Banche e clima: falliscono le alleanze e gli impegni volontari

Banking on climate chaos boccia senza appello le policy volontarie e le alleanze per il clima volute dalle banche: servono regole vincolanti

L'immagine è stata realizzata dalla redazione di Valori.it utilizzando Midjourney
Ascolta l’articolo

Nonostante da anni le banche si spertichino nell’annunciare i loro obiettivi di sostenibilità, l’ultima edizione di Banking on Climate Chaos racconta una storia ben diversa. Nel solo 2024 le 65 maggiori banche globali hanno destinato 869 miliardi di dollari alle società nel comparto dei combustibili fossili: 45 di loro hanno addirittura aumentato il volume di finanziamenti rispetto al 2023.

Come si spiega questo apparente controsenso? Il report dà una risposta chiara: mancano le norme vincolanti. È tutto lasciato all’iniziativa dei singoli istituti. I quali, quando non vedono più convenienza nell’impegno per la decarbonizzazione, sono liberi di tornare sui loro passi. Proprio come è successo con la Net zero banking alliance.

Clima e finanza: le banche hanno policy sulle fossili inefficaci

La maggioranza delle banche monitorate ha adottato policy volte almeno a limitare i finanziamenti alle fonti fossili. Ma, tanto per cominciare, solo la metà delle politiche di esclusione di petrolio e gas si applica al livello dell’azienda. Tutte le altre vietano solo di finanziare specifici progetti. La differenza appare sottile ma è cruciale. Perché, quando si erogano prestiti per scopi generali, si perde il controllo su come il beneficiario userà realmente quel denaro. Le policy sul carbone sono tendenzialmente più severe, ma sono solo sedici quelle che restringono le possibilità di finanziare aziende con piani di espansione.

In altre parole, c’è troppa discrezionalità. Una banca annuncia pubblicamente di aver preso le distanze da determinati progetti fossili, salvo poi continuare a sostenere le aziende che li realizzano. Che questo approccio non funzioni lo dimostrano i numeri. Nel 2024, il 70% dei finanziamenti all’espansione dei combustibili fossili arrivava da banche che si erano dotate di una policy di settore.  

Banche e clima: promesse smentite dai finanziamenti fossili

Oltretutto, si tratta di impegni volontari. Ciò significa che le banche hanno la facoltà di ridimensionarli, ripensarli o addirittura di abbandonarli del tutto. Un fenomeno che già il report precedente segnalava, evidenziando i notevoli passi indietro da parte di Bank of America, Pnc e Bank of Montreal. E che nel 2024 si è allargato dal Nord America al resto del mondo. Addirittura all’Europa, dove finora le banche avevano manifestato più attenzione alla causa del clima.

La britannica NatWest, per esempio, in prima battuta aveva posto come condizione per le grandi aziende petrolifere e del gas la presenza di un piano di transizione credibile. E in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi (in gergo si dice Paris-aligned). Oggi si accontenta di un piano di transizione qualsiasi. Altre volte, continua il report, si passa da politiche di esclusione settoriali a piani di decarbonizzazione che si snodano nell’arco di decenni. E che sono molto più difficili da monitorare, complici anche le metriche talvolta ambigue usate per misurare i risultati.

Ci sono poi casi clamorosi come quello di Wells Fargo che all’inizio di quest’anno, dopo l’insediamento di Donald Trump, ha cancellato il proprio obiettivo di ridurre a zero le emissioni nette finanziate entro il 2050. E, di conseguenza, anche gli obiettivi intermedi al 2030. In questa edizione di Banking on Climate Chaos Wells Fargo figura al quinto posto in classifica, con 39,3 miliardi di dollari di finanziamenti fossili nel 2024 e un totale di 143,4 miliardi dal 2016 in poi.

Net Zero Banking Alliance: il fallimento delle banche per il clima

Ma il caso più clamoroso di marcia indietro sugli obiettivi climatici è senza dubbio la Net zero banking alliance (Nzba). Lanciata nel 2021, doveva essere la coalizione in cui centinaia di banche da tutto il mondo si sarebbero assunte l’impegno di allineare i propri portafogli all’azzeramento delle emissioni nette entro il 2050. Un percorso che sarebbe stato coerente con un riscaldamento globale di 1,5 gradi. Non è successo nulla di tutto questo.

Prima perché i dati hanno ben presto dimostrato che anche le firmatarie continuavano comunque a finanziare le fonti fossili. Poi perché, con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, le banche statunitensi hanno prontamente dato forfait. Subito imitate da quelle canadesi e giapponesi. Tra le 65 banche monitorate da Banking on Climate Chaos, ne sono rimaste appena trenta. Quasi tutte europee.

Dopo questo esodo di massa, l’Alleanza non ha rilanciato. Al contrario, ha ridimensionato visibilmente i propri obiettivi e le proprie regole. La soglia di riferimento per il riscaldamento globale non è più di 1,5 gradi, ma di 2 gradi. Nonostante sia ormai assodato come questo mezzo grado di differenza possa rivelarsi una catastrofe, soprattutto per i territori più vulnerabili del Pianeta. Oltretutto, i requisiti vincolanti diventano semplici linee guida. Una resa su tutti i fronti. Secondo gli autori di Banking on Climate Chaos, questo dimostra che non ci si può aggrappare soltanto agli impegni volontari. La politica, le autorità di supervisione e i regolatori hanno la responsabilità di imporre regole chiare. Perché, con i rischi climatici che incombono, ne va anche della stabilità finanziaria.

Nessun commento finora.

Lascia il tuo commento.

Effettua il login, o crea un nuovo account per commentare.

Login Non hai un account? Registrati