Salute e cibo: perché serve una vera politica alimentare

Scopri come le politiche alimentari europee influenzano salute e disuguaglianze. Cosa fanno i governi per garantire diete sane e accessibili?

© beats3/iStockPhoto

Siamo ciò che mangiamo, ormai questo genere di consapevolezza è diffusa, ma spesso non si accompagna a una dieta salutare. E causa una serie specifica di patologie. Ad esempio, un’alimentazione ricca di zuccheri, grassi saturi e sale, e povera di verdure, frutta e cereali integrali ha un ruolo centrale nello sviluppo di malattie non trasmissibili (MNT). Si tratta delle patologie cardiache o respiratorie croniche, ictus, diabete, cancro. In tutta l’Unione europea rappresentano l’80% della spesa in salute pubblica e sono la prima causa delle morti evitabili. La buona notizia è che sono molto facili da prevenire. Con un approccio olistico e affrontando le disuguaglianze sanitarie, se ne può abbattere il 70%.

Dieta e disuguaglianze: come l’ambiente alimentare influenza la salute

Parliamo di approccio olistico perché la scelta del regime alimentare non è semplicemente una valutazione individuale. Ci muoviamo in un contesto, anche quando ci nutriamo: è l’ambiente alimentare. L’insieme delle politiche adottate dal nostro Paese come sussidi o regolamenti, l’accessibilità ad alcuni alimenti, la loro modalità di diffusione, come le campagne di marketing, compongono il nostro ambiente alimentare.

Le disuguaglianze sociali sono centrali in questo discorso. Le persone con uno status socio-economico più basso hanno più difficoltà a procurarsi alimenti sani a prezzi accessibili.  E sono più esposte al marketing non salutare. Questo crea un paradosso. Quando i governi intervengono con politiche punitive per il consumo di prodotti non salutari (per esempio aumentando le tasse su alcuni di questi), queste stesse fasce sono le più colpite. Allo stesso tempo, quando i governi latitano e non c’è alcun tipo di intervento, restano comunque la categoria più colpita. È chiaro quindi che, in generale, i gruppi di persone più fragili, sono anche quelli più a rischio di malattie non trasmissibili.

Cosa possono fare i governi per promuovere un’alimentazione sana

Sia chiaro: i governi non possono influenzare al cento per cento le scelte alimentari individuali. È anche vero però che hanno molti strumenti per migliorare l’ambiente alimentare e influenzare le scelte di cittadine e cittadini. Possono stabilire per esempio obiettivi nazionali di composizione degli alimenti per quanto riguarda la presenza dei nutrienti pericolosi come grassi trans, grassi saturi, zuccheri aggiunti o sale. Possono vietare il marketing di alimenti non salutari verso bambine e bambini. Possono lavorare sulle politiche alimentari nelle scuole, o elaborare etichette frontali che spieghino – chiaramente – a chi consuma cosa sta mangiando. Possono agevolare alcuni alimenti attraverso sussidi; penalizzarne altri con la tassazione.

Il progetto europeo CoDiet ha studiato le politiche alimentari di 6 Paesi: Estonia, Spagna, Italia, Portogallo, Slovenia e Finlandia.

Politiche alimentari in Europa: troppe regole sono ancora volontarie

Gran parte dei Paesi analizzati ha politiche sugli alimenti non salutari, in particolare per regolare la presenza di grassi trans, zuccheri aggiunti, sale, sodio e grassi saturi. Sono però per lo più regolazioni volontarie. Non solo non c’è alcun obbligo, ma nella maggioranza dei casi si tratta di regole stabilite di concerto con le imprese o addirittura di autoregolazione. Ad esempio in Slovenia, Spagna e Italia le industrie si autoregolano. In Estonia si sta elaborando meccanismo che va in questa direzione. In Finlandia e Portogallo, ci si affida alla coregolamentazione, eccetto che per il sale, per cui gli standard sono obbligatori.

Talvolta ci si affida a obblighi comunitari, come per i grassi trans. La normativa europea pone il limite di 2 grammi per ogni 100 di grassi totali e i Paesi analizzati la applicano, senza politiche ulteriormente restrittive. Il Portogallo ha dichiarato l’obiettivo di 0 grammi, ma non c’è alcun monitoraggio per capire come si stiano regolando le aziende. Stessa cosa per la Spagna, che dichiara l’impegno a restringere la loro presenza nella panificazione ma non ha modo di verificare se stia accadendo.

