 anni fa), per cui sviluppa un’attenzione particolare e servizi finanziari dedicati (crediti in forma di fido o di anticipazione del contributo atteso dallo Stato). Sono del resto 1934 le «organizzazioni non profit clienti di Banca Etica che hanno avuto contributi tramite il 5 per mille nel 2016 (ultimo anno disponibile)»: una pattuglia beneficiaria di circa 76,5 milioni di euro, pari al 15,5% del totale di quell’anno.
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Ma «non sono anni facili per chi si occupa di sociale in Italia» precisa Anna Fasano, neoeletto presidente di Banca Etica: «sono ormai sistemici i tentativi di screditare con la parola “buonismo” una parte consistente del Terzo Settore, come quelli di dipingere il non profit come un sistema di imprese che mira a trarre vantaggi per pochi. Noi di Banca Etica sappiamo che il non profit italiano è invece un pilastro fondamentale per offrire opportunità a chi vive condizioni di fragilità, per far crescere una cultura della diversità e dell’accoglienza, per migliorare la qualità della vita nelle nostre comunità. Un vero bene comune da promuovere e sostenere affinché possa svilupparsi ancora più forte, sano e trasparente».