Polo pubblico per farmaci e vaccini, l’Europa prepara la svolta?
Approvato un rapporto che propone un polo pubblico per farmaci e vaccini. Intervista a Massimo Florio, del Forum Disuguaglianze Diversità
Come è stata gestita la pandemia da parte delle autorità europee e nazionali? Cosa fare per il futuro, come prepararsi per eventuali altri rischi? A queste domande doveva rispondere la Commissione COVI, istituita dal Parlamento europeo, che ha avviato i propri lavori nell’aprile 2022. Composta da 38 parlamentari di ogni schieramento politico e presieduta dalla socialista belga Kathleen Van Brempt, la Commissione ha votato il 12 giugno scorso il testo definitivo del “Rapporto sulla pandemia di Covid 19: la lezione appresa e i consigli per il futuro“. Un testo frutto di oltre un anno di incontri e confronti con case farmaceutiche, direzioni generali della Commissione europea e esperti indipendenti.
Tra loro, Massimo Florio, docente di scienza delle finanze presso l’università di Milano e membro dell’assemblea del Forum Disuguaglianze Diversità che, insieme a Simona Gamba e Chiara Pancotti, ha realizzato uno studio da cui emerge che il rischio finanziario per la realizzazione dei vaccini è stato assunto soprattutto dal pubblico, ossia dai contribuenti, più che dall’industria farmaceutica. Il testo approvato dalla Commissione COVI contiene, tra le varie raccomandazioni, la proposta di istituire un’infrastruttura pubblica europea per farmaci e vaccini avanzata dal ForumDD già nel 2019.
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«Ci sono diverse aperture positive in questo documento licenziato dalla Commissione COVI, anche se permane una mancanza di coraggio che possa portare a un vero cambiamenti di modello dell’innovazione biomedica». Anche per questo, sottolinea Florio, è importante firmare la petizione per fare pressione sui parlamentari europei.
Facciamo un passo indietro. Come siamo arrivati al testo approvato il 12 giugno e che sarà votato dal Parlamento europeo in seduta plenaria il prossimo 11 luglio? Da quali forze politiche è sostenuto?
A marzo scorso Dolors Montserrat, ex ministra spagnola della Sanità nel governo Rajoy, relatrice in seno alla Commissione COVI, ha presentato una bozza di testo abbastanza controversa. Tanto che ha ottenuto il record di oltre tremila emendamenti, poi ridotti a 350. La maggioranza che lo ha approvato il 12 giugno scorso è una “maggioranza Ursula“, ovvero composta da Partito Popolare Europeo, Socialisti e Democratici e liberali di centro. A votare contro sono stati la destra, i Verdi e la sinistra del Gue. L’11 luglio in plenaria saranno possibili emendamenti solo dai gruppi e non dai singoli parlamentari. Quindi è molto probabile che il testo verrà approvato senza modifiche sostanziali e da una maggioranza simile.
Dal punto di vista del ForumDD, quali sono gli elementi positivi contenuti in questo rapporto?
Intanto, il testo definitivo contiene aperture interessanti che non si trovavano nella prima bozza redatta da Montserrat. Una prima questione, che sta molto a cuore al ForumDD è contenuta nella raccomandazione 601. Dove si fa espressamente riferimento, per la prima volta, a una nostra proposta. Ovvero alla creazione di una infrastruttura pubblica europea per vaccini e farmaci nelle aree non coperte dall’industria. Finora la linea era quella di sovvenzionare le imprese private affinché si occupassero di ciò di cui, altrimenti, non si sarebbero occupate.
Un secondo aspetto positivo riguarda la trasformazione di HERA, la direzione della Commissione europea per le emergenze sanitarie. Nata durante la pandemia per gestire gli acquisti dei vaccini, è stata strutturata come una semplice direzione generale all’interno della Commissione, da cui “prende ordini”, invece che come agenzia autonoma. Questa impostazione è criticata nel rapporto. Anche per la mancanza di trasparenza e per la sottrazione al controllo parlamentare. Sembra un dettaglio, ma si tratta di un aspetto molto importante perché è da HERA che passano i contratti con le aziende farmaceutiche. Finora HERA è stata dotata di un budget di circa un miliardo di euro con cui ha effettuato acquisti, senza gare.
Un altro aspetto positivo è che da questo lavoro emerge come il tema della salute sarà centrale nel prossimo Parlamento europeo e nella Commissione. E che si tratta di un tema di interesse europeo, che non può essere lasciato ai singoli Paesi. Non c’è sovranismo, in materia di salute. E anche per questo le destre hanno votato contro il rapporto.
Cosa manca, invece?
Una posizione chiara e netta sul tema dei brevetti. Tema su cui ci sono stati scontri molto forti tra Commissione e Parlamento europeo. Il Parlamento si era espresso a maggioranza a favore di una sospensione dei brevetti, ma in sede WTO (Organizzazione mondiale del commercio, ndr) la Commissione ha sempre ostacolato la proposta di India e Sudafrica. Questo rapporto torna sul tema della sospensione dei brevetti, ma lo dice in una forma così contorta che è evidentemente un compromesso perché non si è riusciti a trovare una maggioranza che prendesse una posizione chiara.
Alcune parti sembrano scritte sotto dettatura della lobby delle aziende farmaceutiche. Per esempio dove si legge che «il sistema di protezione dei brevetti incentiva le aziende a investire nell’innovazione e a produrre nuovi strumenti medici». Ma poi subito dopo aggiunge che «l’effetto dei brevetti può portare a un’offerta di mercato limitata e a un accesso ridotto ai farmaci e ai prodotti farmaceutici […]». E sottolinea che in tempi di crisi, «oltre a proteggere la salute pubblica e la vita delle persone, le autorità pubbliche dovrebbero essere in grado di intervenire su questo sistema e utilizzare i mezzi necessari per garantire a tutti l’accesso alla diagnostica, alla prevenzione e ai trattamenti e alle cure». Un “dico e non dico” frutto dell’incapacità di prendere una posizione su una questione che è un vero scandalo.
