In Europa crescono le zone a basse emissioni. Ma non in Italia

Le zone a basse emissioni hanno dimostrato di funzionare in Europa. Il nostro Paese, tuttavia, è ancora indietro

Un cartello che indica una zona a basse emissioni nel Regno Unito © David Hawgood/Wikimedia Commons

Si chiamano LEZ, acronimo inglese di low emission zone, ovvero zone a basse emissioni. Sono più di 300 le città europee che hanno una LEZ e saranno oltre 500 nel 2025. Si tratta di aree urbane nelle quali solo i veicoli meno inquinanti sono ammessi. Nel corso dell’ultimo decennio le zone a basse emissioni sono diventate uno strumento sempre più diffuso di regolazione del traffico e riduzione degli inquinanti dell’aria.

Non solo: tra il 2030 e il 2035 quasi 30 città europee tra Paesi Bassi, Regno Unito, Francia e Paesi scandinavi trasformeranno le loro zone a basse emissioni in zone a zero emissioni. Di fatto impedendo alle auto inquinanti di accedere alla propria area urbana. Questi i principali dati raccolti nel rapporto “The development trends of low- and zero-emission zones in Europe” dalla campagna Clean Cities. Una coalizione di oltre 70 Ong, associazioni ambientaliste e movimenti di base che ha come obiettivo una mobilità urbana a zero emissioni entro il 2030.

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La differenza tra LEZ e ZTL

Le zone a basse emissioni sono uno strumento di restrizione del traffico veicolare all’interno di un’area urbana chiaramente definita. La principale differenza con una zona a traffico limitato (ZTL), strumento familiare in Italia, è che una ZTL restringe l’accesso a tutte le categorie di veicoli, salvo eccezioni (generalmente applicate a residenti e operatori commerciali). Una zona a basse emissioni, invece, restringe l’accesso prevalentemente sulla base del tipo di veicolo e della sua classe di inquinamento con riferimento alla normativa europea (Euro 0 – Euro 6)

In Italia si registra un numero elevato di misure di restrizione del traffico inquinante. Ma queste sono implementate nei soli mesi invernali e durante specifiche fasce orarie. Sono ancora poche le vere zone a basse emissioni sul modello di Area C e Area B a Milano. La maggior parte delle LEZ italiane non sono infatti sottoposte a controlli sistematici (ad esempio tramite varchi elettronici) o almeno regolari da parte della polizia locale. Inoltre mancano una comunicazione efficace rivolta ai cittadini e piani per il rafforzamento nel tempo delle restrizioni. 

Da zone a basse emissioni a zone a zero emissioni

«Le zone a basse emissioni funzionano. È però essenziale che i sindaci comunichino efficacemente e per tempo. E che siano presenti misure di supporto alla transizione. Come ad esempio un accesso gratuito ai servizi di trasporto pubblico e di sharing mobility a fronte della rottamazione dei veicoli inquinanti», ha commentato Claudio Magliulo, responsabile italiano della campagna Clean Cities. Anche per questo la campagna ha pubblicato un decalogo delle zone a basse emissioni. Con consigli che vanno dal definire gli obiettivi e le tempistiche alla comunicazione, dal sostegno alle alternative all’auto alla sistematica raccolta dei dati.

Uno dei requisiti chiave per il successo della misura, inoltre, è che la città pianifichi di trasformare la LEZ in una zona a zero emissioni. Idealmente entro il 2030. Nessuna città italiana ha piani in questo senso, al momento. Eppure ben nove comuni sono stati recentemente selezionati dalla Commissione europea per la missione 100 Climate-Neutral and Smart Cities. Impegnandosi a raggiungere la neutralità climatica (vale a dire zero emissioni nette) entro il 2030. Sono Bergamo, Bologna, Firenze, Milano, Padova, Parma, Prato, Roma e Torino. 

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L’impatto positivo delle zone a basse emissioni su clima e ambiente

Perché non è solo la qualità dell’aria a beneficiare di questo strumento. Le emissioni di gas a effetto serra sono calate nelle città che hanno implementato una LEZ: le emissioni di CO2 del settore dei trasporti a Londra si sono ridotte del 13% solo nei primi sei mesi di attività della Ultra Low-Emission Zone (ULEZ). A Milano sono crollate del 22% dopo l’introduzione di Area C.

«È evidente che se le città italiane fanno sul serio, non potranno raggiungere la neutralità climatica senza eliminare dalle proprie aree urbane i veicoli inquinanti nell’arco di questo decennio», ha sottolineato Claudio Magliulo. «Si tratta di una sfida complessa, ma tecnologicamente alla nostra portata. Servono lungimiranza, coraggio politico e attenzione al creare una transizione giusta che non lasci indietro nessuno».

L’obiettivo, sottolinea la campagna Clean Cities, è dotarsi di una strategia complessiva per la trasformazione della mobilità urbana. Non basta aumentare le linee di tram e metro o i chilometri di piste ciclabili. Servono anche misure restrittive ben governate che producano non solo una riduzione dell’inquinamento dell’aria e delle emissioni di CO2, ma anche un complessivo restringimento del parco veicolare privato. Per il quale l’Italia ha il triste primato in Europa: 67 auto per 100 abitanti.