Greenlaundering: come il segreto finanziario aiuta le fossili

Banche e multinazionali dell'energia usano il segreto finanziario per nascondere i finanziamenti alle fonti fossili. Un report le smaschera

Il Delaware è uno dei paesi citati nel report ©AndreyKrav/iStockPhoto

Banche e aziende del settore oil&gas usano paradisi fiscali e Paesi con scarsi obblighi di trasparenza finanziaria per occultare la propria esposizione sulle fonti fossili. È questa la tesi di un rapporto pubblicato da Tax Justice Network, una coalizione di ong con sede a Londra. Una pratica così diffusa che gli autori del documento hanno voluto dargli un nome. «Greenlaundering», crasi di green, verde, e laundering, il termine col quale ci si riferisce comunente al riciclo di denaro.

Lo studio è opera di due ricercatrici, Alison Schultz e Franziska Mager, ed è stato realizzato con il supporto di Banking on Climate Chaos – a sua volta un’insieme di realtà no-profit che cura ogni anno il più importante rapporto sul finanziamento alle fonti fossili. Ciò che emerge dal lavoro di Tax Justice Network è che le grandi aziende del settore energetico hanno l’abitudine di aprire delle società controllate in Paesi le cui regole in tema di fisco e trasparenza sono minime. E che tramite queste filiali ricevono molti dei finanziamenti diretti a petrolio, gas e carbone.

Finanza fossile, ma in silenzio

Un’operazione vantaggiosa per tutti le parti. Le multinazionali dei combustibili fossili riescono a ricevere fondi senza dichiararne l’uso, evitando così tassi di interesse più alti – come spesso accade per i prestiti legati all’energia sporca – e la possibilità di perdere l’accesso ad altri finanziamenti legati ad obiettivi di riduzione delle emissioni. Il tutto in aggiunta al più classico degli obiettivi: eludere la tassazione dei Paesi di origine o di produzione.

Le banche, dal canto loro, realizzano senza sforzo un’importante campagna di greenwashing. I prestiti erogati a queste società sparse per il mondo sono difficili da tracciare, non sempre immediatamente riconducibili alla casa madre e comunque non conteggiati come finanziamento alle fonti fossili. Questo permette agli istituti di credito di apparire più verdi di quanto loro stessi non siano. Finanziare le fossili tramite controllate, e non erogando direttamente alla società controllante, è anche un modo efficace per eludere le restrizioni alla finanza sporca di cui le banche stesse si dotano. In questo modo è possibile apparire virtuosi senza rinunciare ad una fetta di affari.

Le esperte di Tax Justice Network hanno preso in esame i finanziamenti erogati dalle sessanta più grandi banche al mondo – dati che provengono dall’ultima ricerca di Banking on Climate Chaos. I risultati sono notevoli. Secondo il report il 60% dei finanziamenti ai combustibili fossili delle banche analizzate viene concesso a filiali site in quelle che lo studio chiama «giurisdizioni segrete» – Paesi cioè con un alto punteggio di opacità nella classificazione curata dalla ong stessa. Per questo, scrivono le ricercatrici, stimare la vera esposizione della finanza globale verso le fossili è difficile. È possibile che i numeri noti siano sottostimati.

Aramco e Gremcore: i casi di studio

Il report si concentra su due aziende in particolare: Saudi Aramco, gigante petrolifero con sede a Riyad, e Glencore, società anglo-svizzera leader nell’esportazione del carbone. Questi casi di studio danno un’idea della complessità delle scatole cinesi di cui le aziende si dotano.

«Le filiali di Aramco (SABIC Capital B.V., SABIC Capital I B.V. e SABIC Capital II B.V.) sono tutte con sede nei Paesi Bassi. Il Paese ha un punteggio di segretezza di 65/100 nell’Indice di Segretezza Finanziaria, a causa della mancanza di regole di trasparenza rilevanti e della fornitura di incentivi per il trasferimento di profitti nel Paese. Le informazioni sulle società a responsabilità limitata private, la forma societaria di SABIC Capital, non sono liberamente disponibili, ma possono essere accessibili solo a pagamento dopo la registrazione presso il registro delle imprese dei Paesi Bassi.

La filiale con sede nelle Cayman, SA GLOBAL Sukuk Ltd, introduce ulteriore segretezza nella struttura aziendale di Aramco. Con sede in una giurisdizione segreta con un alto punteggio di segretezza di 73/100, non si possono trovare informazioni pubbliche su SA Global Sukuk Ltd. Ciò significa che il pubblico non può nemmeno accedere a dati finanziari di base, per non parlare delle informazioni sui proprietari legali o beneficiari. Di conseguenza, sarebbe difficile per una banca prestataria stabilire la connessione di SA Global Sukuk con Saudi Aramco – o, quantomeno, sarebbe facile ignorare questa connessione».

Non va meglio a Glencore. «Il quartier generale di Glencore, Glencore International AG, è registrato a Baar, in Svizzera. Già la Svizzera ha un alto punteggio di segretezza finanziaria (70/100). Il comune di Baar è particolarmente noto per la sua privacy finanziaria e le politiche fiscali dannose. Il finanziamento di Glencore viene canalizzato attraverso la sua società madre, Glencore plc, che è incorporata a Jersey, un noto centro finanziario offshore e paradiso fiscale. Le leggi societarie di Jersey consentono elevati livelli di riservatezza, rendendo difficile accedere a informazioni dettagliate sulle aziende registrate. Inoltre, Glencore Funding LLC è incorporata nel Delaware, un rinomato paradiso fiscale e giurisdizione di segretezza negli Stati Uniti».

Saudi Aramco non ha risposto alla richiesta di commento, dice Tax Justice Network. Glencore ha invece sostenuto di «raccogliere finanziamenti attraverso mercati bancari o di capitali altamente regolamentati, con filiali che pubblicano conti in modo trasparente per gli stakeholder, come banche, investitori e autorità fiscali». Glencore, si legge nel rapporto, dice che «la loro posizione debitoria consolidata è pubblicamente disponibile e che le norme contabili impediscono loro di nascondere passività basate sulla nazionalità o sulla giurisdizione. Inoltre, hanno confermato il loro impegno a rispettare le leggi e le normative fiscali, mantenendo relazioni trasparenti con le autorità fiscali, facendo riferimento al loro rapporto sui pagamenti ai governi del 2023 per ulteriori dettagli».

Le soluzioni possibili

Secondo Banking on Climate Chaos, dal 2016 al 2023 le 60 più grandi banche al mondo hanno elargito al settore fossile 6.900 miliardi di dollari. Tre volte il Pil di un Paese come l’Italia. nel solo 2023 gli stessi istituti di credito hanno investito nel comparto 750 miliardi di dollari. Un dato perfino in aumento rispetto al 2022, quando ci si era fermati a “soli” 673 miliardi. Molti istituti di credito non hanno regolamenti interni che gli impediscano di finanziare infrastrutture fossili. Altre li hanno, ma li eludono tramite meccanismi come quello illustrato da Tax Justice Network.

Per questo le ricercatrici offrono una serie di policy potenzialmente risolutive del problema. Innanzitutto, argomentano, è necessario negoziare un sistema di regole finanziarie condiviso in sede di Nazioni Unite. Poi, è utile che i governi impongano a banche e aziende sistemi di rendicontazione più severi ed efficaci, introducendo anche figure di revisori pubblici. Solo così, spiegano, sarà possibile eliminare la piaga del greenlaundering.