Nel 2022, da dieci disastri climatici danni per 170 miliardi di dollari
Nel 2022 ci sono stati dieci disastri climatici che hanno superato i 3 miliardi di dollari di danni ciascuno. Ed è un conto parziale
Quanto costa la crisi climatica? Impossibile dare una risposta, perché bisognerebbe mettere nello stesso calderone gli ecosistemi che mutano in modo talvolta irreversibile, le persone costrette a emigrare, le isole del Pacifico prossime a scomparire per l’innalzamento del livello dei mari. Si possono fare delle stime, questo sì. L’organizzazione non governativa Christian Aid alla fine di ogni anno pubblica un bilancio dei disastri climatici più onerosi in termini economici. Nel 2022 i dieci eventi in cima alla lista, da soli, hanno provocato danni stimati in 168,1 miliardi di dollari (157,8 miliardi di euro). Sette in più del fatturato 2021 di Microsoft, undici in meno del pil del Qatar.
Cosa dice il report di Christian Aid sugli eventi meteo estremi
La prima cosa da chiarire, prima di maneggiare questi dati, è che sono dichiaratamente parziali. E sbilanciati. Questo perché si riferiscono soprattutto al valore dei beni assicurati che sono andati persi a causa dei disastri climatici. Tendenzialmente, dunque, gli eventi che succedono negli Stati industrializzati risultano più costosi. Sia perché edifici e infrastrutture hanno un valore più alto, sia perché le polizze assicurative sono più diffuse.
Questo però non deve far dimenticare che il 97% delle persone colpite dai disastri climatici negli ultimi trent’anni vive nei Paesi in via di sviluppo; lo sostiene un recente studio della Loss and Damage Collaboration. Restano inoltre escluse altre perdite più difficili da tradurre in cifre, come i raccolti agricoli sfumati e i flussi commerciali interrotti. Insomma, i dati raccolti da Christian Aid tornano utili perché forniscono un ordine di grandezza, ma la fotografia reale della realtà è molto più vasta e sfaccettata di così.
Il costo dell’inazione
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Fatte queste doverose premesse, si può passare alla graduatoria. Al primo posto, con oltre 100 miliardi di dollari di danni, c’è l’uragano Ian, di categoria 5, che ha colpito Cuba e l’East Coast degli Stati Uniti nel mese di settembre del 2022. Per la Florida Ian è stato il decimo uragano dal 2000 in poi. Non stupisce dunque che i premi assicurativi siano i più alti di tutti gli Usa. Seguono, molto a distanza in termini di perdite stimate, altri disastri climatici verificatisi ai quattro angoli del Pianeta: la siccità di portata secolare che ha colpito l’Europa durante l’estate (20 miliardi di dollari) e le alluvioni estive in svariate province cinesi (12,3 miliardi).
Per le ragioni metodologiche spiegate sopra, si ferma a «soli» 5,6 miliardi il costo stimato delle disastrose inondazioni che hanno messo in ginocchio il Pakistan tra giugno e ottobre. Ma il bilancio reale è molto più grave. Stando alla Banca Mondiale, le perdite economiche superano i 30 miliardi. Ne servono 16 per la ricostruzione nel Paese, ritenuto l’ottavo più vulnerabile alla crisi climatica. Le piogge torrenziali hanno distrutto 38mila chilometri quadrati di coltivazioni e hanno ucciso 1,1 milioni di capi di bestiame. 15 milioni di persone potrebbero scivolare al di sotto della soglia di povertà.
Perché serve un fondo loss and damage al più presto
«Il fatto che ci siano stati dieci diversi disastri climatici nell’ultimo anno, ciascuno dei quali è costato più di 3 miliardi di dollari, indica il costo finanziario dell’inazione sulla crisi climatica. Ma dietro a queste cifre espresse in dollari si celano milioni di storie di perdite e sofferenze umane», commenta il Chief Executive Officer di Christian Aid, Patrick Watt. «Senza notevoli tagli alle emissioni di gas serra, questo costo umano e finanziario non farà che aumentare».
Alla luce di questi dati, si capisce ancora meglio la portata storica dell’accordo preso alla Cop27 di Sharm el-Sheikh per l’istituzione di un meccanismo di loss and damage. Cioè un fondo per risarcire i Paesi in via di sviluppo per le perdite e i danni che subiscono a causa dei cambiamenti climatici. Finora, però, l’impegno è puramente formale. Non si è ancora deciso in che modo questo fondo verrà finanziato, da chi né quali saranno i Paesi beneficiari. Trasformare questa dichiarazione d’intenti in realtà è dunque più urgente che mai.