Alla Cop27 si vocifera l’impensabile: l’addio agli 1,5 gradi
Alla Cop27 di Sharm el-Sheikh si rischia lo scandalo: si potrebbe rinunciare a citare l'obiettivo degli 1,5 gradi nella dichiarazione finale
Alla Cop27 di Sharm el-Sheikh, in Egitto, si vocifera l’impensabile. C’è infatti il rischio concreto che la ventisettesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite si concluda con il più cocente e drammatico fallimento della storia della cooperazione internazionale in materia di cambiamenti climatici.
La premessa è d’obbligo: tutti noi speriamo che le voci vengano messe a tacere e che a vincere siano lungimiranza, ragionevolezza e coerenza. Ma già nella giornata di sabato 12 novembre, l’inviato speciale per il clima degli Stati Uniti, John Kerry, ha lanciato un primo avvertimento. «Un certo numero di nazioni – ha dichiarato – si sta opponendo all’intenzione di includere nella dichiarazione finale della Cop27 l’obiettivo degli 1,5 gradi».
Quest’ultimo rappresenta il cuore stesso dei negoziati climatici internazionali. Ciò per cui la comunità internazionale si è battuta per anni. Alla Cop22 di Marrakech, alla Cop23 di Bonn, alla Cop24 di Katowice, alla Cop25 di Madrid, alla Cop26 di Glasgow. La limitazione della crescita della temperatura media globale, di qui alla fine del secolo, rispetto ai livelli pre industriali, a 1,5 gradi centigradi non soltanto è a chiare lettere nell’Accordo di Parigi (che chiedeva di “rimanere il più possibile vicini” a tale soglia). Ma rappresenta anche la differenza esistente tra un futuro di crisi climatica e uno di catastrofe climatica.
Nell’ottobre del 2018, il Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite (IPCC), aveva pubblicato un corposo studio che spiegava, decennio per decennio, continente per continente, esempio per esempio cosa comporterebbe quel mezzo grado di differenza. Ne va, semplicemente, del futuro di intere generazioni. Dei nostri figli. Dei nostri nipoti.
Abbandonare l’obiettivo degli 1,5 gradi, dunque, rappresenterebbe una sconfessione totale di decenni di negoziati e cooperazione internazionale. Rappresenterebbe un’abiura. Ma soprattutto la resa. La Cop27 di Sharm el-Sheikh rischia di passare alla storia come quella che ha condannato l’umanità. In barba agli accorati appelli della comunità scientifica e alle angosciate parole del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres.
Lo ripetiamo: la speranza è che le voci vengano smentite. Che gli obiettivi fissati dalla comunità internazionale siano confermati. Ci sono ancora alcuni giorni di negoziati per evitarlo. Ma il solo fatto che venga ipotizzato uno scenario del genere è, semplicemente, scandaloso. Per le nazioni che lo propongono in primis.
C’è di più: qualora davvero dovesse verificarsi il peggio, si tratterebbe di un colpo durissimo al già disastrato multilateralismo globale. Ci sarebbe, a quel punto sì, davvero, da chiedersi quale sia il ruolo di queste conferenze, quale quello delle Nazioni Unite e quale quello delle grandi potenze internazionali. Perché quando si raggiunse un autentico successo, in quel lontano 2015 a Parigi, fu perché la nazione ospitante lavoro seriamente al raggiungimento di un accordo. Al contrario di quello che sembra aver fatto, perlomeno nei primi 10 giorni di negoziati a Sharm el-Sheikh, la presidenza egiziana. Se si considera poi che la coop 28 si terrà negli Emirati Arabi Uniti, c’è davvero da temere il peggio.
L’obiettivo degli 1,5 gradi è e deve rimanere il faro dell’umanità. La chiave di volta. Se lo abbandoneremo, avremo scelto di rinunciare a governare una rivoluzione e ci saremo seduti ad aspettare l’arrivo della catastrofe.