Vittoria per la giustizia fiscale. La Ue «piega» Apple sulle tasse non pagate
I “tax ruling” erano aiuti di Stato: Apple deve pagare 13 miliardi di euro all'Irlanda. Una vittoria storica per la giustizia fiscale
In futuro probabilmente la si ricorderà come una pietra miliare nella strada, ancora lunga, per un sistema fiscale internazionale più giusto ed equo. La Corte di giustizia dell’Unione europea ha infatti stabilito che la Commissione di Bruxelles aveva ragione nell’affermare che l’accordo fiscale (tax ruling) che l’Irlanda aveva adottato in favore di Apple rappresentava un aiuto di Stato. Era quindi un vantaggio fiscale indebito. Ora il colosso di Cupertino dovrà pagare allo Stato irlandese 13 miliardi di euro più interessi di tasse arretrate.
Si tratta di una sconfitta storica per Apple. E di una vittoria altrettanto storica per la Commissione europea. In particolare per la commissaria alla Concorrenza, Margrethe Vestager, che dopo dieci anni si appresta a lasciare il ruolo. Ma a vincere è soprattutto l’idea che la giustizia fiscale si può ottenere anche quando di mezzo ci sono le multinazionali più ricche e potenti del mondo. Che attraverso la cosiddetta «ottimizzazione fiscale» usano ogni mezzo a loro disposizione, anche col benestare degli Stati come in questo caso, per pagare meno tasse possibile sui profitti stellari che macinano.
Una battaglia legale durata dieci anni
Nel 2016, dopo due anni di indagini, la Commissione europea aveva concluso che due tax ruling siglati tra Irlanda e due società di diritto irlandese del gruppo Apple (Apple Sales International e Apple Operations Europe) avevano indebitamente ridotto le imposte che la multinazionale avrebbe dovuto versare. Secondo la Commissione, i ruling avevano permesso ad Apple di godere di un’aliquota effettiva dell’imposta sulle società dell’1% nel 2003 e dello 0,005% nel 2014.
L’Irlanda, però, aveva preso le parti dell’azienda. E come Apple aveva fatto ricorso contro la decisione, che nel 2020 era stata annullata dal Tribunale di primo grado dell’Unione europea. Allora era stata la Commissione a fare ricorso all’Alta Corte contro la decisione del Tribunale. A fine 2023 l’Avvocato generale dell’Unione europea aveva destinato un parere, non vincolante, alla Corte di giustizia europea in cui suggeriva di annullare la decisione del Tribunale e richiedere una nuova decisione di merito. Ora il giudizio della Corte ha chiuso per sempre il contenzioso.
Uno stop alla corsa al ribasso fiscale
Si tratta di una sconfitta anche per la esasperata concorrenza fiscale che in Europa, e non solo, ha messo un Paese contro l’altro. Tutti alla ricerca delle regole fiscali più favorevoli alle multinazionali di turno. Con l’obiettivo di invogliarle a investire, e aprire fabbriche e uffici nei rispettivi territori. Costi quel che costi. Il fatto che l’Irlanda si fosse rifiutata di recuperare le tasse non pagate, per giunta per un ammontare così ingente, la dice lunga al riguardo.
«La decisione – commenta Mikhail Maslennikov, policy advisor su giustizia fiscale di Oxfam Italia, che ha monitorato negli anni la vicenda – porta nuovamente alla ribalta il pervicace ruolo dei paradisi fiscali europei nella deleteria corsa al ribasso in materia di fisco societario. Sulla scorta di questa decisione, le istituzioni europee devono dare un ulteriore, vigoroso impulso legislativo all’azione di contrasto alla pianificazione fiscale aggressiva delle multinazionali. E al dumping fiscale intra-UE. Per evitare abusi che privano i governi di ingenti risorse indispensabili per la lotta alle disuguaglianze, all’esclusione sociale e al cambiamento climatico».
Dello stesso tenore il commento del neo-presidente della Commissione del Parlamento europeo per le questioni fiscali, Pasquale Tridico: «La Commissione europea deve vietare ogni forma di elusione fiscale», ha scritto su X l’economista ed ex presidente dell’Inps. Anch’egli sottolineando che «i vantaggi per le multinazionali prosciugano le risorse pubbliche».
L’auspicio, ora, è che con questa storica decisione della Corte di Giustizia europea sia iniziata almeno nel Vecchio Continente un’inversione di tendenza nel trattamento fiscale dei profitti delle multinazionali. Particolarmente indicativo al riguardo quanto sta accadendo nella stessa Irlanda, dove l’anno scorso le entrate derivanti dalle tasse sulle imprese hanno sfiorato i 24 miliardi di euro (circa sei volte l’importo del 2014). Al punto che si è parlato di una vera e propria «manna fiscale». È un importo equivalente, è stato calcolato, a 5mila euro per ogni uomo, donna e bambino residente nel Paese. Con il quale si potrebbero costruire quasi 100mila abitazioni di edilizia sociale.
La Corte europea ferma anche Google
La stessa Commissione europea continua a lavorare sull’analisi di molti altri tax ruling. E ha già messo nel mirino colossi del calibro di Amazon e McDonald’s. Senza contare che contestualmente alla decisione su Apple, la Corte di giustizia ha respinto il ricorso di Google contro la multa da 2,4 miliardi di euro che era stata comminata all’azienda con l’accusa di abuso di posizione dominante per il servizio Google Shopping.
La speranza è che l’approccio alla questione fiscale acquisti maggiore rilevanza nelle strategie e nelle policy con cui le aziende si impegnano sul fronte della responsabilità sociale d’impresa e della sostenibilità. Finora in larga misura non è stato così. Alle tasse, infatti, si è guardato in estrema sintesi come a un costo da contenere il più possibile. Ma se non si contribuisce al benessere della collettività pagando le giuste tasse, con quale credibilità poi ci si dichiara responsabili e sostenibili? Ė ora che la responsabilità fiscale diventi un pilastro della responsabilità sociale.