TNFD, la taskforce della finanza per (non) difendere la natura
La TNFD punta a convogliare gli investimenti verso aziende attente agli ecosistemi. Ma gli attivisti non si fidano
Uno degli aspetti più evidenti di quella che gli scienziati chiamano crisi eco-climatica è il deterioramento del patrimonio naturale. Da decenni la scienza parla delle minacce derivanti da perdita di biodiversità e collasso degli ecosistemi. Emergenze sempre più al centro del dibattito pubblico e quindi più difficili da ignorare. Anche per le grandi aziende che ne sono in qualche misura responsabili, così come per le banche e i fondi che le finanziano. Proprio dal settore finanziario viene una delle prime proposte di autoregolamentazione sul tema: la Taskforce on Nature-related Financial Disclousure (TNFD).
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Il chi (privato) e il come della TNFD
Lanciata nel 2021 e oggi alla sua terza bozza, la taskforce ha l’obiettivo dichiarato di sviluppare una metodologia comune che avvicini gli investitori ad aziende attente al patrimonio naturale.
Una volta completato, il framework dovrebbe guidare sia l’operato delle aziende in cerca di finanziamenti sia quello dei fondi d’investimento. Le prime saranno chiamate a raccontare in report pubblici il loro rapporto con gli ecosistemi in cui operano. Le seconde, grazie a questi report, potranno decidere a chi affidare i propri capitali. Il tutto allo scopo, come si legge sul sito della TNFD, di «incoraggiare la migrazione dei flussi finanziari globali da investimenti con esiti negativi sulla natura ad investimenti che alla natura portano benefici».
L’iniziativa gode del supporto di alcuni governi occidentali, delle Nazioni Unite, di diverse istituzioni scientifiche e del WWF. Ma la guida è privata. I membri della taskforce vera e propria, coloro i quali stanno lavorando al documento finale, sono tutti di nomina aziendale. AXA, Bank of America, BlackRock, HSBC, BNP Paribas, Nestlè sono solo alcune delle corporation coinvolte.
In difesa della natura o delle aziende?
Nonostante i nobili fini dichiarati, la pubblicazione dell’ultima bozza di intesa prodotta dal TNFD è stata accolta da pesanti critiche. In un comunicato stampa congiunto undici tra ong e organizzazioni della società civile hanno bollato come greenwashing l’intera iniziativa. «Non solo la proposta è pessima, ma sta dirottando il dibattito su come spostare i trilioni di dollari che portano, traendo profitto, alla distruzione della natura e dalle violazioni dei diritti umani», ha scritto Kwami Kpondzo della Global Forest Coalition, una delle non-profit firmatarie della lettera di denuncia.
Gli ecologisti se la prendono sopratutto con il cuore della proposta di framework: i report. L’obiettivo dichiarato della TNFD, come detto, è infatti di incoraggiare gli investimenti a favore di aziende ad impatto ambientale positivo. Ma i rapporti che le aziende saranno chiamate a stilare non riguardano direttamente l’impatto che la loro attività ha sulla natura. Viceversa, alle corporation è richiesto di spiegare se il loro modello di business è messo in qualche modo a rischio da fattori legati alla natura. O, all’opposto, se dal rapporto con gli ecosistemi possano nascere nuove opportunità economiche.
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Un meccanismo analogo a quello col quale alcune agenzie di rating, e in particolare MSCI, valutano le performance ambientali, sociali e di governance delle grandi aziende. Un tema che vi abbiamo raccontato di recente.
Proprio questo approccio è considerato inaccettabile dagli attivisti. «Un’azienda etica può considerare tutti i danni alla natura come negativi per gli affari, mentre è meno probabile che lo faccia un’azienda che trae profitto dagli abusi ambientali. Un’azienda che devasta la natura ma che non è da essa minacciata, semplicemente non verrà segnalata», si legge nella lettera delle undici organizzazioni critiche.
Diritti umani, trasparenza, ambizione: cos’altro manca alla TNFD
Le denunce delle ong non finiscono qua. Il comunicato stampa lamenta la scarsa ambizione delle linee guida presentate. Standard così bassi che rischiano, secondo i firmatari, di compromettere i risultati raggiunti sul tema della protezione ambientale in questi anni.
Non solo. La taskforce è accusata di «ignorare i diritti umani, compresi quelli delle donne, delle popolazioni indigene, delle comunità locali, dei contadini e delle stesse persone che si oppongono alle aziende, spesso con grande rischio, per salvaguardare la natura».
Anche la reattività rispetto alle sollecitazioni della società civile è un punto critico. Nei report, infatti, le corporation non sono tenute a segnalare se media, ong o comunità locali hanno denunciato casi di devastazione ambientale legati alle attività aziendali.
Perché tenere gli occhi aperti
I lavori della taskforce non sono ancora conclusi. Nuove bozze arriveranno nei prossimi mesi, e il documento finale è atteso per l’autunno del 2023. Anche una volta completato, inoltre, il framework non è in alcun modo vincolante per aziende e investitori. Lo userà chi lo riterrà utile.
Ma il peso di questa iniziativa non è per questo insignificante. Oltre alla partecipazione di alcuni tra i più grandi operatori finanziari al mondo, spicca l’appoggio di grandi istituzioni pubbliche. Regno Unito, Francia, Australia e Svizzera hanno finanziato il TNFD. Lo stesso hanno fatto due agenzie delle Nazioni Unite: UNEP, dedicata alla protezione ambientale, e UNDP, legata allo sviluppo economico.
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Il framework, come si legge nel sito, è a disposizione anche dei governi. E non è irrealistico pensare che possa fungere da base per future legislazioni nazionali sul tema. Anche per questo gli attivisti sono preoccupati.
Il modello proposto dalla taskforce, peraltro, non è inedito. Un anno prima del suo debutto è stata lanciata la Taskforce on Climate-related Financial Disclousure (TCFD). Di fatto la sorella maggiore della TNFD, dedicato però al riscaldamento globale. Anche questa cornice lavora a partire dal rischio che la questione climatica rappresenta per le aziende coinvolte. E anche in questo caso la guida del progetto è tutta aziendale. A capo della taskforce c’è Michael bloomberg, il celebre miliardario statunitense recentemente candidato alle primarie democratiche. E tra i nomi coinvolti c’è anche un’italiana: Rossana Fusco di ENI.
Chi protegge la natura?
Di perdita degli habitat naturali si è parlato molto a seguito dello scoppio della pandemia. Lo spillover, il processo che porta i virus animali ad attecchire anche sugli uomini, è favorito dalla progressiva riduzione degli spazi non antropizzati. Anche la perdita di biodiversità rappresenta perciò una minaccia diretta per l’uomo. L’estinzione di specie animali e vegetali fa venir meno i cosiddetti “servizi ecosistemici”, cioè tutti i modi in cui la natura si rende utile alle popolazioni umane. Filtraggio dell’acqua, assorbimento di CO2, controllo idrogeologico e sicurezza alimentare sono solo alcuni esempi.
Saranno meccanismi analoghi alla TNFD a risolvere il problema? Per gli attivisti il problema è alla base. Non possono essere le grandi aziende a scrivere le regole per loro stesse, dicono. E, mentre la taskforce continua i suoi lavori, promettono di dare battaglia.