Cemento e fossili, l’80% delle emissioni colpa di sole 57 aziende

Secondo Carbon Majors l'80% delle emissioni prodotte tra il 2015 e il 2022 deriva da 57 soggetti che producono combustibili fossili e cemento

Gran parte delle emissioni degli ultimi sette anni deriva dalla produzione di fossili e cemento © MattGush/IStockPhoto

Nel 2015, mentre quasi duecento nazioni di tutto il mondo approvavano l’Accordo di Parigi, un numero consistente di aziende pianificava di ampliare le proprie produzioni di combustibili dannosi per il clima. Dal 2016 al 2022, 117 entità registrate nel database Carbon Majors hanno prodotto 251 miliardi di tonnellate di emissioni di CO2, l’88% del totale, attraverso la produzione di combustibili fossili e cemento. Dal 1854 i due settori produttivi hanno generato 1.421 miliardi di tonnellate di emissioni di CO2, tutte facenti capo a soli 122 soggetti. Questa quota corrisponde al 72% delle emissioni globali di CO2 prodotte dal 1751, anno da cui cominciano le misurazioni, al 2022.

L’80%, in particolare, è imputabile a soli 57 entità. Le imprese statali hanno contribuito al 38% delle emissioni, quelle private al 25% e gli Stati per il 37%. Sul podio tre imprese pubbliche: la compagnia petrolifera Saudi Aramco, il gigante russo Gazprom e quello indiano Coal India.

Dalla firma dell’Accordo di Parigi è aumentata la produzione di combustibili fossili e cemento

Secondo Carroll Muffet, presidente e amministratore delegato del Center for International Environmental Law (CIEL), «il database rende molto più facile documentare, calcolare e dimostrare visivamente il crescente divario tra le esigenze urgenti della realtà climatica e la continua crescita, spericolata e intenzionale, della produzione di petrolio e gas».

Proprio negli anni in cui i governi si impegnavano a ridurre le proprie emissioni dunque, imprese statali e private aumentavano le loro produzioni. Ciò soprattutto in Asia, dove il dato coinvolge 13 aziende su 15 tra quelle presenti nell’elenco di Carbon Majors. Così come in Medio Oriente, dove sono 7 su 10. In Europa è collegato all’aumento di emissioni il 57% delle aziende, in Sud America il 60%, in Australia il 75% e in Africa il 50%. L’unica regione in cui la responsabilità è di una (relativa) minoranza di imprese (il 43%) è l’America del Nord.

Gran parte delle responsabilità è legata alle produzioni statali

Il report monitora anche le emissioni “storiche”, ovvero quelle generate tra il 1854 e il 2022. Esse risultano pari a 1.421 miliardi di tonnellate di CO2. e sono attribuibili a 122 soggetti: gli Stati, responsabili del 36% della emissioni; le imprese pubbliche, collegate al 33% dei casi, e quelle private che invece generano il 31% delle emissioni. Tra queste, i tre principali emettitori sono Chevron, ExxonMobil e BP.

Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia tra il 2015 e il 2022 il consumo di carbone è aumentato dell’8% e ha raggiunto il suo massimo storico, con 8,3 miliardi di tonnellate nel 2022, anno in cui le emissioni di CO2 legate all’energia sono arrivate a livelli record. Diminuisce progressivamente il contributo dei privati, attualmente responsabili del 28% delle emissioni. In controtendenza, cresce la responsabilità di imprese pubbliche (29%) e Stati (19%).

Carbon Majors fornisce dati utili alle climate litigations

Pubblicato per la prima volta nel 2013 dal Climate Accountability Institute (CAI), il database Carbon Majors viene periodicamente aggiornato dal team di ricerca di InfluenceMap.

Si tratta di un utile strumento di divulgazione sugli impatti dei combustibili fossili e della produzione di cemento. Negli anni è stato impiegato in contesti accademici, come supporto alla produzione di leggi, ma anche nelle aule dei tribunali. La scorsa edizione del report è stata tra le fonti riportate da Hagues Falys, l’agricoltore belga che ha fatto causa a TotalEnergies per gli effetti della crisi climatica sulle sue attività. Secondo Falys l’azienda, produttrice di una importante quota delle emissioni globali, è responsabile delle conseguenze che queste hanno sulla sua vita.

La stessa tesi è sostenuta da Tzeporah Berman, direttore del programma internazionale di Stand.earth e presidente del trattato di non proliferazione dei combustibili fossili: «La ricerca Carbon Majors ci mostra esattamente chi è responsabile del calore letale, del clima estremo e dell’inquinamento atmosferico che minaccia le vite e provoca il caos nei nostri oceani e foreste. Queste aziende hanno guadagnato miliardi di dollari negando il problema e ritardando e ostacolando la politica climatica».