Tutti i Paesi hanno fissato obiettivi per ridurre la quantità di zucchero, specie nei prodotti destinati all’infanzia come cereali per la colazione, prodotti lattiero-caseari o da forno, bevande analcoliche. Non ci sono però valutazioni dell’impatto di queste politiche, tranne che in Portogallo.

Quando le regole funzionano: esempi di obblighi efficaci e controlli

Ci sono delle eccezioni. In Portogallo, Slovenia, Estonia e Spagna esistono divieti specifici di commercializzazione a bambine e bambini. Esclusa l’Estonia, questi stessi Paesi regolano la presenza di sale nel pane e nei prodotti affini. In Finlandia è obbligatorio indicare sulle etichette di formaggi, salsicce, prodotti ittici, pane, cereali per la colazione, piatti pronti e snack l’alto contenuto di sale. Per presenza del sale, infatti, ci sono limiti specifici di legge.

In Portogallo scuole e ambienti pubblici devono comunicare il contenuto dei pasti forniti. E – a differenza degli altri – esistono strumenti di monitoraggio delle politiche alimentari. Tra il 2018 e il 2021 c’è stata una riduzione dell’11,1% del contenuto medio di zucchero in una serie di alimenti. Le bevande analcoliche sono arrivate a -16,5%. Secondo le stime, nel triennio analizzato c’è stata una riduzione di 6.256,1 tonnellate di zucchero nei gruppi alimentari inclusi nell’accordo. C’è un accordo dello stesso tipo anche sul sale, che ha portato a una riduzione dell’11,5% in patatine e snack salati, cereali per la colazione e pizze, con il picco del 22,3% in queste ultime.

Solo Spagna e Finlandia si sono impegnate a ridurre i grassi saturi. La Finlandia ha redatto le Raccomandazioni nutrizionali nazionali e la Guida all’approvvigionamento responsabile dei servizi alimentari (2021). In questi documenti sono indicati i criteri nutrizionali per i grassi saturi di ogni pasto. Sono inoltre fissati standard per salse, zuppe, porridge, pasta, risotti, pizze, contorni, purè di patate, pane e condimenti per insalate. In Spagna si interviene per lo più su prodotti come yogurt e formaggi.

Sull’efficacia di questi obblighi però – a eccezione del Portogallo – non abbiamo alcuna certezza: non c’è quasi mai un monitoraggio della diffusione e dei risultati.

Etichette alimentari: a che punto siamo in Europa

I Paesi monitorati hanno tre tipi di etichette proposte come front-of-pack per gli alimenti confezionati. La prima è il Nutri-Score, adottato da Spagna e Portogallo tra i Paesi analizzati, più altri Stati, di cui abbiamo già parlato nella scorsa puntata di Valori in tavola. In Italia i ministeri di Salute, Politiche Agricole e Alimentari, Imprese e Made in Italy hanno proposto il Nutri-form, un’etichetta non interpretativa. In Finlandia si usa invece il simbolo Heart, un marchio interpretativo gestito dalla Finnish Heart Association. L’Estonia sta aspettando che arrivi la proposta comunitaria prevista dalla strategia europea Farm to Fork, su cui la Commissione è in forte ritardo, come abbiamo raccontato nell’articolo sul Nutri-Score. In generale gli Stati si dicono favorevoli a uno strumento unico, che contribuirebbe al raggiungimento degli obiettivi su salute, clima e ambiente. Darebbe, inoltre, maggiore forza agli obblighi delle industrie e strumenti di consapevolezza per chi consuma.

Alcuni dei Paesi hanno inoltre un sistema che fornisce informazioni nutrizionali per gli alimenti non preimballati. L’Estonia sta elaborando un regolamento nazionale su sfuso nei supermercati, alimenti confezionati su richiesta del consumatore o preimballati per la vendita diretta – quelli cioè non sigillati, preparati dall’esercente. Tra gli interventi previsti c’è la fornitura di informazioni energetiche e sulle sostanze nutritive per i preimballati. In Slovenia c’è la proposta di promuovere un’offerta alimentare salutare, soprattutto – ma non solo – negli esercizi che offrono pasti sovvenzionati per la popolazione studentesca. In questo caso gli esercenti possono apporre il simbolo Right Choice. Nessuno dei Paesi analizzati, infine, ha una politica o un regolamento specifico sui menù dei fast food.

