Abusi, violenze e minacce nel metaverso. Molto più che virtuali
Chi vigila sul metaverso? Chi sanziona gli abusi? Senza una risposta a queste domande, il tanto decantato mondo virtuale rischia di diventare un far west
Il metaverso punta a essere la trasposizione più fedele possibile della realtà. Una realtà che però non è fatta soltanto di meeting di lavoro, sfilate di moda e vernissage, ma anche di fenomeni ben più disturbanti. Come quello capitato a una ricercatrice dell’organizzazione SumofUs. Il suo avatar – una giovane donna di colore – era connesso alla piattaforma Horizon Worlds da appena un’ora, quando un utente l’ha condotto in una stanza chiusa e sottoposto ad abusi sessuali. Ce n’era un altro che assisteva imperturbabile alla scena, bevendo vodka. «È successo così in fretta che mi sentivo come dissociata. Una parte del mio cervello si chiedeva cosa diamine stesse succedendo, un’altra si ripeteva che quello lì non era il mio corpo, e un’altra parte ancora pensava che questo è un risultato di ricerca rilevante», racconta la ricercatrice.
Un contenuto violento ogni 7 minuti
L’episodio è finito sui giornali di mezzo mondo, ma non è una novità. Fin dagli anni Novanta, quando si partecipava ancora ai videogiochi di ruolo digitando i comandi da tastiera (erano i cosiddetti MUD, Multi User Dungeon), capitava che qualche utente se ne approfittasse per simulare molestie.
Sono passati trent’anni e nel videogioco in 3D VR Chat, uno dei più popolari nella suite offerta dal metaverso di Facebook, in media ogni utente è esposto a un contenuto violento ogni sette minuti. I ricercatori del Center for Countering Digital Hate, dopo ore a setacciare questo spazio virtuale, parlano di minorenni esposti a immagini pornografiche, episodi di bullismo e abusi sessuali, minacce, discorsi razzisti ed estremisti.
Già durante un beta test di Horizon Worlds, la psicoterapeuta e ricercatrice Nina Jane Patel è stata ripetutamente palpeggiata dopo pochi minuti dall’accesso. Mentre cercava di scappare, i suoi aggressori le scattavano delle foto. «È stato surreale. È stato un incubo», scrive. Dopo l’episodio, Meta ha introdotto una funzione con cui ciascuno può stabilire una «distanza di sicurezza» dagli altri avatar. Ma può essere di volta in volta attivata o disattivata.
Gli abusi nel metaverso non sono soltanto un gioco
Quando ha condiviso l’accaduto nei social media, Nina Jane Patel è stata sommersa da commenti che minimizzavano la sua esperienza. C’era chi le consigliava di non scegliere più un avatar dalle sembianze femminili, chi la esortava a «non essere stupida» perché «non è la realtà», chi liquidava le sue parole come un «patetico tentativo di attirare l’attenzione». Gli abusi nel metaverso, però, non sono soltanto un gioco.
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L’esperienza nel metaverso infatti è immersiva, dà un senso di presenza attiva e porta a percepire l’avatar come se fosse il proprio corpo. «Sostanzialmente, la realtà virtuale è stata progettata per fare in modo che corpo e mente non riescano a distinguere le esperienze digitali da quelle reali. A un certo livello, la mia risposta fisiologica e psicologica è stata come quella che si sarebbe verificata nella realtà», scrive Patel. In gergo si parla di effetto Proteus quando i comportamenti delle persone vengono influenzati dalle loro rappresentazioni digitali.
Fino a quanto il metaverso resterà un far west?
Finora il numero di utenti che si connettono a queste piattaforme è tutto sommato contenuto. Cosa succederà se il metaverso sarà parte integrante della vita quotidiana di miliardi di persone? Mark Zuckerberg ha promesso di mettere sicurezza e privacy al primo posto. A smentirlo, tuttavia, è stato un dirigente della sua stessa azienda, Andrew Bosworth, che in una nota interna riportata dal Financial Times ha descritto come «praticamente impossibile» l’ipotesi di moderare in tempo reale le infinite interazioni nel metaverso.
A livello legale, per ora il metaverso si colloca ancora in un limbo. Un limbo che in qualche modo bisogna superare. «I nostri sistemi morali e legali dovranno tenere il passo», scrive il filosofo australiano David Chalmers. Questo è proprio il tema del suo ultimo libro, Reality+: Virtual Worlds and the Problems of Philosophy. «Spesso trattiamo i mondi virtuali come ambienti ludici di evasione nei quali le nostre azioni non contano veramente. Nei prossimi decenni, però, i mondi virtuali andranno ben oltre i giochi per diventare parte della nostra vita quotidiana. Le azioni nei mondi virtuali, potenzialmente, saranno significative quanto quelle nel mondo fisico. Reati come il furto e l’aggressione nei mondi virtuali coinvolgeranno esseri umani reali e saranno crimini reali. Per riconoscere pienamente tutto questo, dovremo considerare le realtà virtuali allo stesso modo delle realtà tangibili».