Così la finanza alimenta l’emergenza ambientale della plastica
Uno studio valuta le banche internazionali che sostengono l’industria della plastica. Mettendo in luce le responsabilità della finanza in questa crisi ambientale planetaria
Si può considerare un sottoinsieme della “finanza fossile” che continua a pompare le risorse che mantengono incatenato il modello di sviluppo all’utilizzo di carbone, petrolio e gas. Ma la plastics finance, la finanza che sostiene l’industria della plastica, ha ormai acquisito una sua autonomia e non per caso. Anche il Forum per la Finanza Sostenibile, per esempio, dedicherà un webinar il 6 marzo al tema “emergenza plastica”.
L’inquinamento da plastica è un problema gigantesco e ancora senza soluzioni
Ciò accade perché il problema dell’inquinamento da plastica ha ormai assunto dimensioni gigantesche. In una spirale di cui non si vede la fine, la produzione di plastica nel mondo è raddoppiata negli ultimi vent’anni e potrebbe di nuovo raddoppiare forse già entro metà secolo. Mentre il riciclaggio copre meno del 10% dei rifiuti di plastica prodotti sul Pianeta. Purtroppo il percorso avviato negli ultimi anni per giungere a un trattato globale per ridurre l’inquinamento da plastica ha patito un mortifero stop alla fine dell’anno scorso nel vertice di Busan, in Corea del Sud. Per la solita nauseante, colpevole opposizione dei Paesi produttori di petrolio, più o meno gli stessi che bloccano le Cop sul clima.
Nell’attesa di capire se e come quel percorso verrà ripreso, come sempre quando non si riescono a raggiungere obiettivi col bastone della legge si prova a spingere con la carota delle buone pratiche. Si è rimessa cioè al centro la necessità di fare pressione su coloro che continuano a iniettare linfa finanziaria nell’industria della plastica. Affinché cambino orientamento, decisioni e – appunto – pratiche. Per questo sulla plastica hanno puntato i riflettori alcuni fra i più importanti watchdog internazionali che da tempo denunciano le pratiche insostenibili e irresponsabili della grande finanza.
Tracciare la finanza che alimenta l’industria della plastica
Profundo, Plastic Soup Foundation e BankTrack hanno unito le forze per pubblicare il Plastic Banks Tracker. Come dice il nome, è un database che traccia il supporto offerto all’industria della plastica dalle banche internazionali, venti in tutto, specie da Europa (nessuna italiana) e Nord America.
Gli autori hanno scelto quelle più coinvolte nel dare sostegno finanziario ad aziende che operano lungo tutto il ciclo di vita della plastica, con focus sul settore upstream (estrazione e raffinazione di oil&gas, da cui le plastiche in massima parte derivano) e sulla produzione di plastiche monouso (che rappresentano il 40% di tutta la plastica prodotta). O che sono coinvolte in iniziative come il Finance Leadership Group on Plastics nell’ambito del Programma dell’Onu per l’ambiente (Unep).
Lo strumento non è nato per fare naming & shaming, o meglio non solo. Quello è il punto di partenza. L’obiettivo ultimo è informare, dialogare, guidare gli attori della finanza affinché riducano il flusso di risorse che oggi continua ad alimentare la crisi della plastica.
I criteri per valutare il sostegno della finanza all’industria della plastica
Il Plastic Banks Tracker valuta le banche attraverso una griglia di 21 criteri, suddivisi in tre gruppi. Il primo (acknowledgement and commitment) riguarda l’esplicito riconoscimento del proprio coinvolgimento e responsabilità nel causare gli enormi impatti negativi che il ciclo di vita della plastica produce su natura e biodiversità, clima, salute. Insieme all’assunzione di precisi impegni su cui attivarsi. Il secondo è la definizione di politiche su finanziamenti e investimenti mirate a ridurre tali impatti negativi. Il terzo riguarda l’implementazione di specifiche misure atte a concretizzare impegni e politiche.
Ai fini della valutazione, il primo gruppo di criteri (acknowledgement and commitment) è considerato dirimente. Se dunque una banca non riconosce pienamente la gravità del problema e il suo coinvolgimento e non si impegna esplicitamente ad affrontarlo, non arrivando almeno al 50% dei punti assegnabili da questo gruppo di criteri, non ottiene punti nemmeno negli altri due gruppi.
Quasi tutte le banche analizzate sono relegate tra le ritardatarie
Anche per questa scelta metodologica netta, dall’analisi emerge un ranking particolarmente severo. C’è infatti solo una banca, la tedesca Pro Credit Group, che supera l’asticella (con 56 punti) del 50% del punteggio massimo (100). A notevole distanza (36 punti) c’è l’olandese Ing Group. Tutte le altre (18 su 20) sono sotto gli 8 punti. E tre (First Rand, Bancolombia e Bank of America) totalizzano zero punti.
Il che significa che quasi tutte le banche internazionali analizzate sono considerate laggard (ritardatarie), anche se si riconosce che alcune di esse hanno delle policy su temi collegati al problema plastica. Ma se acknowledgement e commitment mancano, come detto, la valutazione finale crolla. Perché si ritiene che le policy, anche se sono buone, non possano essere implementate col rigore necessario a modificare i rapporti di finanziamento tra banche e clienti.
Il messaggio di Plastic Banks Tracker è dunque che in larga maggioranza gli attori della finanza ancora non fanno sul serio sul problema plastica. Non fanno abbastanza nel chiedere ai clienti di agire soprattutto verso obiettivi di riduzione della produzione di plastica. E ciò finisce paradossalmente per ritorcersi contro la loro possibilità di raggiungere i propri obiettivi legati a clima e biodiversità. L’analisi si spera serva alle banche per guardarsi allo specchio. E poi decidere una buona volta se vogliono essere parte del problema o della soluzione: tertium non datur.