Cibo e pubblicità: come tutelare i minori dal marketing aggressivo

La scelta più diffusa per le politiche di marketing e l’infanzia è il divieto in televisione o alla radio. Talvolta, ma non sempre, attraverso un obbligo vero e proprio. In Estonia ci si basa sul codice di condotta che regola le attività dei membri dell’Associazione delle emittenti estoni. Chi non ne fa parte può applicare le regole su base volontaria. Le restrizioni arrivano fino ai 12 anni.

In Finlandia ci sono due strumenti legali: la legge sulla tutela dei consumatori e quella sugli alimenti. La prima contiene un articolo specifico sul marketing rivolto o che raggiunge i minori, basata su motivi etici e considera la pubblicità indirizzata ai più piccoli contraria alla buona educazione. Ci sono poi le linee guida ufficiali, come la direttiva dell’Ombudsman dei consumatori su “Bambini e marketing alimentare”, che però anche in questo caso si basa su principi morali e non legali.

L’Italia non ha una normativa sul tema

In Portogallo (fino a 16 anni) e Slovenia (fino a 15) ci sono leggi e regolamenti che specificano cosa è permesso e cosa no, e in quali fasce orarie. In Spagna il codice PAOS autoregolamenta l’attività delle imprese secondo le raccomandazioni delle ASEAN, elaborate dalle autorità competenti. La tutela riguarda i minori fino a 15 anni. L’Italia non ha una normativa sul tema.

Il criterio di valutazione, in Slovenia ed Estonia, sono le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il Portogallo ha sviluppato un suo modello a partire da queste ultime. Il monitoraggio in questi casi è più applicato, ma solo in Portogallo e Spagna ci sono strumenti di intervento per chi contravviene.

In generale si interviene sul marketing televisivo, ma in alcuni casi le regole si estendono anche ai social media (Finlandia, Portogallo e Spagna) e al packaging (Finlandia e Slovenia). C’è da dire che l’ambito di regolazione dei social media è una competenza dell’Unione europea e questo rende difficile intervenire a livello nazionale. In tutti i Paesi eccetto l’Italia ci sono regole sulla pubblicità nei luoghi in cui si riuniscono bambine e bambini: soprattutto le scuole ma, in Portogallo e Spagna, anche l’ambiente circostante, i club sportivi e gli eventi pubblici.

Prezzi e tasse: come orientare i consumi verso alimenti sani

Nessuno dei Paesi analizzati ha una legge che prevede di abbassare le tasse sugli alimenti sani. Né tantomeno si prevede di approvarne. Tutti gli alimenti e le bevande sono tassati, in ogni Paese, con un’aliquota standard (l’Iva). Nel 2023 in Portogallo c’è stata una sperimentazione di otto mesi con l’Iva allo 0% per gli alimenti essenziali e sani. L’obiettivo era ridurre l’impatto dell’inflazione sul paniere alimentare. La tassa è tornata al suo livello originale (6%) nel 2024, ma l’aumento dei prezzi è stato inferiore a quello previsto. Adesso però l’Unione europea consente agli Stati membri l’abbattimento dell’Iva per questo tipo di alimenti, quindi ci sono le prospettive che qualcosa cambi.

L’altro tipo di intervento possibile sui prezzi è tassare gli alimenti dannosi per la salute. I sei Paesi analizzati hanno diverse forme di tassazione delle bevande zuccherate. In Estonia, Finlandia (proposta in via di sviluppo) e Spagna (in via di attuazione) la tassa si basa sui gruppi alimentari. In Spagna è passata dal 10 al 21%. Negli altri Paesi invece si tassano zucchero o dolcificanti in base alla quantità di nutrienti complessivi contenuti negli alimenti. In Portogallo l’imposta è sul consumo, in Slovenia è calcolata in base al prezzo del bene (ad valorem). L’Italia almeno in questo campo ha politiche specifiche. Ha sviluppato un’imposta sulle accise e sulle vendite rivolte ai consumatori il cui effetto è l’aumento del prezzo al dettaglio del 50%. In questo momento, però, è sospesa, si prevede la sua applicazione da luglio 2025.

In diversi casi i governi stanno studiando altre tasse per i cibi non salutari. In Portogallo e Spagna accade già, l’Italia è in attesa, l’Estonia e la Slovenia le stanno elaborando.

