Gli italiani sono sempre più preparati sulla sostenibilità. E i comportamenti?

Da dieci anni l'Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile di LifeGate racconta l'approccio alla sostenibilità degli italiani. Con qualche sorpresa

Agnese Conti
Da dieci anni LifeGate conduce l'Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile © fokkebok/iStockPhoto
Agnese Conti
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È giusto che il Paese investa nelle fonti di energia rinnovabile? È necessario che le aziende mettano in atto processi produttivi sostenibili e innovativi? Il governo deve promuovere la transizione ecologica? Circa nove italiani e italiane su dieci si schierano compatti per il . Una presa di coscienza tutt’altro che scontata: appena dieci anni fa, la consapevolezza era ancora in gran parte da costruire. Il prossimo passo? Far sì che le conoscenze teoriche si traducano anche in comportamenti reali. È questo il grande tema che emerge dai dati dell’Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile di LifeGate, giunto alla decima edizione.

Cos’è l’Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile di LifeGate

Come media network, LifeGate si occupa di sostenibilità dal 2000. Un’epoca in cui il tema non era certo mainstream come oggi. A maggio 2015, mentre prendeva il via l’Expo di Milano, ha presentato la prima edizione dell’Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile. La ricerca è condotta dall’istituto Eumetra, guidato da Renato Mannheimer, su un campione rappresentativo della popolazione italiana maggiorenne. L’obiettivo è quello di indagare il rapporto delle persone con i principali temi di sostenibilità. Declinandolo su tre dimensioni: conoscenze, atteggiamenti e comportamenti.

Di edizione in edizione, alcune domande sono rimaste invariate per tenere traccia dell’evoluzione dell’opinione pubblica, mentre altre sono state ripensate per rispecchiare l’attualità. In tutti i casi, le risposte sono state processate per suddividere i nostri connazionali in tre gruppi: disinteressati, interessati e appassionati alla sostenibilità. Ed è qui che il cambiamento di rotta si vede a occhio nudo. Nel 2015 i disinteressati erano la maggioranza, per la precisione il 57%. Nel 2024 tale percentuale è crollata al 23%. Il 77% degli italiani manifesta un coinvolgimento nei confronti dei temi ambientali o sociali; si tratta di più di tre quarti della popolazione.

Cosa sanno (e cosa pensano) gli italiani della finanza sostenibile

Tra gli argomenti che nel 2015 mancavano del tutto c’è la finanza. Le ultime edizioni dell’Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile di LifeGate, invece, hanno introdotto alcune domande ad hoc. Con risultati altalenanti. Nel 2024, quando la ricerca cerca di valutare il grado di conoscenza dell’espressione “investimenti sostenibili”, il 28% degli intervistati sostiene di non avere idea di cosa significhi e una percentuale identica di averne solo sentito parlare genericamente. Tutti gli altri, cioè il 44% degli italiani, dichiarano di conoscere il tema o addirittura di aver investito parte dei propri risparmi in questo modo. Il 13% del campione si dice poi disposto ad acquistare prodotti finanziari sostenibili anche a condizione di fare un piccolo sacrificio economico.

Dalla ricerca di LifeGate, gli italiani appaiono anche poco informati sull’enorme potere degli attori finanziari di cambiare (in meglio o in peggio) il futuro del Pianeta e della società. Appena l’11% dei cittadini crede che nei prossimi dieci anni la finanza avrà un ruolo centrale nel creare valore e il 9% lo spera. Eppure, se i capitali privati venissero indirizzati nel modo giusto, l’impatto sarebbe dirompente. Cosa succederebbe, per esempio, se le sessanta maggiori banche globali spostassero verso la transizione ecologica quei 6.900 miliardi di dollari che hanno elargito negli ultimi sette anni al comparto dei combustibili fossili?

La distanza tra conoscenze teoriche e comportamenti reali

L’Osservatorio di LifeGate spazia su tanti temi, dall’alimentazione all’energia, dalla mobilità all’economia circolare. Seguendo un iter che è all’incirca sempre lo stesso: cerca di capire innanzitutto cosa sanno gli italiani, poi cosa pensano, infine come agiscono. Ed è qui che molti si perdono per strada.

Per esempio, il 63% del campione sa cosa significa mobilità sostenibile, una percentuale ancora più alta (il 68%) approva gli incentivi pubblici per l’acquisto di auto elettriche, ma soltanto l’8% ne guida una. Ancora meno, il 6%, di utenti di monopattini, bici o scooter elettrici in sharing. Vale un discorso analogo per l’abbigliamento: il 59% sa cosa significa moda sostenibile, il 24% si dice disposto ad acquistare abiti con attributi di sostenibilità anche pagandoli un po’ di più, solo il 14% dice di averli nell’armadio. L’alimentazione segue lo stesso trend. A fronte di un 83% di italiani che ritiene corretto sostenere l’agricoltura biologica, il 34% si dichiara pronto ad acquistare cibo bio anche a un prezzo più alto rispetto a quello convenzionale e meno della metà, il 15%, lo consuma abitualmente.

In parte è inevitabile, perché affermare un principio è più facile di metterlo in pratica. In parte, è lecito chiedere quali siano le barriere agli acquisti. La ricerca lo fa e gli italiani citano innanzitutto i costi (62%), seguiti dallo sforzo necessario per cambiare abitudini (36%). Sul terzo gradino del podio c’è una motivazione tutt’altro che banale, cioè la scarsa fiducia nelle informazioni date dai brand sui prodotti ecologici o presunti tali (33%). E non è l’unica risposta che fa trasparire una certa disillusione. Quando la ricerca chiede loro cosa ne pensano delle iniziative sostenibili delle aziende, sono di più le persone che le bollano come mosse di marketing (49%) di quelle che le ritengono sincere (44%). Un messaggio che dovrebbe suscitare qualche riflessione. Perché ogni scelta individuale conta, ma questa non può diventare la scusa per perdere di vista le responsabilità degli attori economici.