Multinazionali e tasse da paradiso fiscale: così l’Irlanda si regala un fondo sovrano

L'Irlanda continua a incassare le tasse delle multinazionali in fuga dai loro Paesi d'origine. E pensa di alimentarci un fondo sovrano

La sede centrale di Amazon in Irlanda © Derick Hudson/iStockphoto

Google, Apple, Meta, Microsoft, Pfizer, Johnson&Johnson e Amazon hanno qualcosa in comune: la sede in Irlanda. Sono infatti tra le più grandi e note multinazionali che hanno approfittato del trattamento fiscale di favore a loro destinato da Dublino. Il ricavato delle loro tasse potrebbe ben presto finire dentro un nuovo fondo sovrano. È quanto emerge da un documento sottoposto al Parlamento dal ministro delle Finanze, Michael McGrath, e ampiamente commentato dalla stampa internazionale.

Un sistema fiscale a dir poco generoso con le multinazionali

Nella classifica dei paradisi fiscali stilata dal gruppo di pressione Tax Justice Network, l’Irlanda è undicesima. Questo Stato da cinque milioni di abitanti (meno della Campania) ha ingolosito le aziende di tutto il mondo con la sua aliquota del 12,5%. Oggi i settori dominati dalle multinazionali estere valgono più della metà del Prodotto Interno Lordo (PIL) e contribuiscono a circa un quarto del gettito fiscale.

Durante la pandemia, alcuni grandi nomi – soprattutto le big tech – hanno visto esplodere il loro fatturato. E, quindi, hanno arricchito lo Stato irlandese. Nel 2022 è stato toccato il record di 22,6 miliardi di euro di introiti fiscali, con un +48% sull’anno precedente. Cifre che peraltro potrebbero essere ben più alte se venisse applicata una tassazione equa. Il Tax Justice Network parla di 12 miliardi di euro persi ogni anno per questo motivo, cioè 2.661 euro per ogni singolo cittadino. Sarebbero sufficienti per sostenere il 71% della spesa sanitaria nazionale. Oltretutto, il denaro che le multinazionali versano all’Irlanda è – di fatto – sottratto ai loro Paesi d’origine: il danno è stimato in 9,2 miliardi, e si arriva a 17,5 considerando anche i privati.

sede di Meta a Dublino
La sede di Meta a Dublino © Derick Hudson/iStockphoto

L’idea del governo: un nuovo fondo sovrano

Ad ogni modo, l’esecutivo di Dublino si chiede come mettere a frutto questa montagna di denaro versato dalle grandi aziende straniere. E ragiona appunto su un’ipotesi: convogliarlo in un fondo sovrano. Cioè in uno strumento di investimento che appartiene allo Stato. L’intento è quello di far crescere il valore di questo “tesoretto” attraverso investimenti a lungo termine. Il ministero ipotizza di investire 12 miliardi di euro all’anno fino al 2030, con un tasso di rendimento reale del 5% (rendimenti che andrebbero a loro volta reinvestiti fino al 2035).

In Irlanda, però, un fondo sovrano esiste già. Vale circa 6 miliardi, investiti in titoli di Stato a basso rischio. Se davvero ne verrà istituito un altro, inevitabilmente avrà strategie diverse. Cosa farà sui mercati? Ancora non è dato saperlo. Volendo essere inguaribili ottimisti, si potrebbe dire che i fondi sovrani abbiano il potere di fare la differenza, e in meglio.

Messi insieme, oggi gestiscono più di 10mila miliardi di dollari: se la smettessero di acquistare azioni delle compagnie petrolifere e investissero nella decarbonizzazione, per esempio, avrebbero un impatto rivoluzionario. Peccato che, ad oggi, non funzioni così. Si è scritto tanto sul fondo sovrano norvegese, finanziato con i proventi della vendita del petrolio e tra i primi a introdurre standard etici nelle proprie decisioni di investimento. Ma innanzitutto è un’eccezione, non la regola. In secondo luogo, le sue politiche sono ancora perfettibili.

I punti di domanda sull’economia dell’Irlanda

L’Irlanda può permettersi di valutare questa scelta anche perché è nel pieno di un periodo economicamente florido. Il 2008, l’anno in cui la bolla immobiliare scoppiò scatenando una grave crisi bancaria, ormai sembra lontanissimo. Il Paese è stato tra i pochi in Europa a chiudere il 2022 con un avanzo positivo di bilancio. È stato di 8 miliardi di euro, l’1,6% del PIL, ma si prevede di arrivare a 65 miliardi (il 6,5% del PIL) nel 2026.

Una stima che suona un po’ troppo rosea, sottolinea la CNBC. Per due motivi. Il primo: la speranza di vita aumenta, gonfiando le spese sanitarie, sociali e previdenziali per le fasce di popolazione più anziane. Spese che il governo vorrebbe in parte coprire proprio con le rendite del nuovo fondo sovrano.

Il secondo, invece, ha a che fare con la gallina dalle uova d’oro dell’economia locale, cioè le tasse pagate dalle imprese. A partire dal 2024, infatti, prenderà il via l’iter di riforma voluto dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) per far sì che tutti i Paesi applichino alle multinazionali un’aliquota pari almeno al 15%. Un progetto a cui, seppure con una certa titubanza, anche l’Irlanda ha aderito. Non è dunque da escludere che, così come sono arrivate, le ricche multinazionali possano andarsene in fretta e furia, una volta venuto a mancare il principale vantaggio che le ha portate lì. Sono i rischi fisiologici a cui ci si espone quando un terzo del proprio gettito fiscale è nelle mani di una dozzina di soggetti privati esteri che, in quanto tali, non hanno obblighi né vincoli.

Ad ogni modo, pur non sapendo in che modo si orienterà il nuovo fondo sovrano nei propri investimenti, una cosa è certa. L’Irlanda sottrae agli altri Paesi denaro attuando di fatto comportamenti da paradiso fiscale. E ora punta a reinvestire i proventi di tali pratiche per arricchirsi ulteriormente. Esattamente come fanno le grandi multinazionali che si servono del fisco compiacente di Dublino.