Scuole e mense pubbliche: il ruolo delle istituzioni nell’educazione alimentare

Scuole e servizi educativi sono sempre regolati da linee guida. In Estonia, Slovenia e Portogallo sono obbligatorie. La loro applicazione quindi è monitorata e, in Slovenia, ci sono disposizioni per chi trasgredisce. In Italia, Finlandia e Spagna volontarie. Gli standard si basano sui gruppi alimentari di riferimento, ma Italia, Spagna e Slovenia anche sui nutrienti.

I pasti scolastici per bambine e bambini sono gratuiti in Finlandia; in Estonia il governo nazionale paga 1 euro per ogni bambino, mentre il resto del costo è coperto dal governo locale. La Slovenia paga i pasti per i soggetti più svantaggiati e, come accade in Portogallo e accadrà presto in Estonia, ha regole o linee guida obbligatori che vietano distributori automatici nelle scuole e ne regolano contenuto e collocazioni. 

Tutti i Paesi, eccetto l’Italia, hanno linee guida per ambienti come ospedali, carceri e luoghi statali aperti al pubblico.

Equità alimentare: politiche che riducono le disuguaglianze

Tutte le politiche menzionate tengono in considerazione l’equità, ma mai in maniera diretta, come ambito di intervento. In Slovenia il criterio di valutazione è il livello di istruzione; in Estonia lo status socio-economico. Alcuni interventi sono pensati per essere universali e proporzionati, come quelli che si basano sugli standard di composizione degli alimenti. In questo caso riescono anche a ridurre le disuguaglianze.

La legge sulla nutrizione scolastica slovena nasce per abbattere le disuguaglianze. L’obiettivo primario è fornire un pasto sano a ogni bambino a scuola. Quello secondario interviene sulle disuguaglianze di genere. Una giornata scolastica dalle 8 alle 16 e quattro pasti preparati al momento dalle mense sono un incentivo alla crescita delle madri nel mercato del lavoro. Negli anni ’80, infatti, era occupato a tempo pieno il 92% della popolazione femminile. Il supporto statale è cresciuto negli anni della pandemia. Anche se le scuole erano chiuse, le cucine hanno continuato a preparare pasti per i più vulnerabili, pagati al 100% dallo Stato. La legge per sull’alimentazione scolastica si basa sul proporzionalismo universale: per tutti i bambini c’è uno spuntino a metà mattina, e un terzo della popolazione scolastica accede a tutti i pasti in maniera gratuita.

Lo stesso principio vige anche in Finlandia, dove sia linee guida per l’alimentazione sia fornitura dei pasti sono universali, valgono cioè a prescindere dal reddito. E dove l’educazione alla salute e l’economia domestica sono materie scolastiche obbligatorie, così che possano essere trasmesse anche a casa.

Nessuno dei Paesi studiati ha tenuto conto del principio dell’equità per strutturare i propri progetti di etichette. Esistono però diversi studi che mostrano che le etichette front-of-pack sono uno strumento che riduce le disuguaglianze nella scelta di un’alimentazione sana.

Rischi e limiti delle politiche alimentari basate su tasse

Ma quali sono gli effetti negativi delle politiche alimentari? Lo studio ne ipotizza diversi. Innanzitutto le norme zero zuccheri possono essere aggirate con l’introduzione sostitutivi come gli edulcoranti, che hanno effetti negativi sulla salute.

I gruppi più poveri sono quelli più colpiti dalle politiche di variazione di prezzo che quindi hanno più effetto nel migliorare la qualità della dieta nelle famiglie a basso reddito.  L’opinione pubblica accetta di buon grado misure fiscali se le entrate che ne derivano sono destinate al pubblico. A differenza delle aziende. In Slovenia, per esempio, il tentativo di introdurre tassazione sugli alimenti non salutari è stato bloccato dall’industria alimentare nel 2011, 2012 e 2014.

Il pubblico risponde sempre bene alle politiche volte a migliorare l’ambiente alimentare. Uno studio del 2018 mostra che il 61,2% della popolazione portoghese sostiene misure che vanno in questa direzione. In Slovenia le campagne di sensibilizzazione hanno un effetto molto alto su donne e pubblico istruito, fasce inclini alla ricerca di prodotti riformulati. In generale, infine, il pubblico apprezza misure che introducono etichette che spiegano, chiaramente, contenuto e valori nutrizionali degli alimenti.