Le grandi banche europee sono in debito con il Pianeta

ShareAction ha valutato come le banche europee stiano affrontando le crisi del clima e della biodiversità. Il voto medio è insufficiente

Tra le grandi banche europee esaminate da ShareAction, Commerzbank è la terzultima in classifica © Jan Antonin Kolar/Unsplash

Tutte e 25 le più grandi banche europee si sono formalmente impegnate per il net zero, l’azzeramento delle emissioni nette dei propri business entro il 2050. Quasi tutte hanno fatto, in un modo o nell’altro, passi avanti per ridurre il proprio impatto climatico e ambientale. Ma non è ancora abbastanza. Soprattutto per la tutela della biodiversità, tema di cui si discute in questi giorni alla Cop15 di Montréal, in Canada. La strada da percorrere è lunga, lunghissima, tanto più considerato il gigantesco peso specifico dei capitali che gestiscono. A dirlo è ShareAction, ong britannica che si occupa di investimenti responsabili, in un report che ha voluto intitolare In Debt to the Planet: “In debito con il Pianeta”.

Le grandi banche europee alle prese con clima e biodiversità

Le massime autorità sovranazionali e scientifiche, dalle Nazioni Unite in giù, non fanno che ripetere che la crisi climatica e la perdita di biodiversità sono due facce della stessa medaglia. Le grandi banche europee, però, sembrano incapaci di capirlo, visto che si muovono a due velocità.

Sarà perché il tema è onnipresente o perché la Banca Centrale Europea le ha bacchettate più volte, ma sul clima si mostrano più “preparate”. O, perlomeno, provano ad esserlo. 15 banche esaminate dal report assicurano che il proprio consiglio di amministrazione abbia agito per portare avanti una strategia climatica (ma solo due sanno citare esempi concreti!). Va peggio per le strategie sulla biodiversità: nessuna può dimostrare che il board abbia intrapreso iniziative ad hoc.

Ancora soldi ai combustibili fossili, nonostante tutto

Ma tutte queste strategie si traducono poi in scelte che fanno davvero la differenza, come quella di non finanziare più i combustibili fossili, responsabili della catastrofe climatica in corso? Non ancora. ShareAction ha valutato le politiche delle grandi banche e soltanto sette si guadagnano un voto superiore al 50%. Si tratta di La Banque Postale, Crédit Mutuel, Société Générale, BNP Paribas, UniCredit (unica italiana in mezzo alle francesi), Crédit Agricole e BPCE. Ma attenzione: l’unica che ottiene una valutazione davvero positiva è la prima, La Banque Postale.

«Senza solidi obiettivi di decarbonizzazione sostenuti da politiche credibili sui combustibili fossili, queste banche non possono rispettare i propri impegni ad allineare le loro attività con lo zero netto e prevenire i peggiori impatti della crisi climatica», fa notare Peter Uhlenbruch di ShareAction. Perlomeno, più di tre grandi banche europee su quattro hanno promesso di eliminare i finanziamenti al carbone termico. Ma senza fretta: la scadenza è fissata entro il 2030 per i paesi dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ed entro il 2040 a livello globale.

carbone che cade dal nastro trasportatore © keni1/istockphoto
Il carbone continua ad essere finanziato da numerose grandi banche © keni1/istockphoto

Rischi ambientali e climatici, questi sconosciuti

Ormai tutte le banche esaminate identificano i propri rischi legati al clima, il che è un notevole passo avanti rispetto al report pubblicato da ShareAction nel 2020, quando a farlo era appena il 70%. Solo 16 tuttavia valutano sia l’impatto del clima sul proprio profilo di rischio e rendimento, sia quello che le proprie attività hanno sul clima (in gergo si parla di doppia materialità). E non sempre valutano questi rischi nel lungo termine, cosa invece auspicabile, visto che gli effetti dei cambiamenti climatici si dipanano nell’arco dei decenni.

E la biodiversità? Poco più di metà dei 25 istituti ha una qualche strategia per identificare rischi, opportunità, impatti e dipendenze. Molte non chiedono nemmeno ai clienti se la loro sede sia in prossimità di un’area protetta o di un habitat critico, dove è dislocata la loro catena di fornitura, oppure di fornire una valutazione d’impatto. «Le banche prestano un’attenzione troppo limitata alla minaccia della perdita di biodiversità. I dirigenti e i loro consigli d’amministrazione devono farsi avanti e assumersi la responsabilità dell’impatto che le loro attività stanno avendo sugli ecosistemi degli oceani, delle foreste e della fauna selvatica nel mondo», sottolinea Peter Uhlenbruch di ShareAction.

Le pagelle delle grandi banche europee, italiane comprese, su clima e biodiversità

Macinando questi e altri dati, l’organizzazione non governativa arriva ad attribuire a ogni banca un punteggio complessivo, uno sul clima e uno sulla biodiversità, tutti e tre espressi in percentuale. Per semplificare ancora di più, assegna anche una valutazione che va da un minimo di F a un massimo di A+.

La media delle 25 grandi banche europee analizzate non è certo lusinghiera: appena il 43,7%, un voto che a scuola sarebbe stato considerato largamente insufficiente. Solo le prime sei in classifica superano il 50%. BNP Paribas domina la classifica, se così si può dire, incassando l’unico B+ (che equivale a un punteggio del 63%). A seguire altre due francesi, Société Générale e Crédit Agricole, l’olandese ING e le britanniche Barclays e Lloyds Banking Group.

Tutte le altre non raggiungono nemmeno il 50%. Le valutazioni sulla biodiversità, in particolar modo, sono impietose: 14 banche su 25 non arrivano nemmeno al 40%. E le italiane? Le uniche due, Unicredit e Intesa Sanpaolo, si collocano a metà classifica con una valutazione sintetica di C+. Unicredit guadagna qualche punto sul clima (51%) e arranca sulla biodiversità (26%); Intesa Sanpaolo incassa un 30% sulla biodiversità e un 48% sul clima.  

Netta la conclusione di Peter Uhlenbruch: «Le banche hanno fatto delle promesse agli investitori e al pubblico: è ora che mantengano i loro impegni».