Perché Valori.it è sui social network

I social seguono logiche commerciali, scelgono a piacimento le regole, sfruttano l'ottimizzazione fiscale. Ecco perché e come li utilizziamo

I messaggi divulgati in modo virale sui social network possono contribuire a generare panico sui mercati finanziari © monkeybusinessimages/iStockPhoto

«Perché siete sui social network?». È una domanda che ci avete fatto in tanti, in questi anni. È una domanda che in questi anni ci siamo posti spesso e sulla quale abbiamo cercato di dare risposte che tenessero in conto la complessità della questione.

Dire «perché ci stanno tutti», sembra una scorciatoia. Così fan tutti, così facciamo anche noi. E però è una risposta che nasconde una verità. Non solo le organizzazioni, le associazioni, le aziende, i brand, le testate che fanno informazioni stanno sui social. Ci stanno anche le persone che cercano informazioni, notizie, approfondimenti, chiarimenti, confronto…

Se non ci stiamo noi, sui social ci portano gli altri

Essere là dove le persone passano il proprio tempo, discutono, leggono e si informano è importante per arrivare a un numero sempre maggiore di persone. Per non chiudersi nella propria nicchia di lettrici e lettori già affezionati. E perché, tanto, se non ci stiamo noi sui social ci portano gli altri: coloro che leggono i nostri articoli e li condividono, li commentano, li segnalano a parenti e amici. Allora meglio esserci con la nostra voce, in uno spazio “nostro” sul quale abbiamo almeno un po’ di controllo.

«Ma non potete avere controllo – ci è stato obiettato – su piattaforme di proprietà di aziende multinazionali. Il cui unico obiettivo è generare profitti per gli investitori. E i cui algoritmi sono nelle mani di consigli di amministrazione». Possiamo avere controllo sul linguaggio che utilizziamo per diffondere i nostri articoli e sulle immagini che alleghiamo. Ma, è vero, non abbiamo alcun controllo sulla piattaforma.

Non abbiamo alcun controllo sulle piattaforme

Questo spazio in cui ci stai leggendo, il nostro sito internet, è casa nostra: noi e solo noi possiamo decidere come modificarlo, quali funzioni implementare e quali eliminare, rispondendo a esigenze che sono solo nostre e dei nostri obiettivi (il principale: essere un servizio per chi ci legge. Una bussola per orientarsi nel mondo dell’economia e della finanza). Su Facebook, su Instagram, su Twitter non siamo padroni del nostro spazio. In ogni momento un amministratore delegato può decidere di cambiare qualcosa e noi potremmo solo trovare il modo di adattarci, magari stravolgendo strategie e processi produttivi.

Non solo. Le piattaforme di social networking sono spazi in cui vigono “standard” per la regolamentazione della community propri di ciascuna piattaforma. Soggetti a cambiamenti arbitrari. Applicati con grande discrezione: non si contano, negli anni, i casi di “censura” incomprensibile di contenuti del tutto innocenti. E la tolleranza, invece, verso frasi che, per esempio, incitano apertamente all’odio. Fino all’assurdo per cui nei giorni dell’attacco della Russia all’Ucraina Meta arriva a sdoganare l’hate speech nei confronti dei russi.

La brevità imposta o incentivata da queste piattaforme costringe troppo spesso a sacrificare la complessità e ad appiattire la molteplicità di piani, come in una fotografia in cui solo il soggetto in primo piano è a fuoco. Ma senza il contesto quel soggetto può essere frainteso. Le discussioni, poi, finiscono per essere fortemente polarizzate: è il design stesso delle piattaforme che facilita questo meccanismo e spesso rende difficile sviluppare confronti autenticamente costruttivi.

Negli anni si sono succedute le fughe di dati e informazioni, le analisi e le inchieste che hanno provato la capacità di piattaforme come Facebook di influenzare l’opinione pubblica durante le campagne elettorali. E di Instagram di aggravare il disagio delle giovani donne.

Le inchieste, le fughe di dati e l’ottimizzazione fiscale

Non mancano le critiche al modello di business di queste aziende, che traggono profitto dal “lavoro” gratuito di milioni di persone che ogni giorno pubblicano miliardi di contenuti, generando un’immensa quantità di dati pronti da rivendere. Per non parlare poi dei sistemi di ottimizzazione fiscale e di sedi dislocate in diverse giurisdizioni per ridurre il carico fiscale, sottraendo risorse alle casse dei diversi Stati in cui i profitti sono generati.

Per tutte queste ragioni sarebbe logico che una testata come Valori.it si sottraesse e eliminasse la sua presenza da tutte le piattaforme di social networking. Purtroppo, però, non siamo nelle condizioni di farlo. Le nostre caratteristiche non ci permettono di uscire da uno spazio nel quale sono presenti tutti. Ma possiamo decidere di starci in un modo che corrisponde ai nostri principi.

Perché Valori.it è sui social network

Ci stiamo per promuovere idee che difficilmente si trovano nel dibattito mainstream, on e offline. Ci stiamo per incentivare una discussione positiva e costruttiva. Per rispondere a chi ha dubbi e vuole approfondire i nostri temi. Ci stiamo perché l’educazione critica alla finanza si fa anche andando incontro alle persone e invitandole a farsi domande su ciò che tutti gli altri danno per scontato.

E ci stiamo anche con la consapevolezza che nessuna piattaforma di social networking, nessun formato, per quanto innovativo, possa essere autosufficiente. Che ogni cosa che raccontiamo ai nostri lettori in un post su Facebook, in un carosello o una storia su Instagram non è che un assaggio della storia. È solo uno stimolo a cercare di più, scavare ancora, informarsi meglio. E noi ti inviteremo ogni giorno a cercare, a scavare, a informarti. In luoghi in cui lo spazio a disposizione non è deciso da un consiglio di amministrazione della Silicon Valley. Un posto come, per esempio, Valori.it, come il nostro canale Telegram e le nostre newsletter.