L’industria difende il principio dei brevetti perché, normalmente, occorrono molti anni per arrivare alla produzione di un farmaco. Ma in questo caso, grazie all’intervento pubblico, è stato fatto tutto in meno di un anno. E però i brevetti proteggono la proprietà intellettuale per 20 anni. Quindi per 19 anni un pugno di aziende continuerà a mantenere il controllo su questi farmaci e tecnologie. Una cosa mai vista nella storia della proprietà intellettuale.
Cosa dobbiamo aspettarci ora dal voto in plenaria l’11 luglio prossimo?
Probabilmente non ci saranno sorprese rispetto al voto in Commissione e il Rapporto sarà approvato dalla “maggioranza Ursula”. Qualcosa potrebbe cambiare se i Socialisti e Democratici avessero il coraggio di cancellare quelle frasi più sotto dettatura dell’industria farmaceutica e si facesse un passo in una direzione meno ortodossa sulla questione della proprietà intellettuale.
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Allora forse i Verdi e la sinistra potrebbero votare a favore. Ma questo significherebbe spaccare l’attuale maggioranza e spingere, probabilmente, il PPE verso la destra. A meno di un anno dalle elezioni europee è improbabile che qualcuno voglia rischiare di scombinare gli equilibri.
Ammettiamo che il documento venga approvato e che l’Europa dia vita a una struttura che, sul modello del Cern o dell’Agenzia spaziale europea, fa ricerca e sviluppo di farmaci e vaccini. Non c’è il rischio che poi i rapporti con le aziende farmaceutiche ne ostacolino il lavoro?
Non credo ci sia questo rischio. Se il progetto parte nella forma che abbiamo immaginato e con un budget di 7-8 miliardi all’anno, simile a quello dell’Agenzia spaziale europea, non rischia di essere “catturato” da Big Pharma. Perché per la comunità scientifica europea sarebbe una straordinaria occasione per recuperare il terreno perduto nei confronti degli Stati Uniti.
Nella stesura del nostro rapporto abbiamo intervistato molte aziende farmaceutiche, anche medio-piccole. E non è affatto detto che sarebbero contrarie a questo progetto. Le Big Pharma ormai sono delle società finanziarie, ma poi la produzione vera e propria viene affidata ad altri. Anche cose che nemmeno ci immagineremo, come i foglietti illustrativi che sono prodotti da aziende specializzate. In questo ecosistema di imprese ce ne sono molte di cui il grande pubblico non conosce il nome, ma che sono quelle che materialmente producono i farmaci, che beneficerebbero dall’esistenza di un centro di ricerca pubblico. Non si tratterebbe di dare soldi a fondo perduto, come succede ora, o fare acquisti a fondo perduto. Ma si stipulerebbero dei contratti con queste imprese.
Inoltre, per la sua natura non profit il centro di ricerca manterrebbe la proprietà intellettuale nell’interesse pubblico. Una sorta di “creative commons”, una licenza gratuita o quasi. Faccio un esempio: se viene messo a punto un antibiotico in grado di risolvere il problema della resistenza ai farmaci per la tubercolosi al Sudafrica viene fornito con licenza gratuita perché possa produrlo in loco.
Una cosa che abbiamo sentito dire spesso nei mesi della pandemia è che nulla sarebbe stato più come prima. Sembrava si fosse davvero imparata la lezione e che si sarebbe tornati a investire nella sanità. Guardando i dati, però, pare sia l’esatto contrario.
C’è un problema strutturale di investimenti nel settore della sanità, in tutta Europa. Ed è un problema strettamente collegato alla situazione di “caos” che abbiamo registrato durante la pandemia e che emerge in questo rapporto. Dopo che il vaccino di Oxford prodotto da Astrazeneca che costava pochi euro a dose, perché “pubblico” e si è ottenuto di venderlo a prezzo di costo, è uscito dal mercato sono rimasti solo Pfizer e Moderna. Il cui costo di produzione era probabilmente minore, ma che veniva venduto a oltre 20 euro a dose. Tutti soldi che sono stati sottratti da altre voci di spesa sanitaria.
Ma è un problema strutturale. Le aziende farmaceutiche quotano i nuovi farmaci per malattie oncologiche o genetiche a prezzi insostenibili per i sistemi pubblici. Che dovranno presto scegliere se pagare i farmaci per curare i pazienti o mantenere i propri ricercatori nei reparti.
La sanità, come altri aspetti delle nostre vite, dovrebbe essere sottratta alle logiche di mercato. Anni fa scrissi un testo sui “beni di cittadinanza”: beni che ci definiscono come cittadini. Se non si ha un tetto sulla testa, cibo, acqua, cure è inutile essere definiti cittadini. I soldi per garantire a tutti l’accesso a questi beni ci sono. Anche perché è la finanziarizzazione di molti di questi beni e servizi che ne ha fatto lievitare i prezzi, senza però alcun beneficio dal punto di vista sociale. Torniamo al tema dei vaccini: se tutti noi siamo vaccinati contro la polio è perché Sabin ha rinunciato a porre il brevetto. Se si fosse trattato, invece, di un’azienda quotata in Borsa che deve rispondere ai propri investitori forse solo il 10% della popolazione mondiale sarebbe vaccinata contro la polio.