I processi contro i giganti dell’energia fossile sono triplicati dal 2015 a oggi
Eni, BP, Chevron, ExxonMobil, Shell e TotalEnergies sono alcune delle compagnie fossili finite più volte a processo negli ultimi anni
Molti cambiamenti sociali passano per le aule dei tribunali. Il razzismo, l’Aids, i diritti degli omosessuali sono stati raccontati in celebri film come Il buio oltre la siepe e Philadelphia, cantati da Bob Dylan e Joan Baez. Ora questo è il tempo di portare in tribunale chi distrugge il Pianeta.
Dal 2015 a oggi sono triplicati i processi contro i giganti dell’energia fossile. Il 2015 era l’anno dell’Accordo di Parigi alla Cop21. Da allora molte cose sono cambiate: il clima è diventato un argomento centrale, ci sono state le grandi manifestazioni del 2019, la consapevolezza sul tema è cresciuta. Le conseguenze della crisi climatica si sono acuite terribilmente. Gli studi di attribuzione si sono fatti più precisi. I grandi piani di transizione ecologica si sono scontrati con grandi interessi e sotterfugi delle lobby fossili. E cittadini e organizzazioni non governative hanno cominciato a portare quei sotterfugi davanti ai giudici.
86 processi contro le big delle fossili negli ultimi 9 anni
Secondo uno studio pubblicato dalla ong Oil Change International e da Zero Carbon Analytics lo scorso 11 settembre, solo nel 2023 sono state presentate 14 nuove denunce contro compagnie petrolifere, del gas e del carbone. Nel 2015 erano state cinque, nei dieci anni precedenti nemmeno una all’anno.
Si tratta di un totale di 86 casi negli ultimi nove anni. Di questi, il 38% dei processi (33 in tutto) sarebbero richieste di indennizzo per danni causati dal riscaldamento globale. Un altro 12% delle denunce riguarda aziende che non stanno riducendo le emissioni di anidride carbonica secondo gli standard indicati dall’Accordo di Parigi. Infine, nel 16% dei casi si chiede un risarcimento ad aziende accusate di greenwashing. È in questo campo che le vittorie sono più facili: su nove controversie otto sono state vinte.
L’analisi si riferisce in particolare alle Carbon Majors, ossia le 122 maggiori produttrici di petrolio, gas, carbone e cemento. Da sole rappresentano il 72% delle emissioni globali di combustibili fossili e cemento dall’inizio della rivoluzione industriale.
Alla sbarra i soliti noti: Eni, BP, Chevron, ExxonMobil, Shell e TotalEnergies
Fra gli imputati troviamo Eni, BP, Chevron, ExxonMobil, Shell e TotalEnergies. Di queste, sono Exxon Mobil e Shell hanno collezionato rispettivamente 43 e 42 cause negli ultimi vent’anni.
Per quanto riguarda Shell, nel maggio 2021 un tribunale olandese ha stabilito l’obbligo di ridurre le emissioni del 45% entro il 2030. A seguito del ricorso presentato da Shell, la condanna è stata annullata perché non esiste un consenso scientifico che stabilisca un obiettivo di riduzione specifico per le singole aziende. Anche la Corte d’appello, però, ribadisce che ridurre le emissioni è un obbligo legato alla tutela dei dirittti umani. BP è sotto processo nel Regno Unito per aver diffuso informazioni fuorvianti circa l’entità dei suoi investimenti nelle energie rinnovabili e in Belgio per gli impatti sull’agricoltura.
Uno dei casi più interessanti riguarda RWE, uno dei maggiori produttori tedeschi di energia elettrica da impianti a carbone. L’azienda è accusata di essere responsabile delle inondazioni avvenute in Perù in seguito alla fusione di un ghiacciaio sulle Ande. A portarla alla sbarra è stato un agricoltore, Saúl Luciano Lliuya, che con la sua comunità ora chiede a RWE di rimborsare parte dei costi sostenuti per l’implementazione di misure di protezione dalle inondazioni.
Una strategia efficace per la lotta ambientale
A questi casi si aggiungono altri tipi di processi ambientali, contro governi ed enti pubblici, citati in giudizio per inadempienza di fronte alla crisi climatica. Uno degli esempi più recenti quello delle KlimaSeniorinnen, le Anziane per il clima, che hanno ottenuto una condanna al governo svizzero da parte della Corte europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo.
«Possono essere efficaci sia i processi agli Stati sia quelli alle compagnie fossili» racconta Xenia Chiaramonte, esperta in diritto ambientale. «Nel primo caso, usando dati di un’istituzione riconosciuta come l’IPCC (Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici), si può arrivare a chiedere a un governo di vietare un certo comportamento. Per quanto riguarda i processi a compagnie fossili, un aspetto importante da tenere in considerazione è che si vince più facilmente con cause civilistiche, molto meno con cause amministrative. Il diritto amministrativo per sua natura fa i conti sempre con lo Stato. Se un’opera era autorizzata, è di per sé valida, per quanto possa essere inquinante o nociva. Con una causa civile, invece, si fa valere il danno in sé e quindi si può ottenere un risarcimento o il ripristino dell’ecosistema danneggiato».
L’auspicio di Zero Carbon Analytics è che continuino ad aumentare questi processi e, soprattutto, i casi di vittoria. «I benefici finanziari per le comunità di tutto il mondo danneggiate dagli impatti dei cambiamenti climatici potrebbero essere significativi se venissero vinte altre cause», si legge infatti nel documento. Come abbiamo detto, la maggior parte di questi contenziosi è ancora in corso: aspettiamo le sentenze.