Dietro il lusso, la deforestazione: cosa c’entra l’Amazzonia con la tua borsa firmata

Un’inchiesta svela il legame tra borse di lusso e deforestazione in Amazzonia: cuoio da allevamenti illegali arriva in Europa e diventa “made in Italy”

Coach è uno dei brand accusati di utilizzare pelli provenienti da zone dell'Amazzonia soggette a deforestazione © Earthsight

Dalla vetrina scintillante di un negozio nel centro di Milano alle terre indigene devastate dell’Amazzonia brasiliana. Il viaggio della tua borsa di lusso potrebbe raccontare una storia ben diversa da quella che immagini. Secondo un’indagine della ong britannica Earthsight, il marchio Coach – noto per le sue borse di “lusso accessibile” – utilizzerebbe pelli provenienti da allevamenti illegali in Amazzonia, in territori indigeni devastati dalla deforestazione.

Dal Brasile all’Italia, le ombre della filiera conciaria

Al centro del caso c’è il Brasile, e in particolare lo Stato del Pará, uno dei più colpiti dalla perdita di foresta: 18,6 milioni di ettari cancellati tra il 2001 e il 2024, due volte l’estensione del Portogallo. E ricordiamo che la capitale del Pará è Belém, la città che ospiterà a novembre prossimo la trentesima Conferenza delle Nazioni Unite sul clima, la Cop30. Lì operano Frigol, uno dei maggiori macelli del Paese, e Durlicouros, la più grande conceria esportatrice verso l’Europa. Frigol compare in numerose inchieste per acquisto di bestiame da aree protette e da territori indigeni come l’Apyterewa, abitato dai Parakanã.

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Esposizione alla deforestazione e all’allevamento nel territorio indigeno Apyterewa, nelle potenziali zone di approvvigionamento di bestiame attorno ai macelli di Frigol nello Stato del Pará © Imazon

Oltre il 98% del bestiame individuato dall’agenzia ambientale brasiliana (Ibama) nella catena di approvvigionamento di Frigol proviene da un’unica fattoria: Bom Futuro. Nonostante un embargo imposto nel 2019 per deforestazione illegale, i documenti che tracciano i movimenti di bestiame mostrano che Frigol ha continuato ad acquistare dalla Bom Futuro tra gennaio 2020 e ottobre 2023. L’embargo è una misura punitiva utilizzata dall’Ibama contro i produttori che hanno abbattuto illegalmente la vegetazione, impedendo l’uso commerciale dei terreni per consentirne la rigenerazione.

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Le immagini satellitari mostrano che l’area soggetta a embargo (in rosso) all’interno della fattoria Bom Futuro (in bianco) ha continuato a essere utilizzata dopo il 2019, anno in cui è stato imposto l’embargo, indicando che l’area è ancora in uso © Earthsight

Durlicouros, che si rifornisce da Frigol, ha spedito tra il 2020 e il 2023 oltre 14.700 tonnellate di pelle in Italia. La materia prima arrivata nel nostro Paese viene trasformata artigianalmente due concerie venete: Conceria Cristina e Faeda. Gli investigatori sotto copertura confermano che sono queste ultime a rifornire Coach e altri marchi globali come Fendi, Louis Vuitton, Chanel, Gucci, Saint Laurent, Hugo Boss che risultano coinvolti, direttamente o indirettamente, nelle stesse filiere. Il lavoro di queste concerie rende la pelle “made in Italy”, cancellando la provenienza brasiliana. 

La trasparenza che manca nella filiera della pelle

Come si può distinguere una filiera davvero trasparente da una che non lo è? Un primo passo è la tracciabilità completa: sapere da dove proviene ogni lotto di materia prima, fino agli allevamenti di origine. Alcuni marchi hanno iniziato a investire in sistemi di tracciabilità avanzati, ma si tratta ancora di eccezioni. Chloé, ad esempio, è l’unico brand che ha fornito a Earthsight una metodologia dettagliata per la tracciabilità del cuoio. Al contrario, la maggior parte dei brand si affida a schemi di certificazione considerati però insufficienti dagli attivisti.

È il caso del Leather Working Group (LWG), il principale standard di settore per la sostenibilità della pelle. Le concerie italiane coinvolte nell’inchiesta – Faeda e Conceria Cristina – hanno entrambe ottenuto la “certificazione oro” del LWG. Ma lo stesso gruppo ammette che il suo schema non garantisce l’assenza di deforestazione, poiché non obbliga a tracciare gli animali fino all’allevamento d’origine. Tradotto: non può garantire che la pelle utilizzata non provenga da allevamenti illeciti o da aree disboscate illegalmente. Non è raro, infatti, che gli animali vengano allevati su terre indigene disboscate illegalmente e poi spostati in allevamenti legali subito prima di essere inviati al macello. In alcuni casi, poi, la certificazione può essere ottenuta senza nemmeno sapere da quale mattatoio provenga la pelle lavorata. Una falla che rende il “green” un’etichetta vuota, e che lascia campo libero a operazioni di greenwashing sistemico.

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I rischi di ingresso di pelle illegale nelle catene di approvvigionamento di Coach © Earthsight

Pelle e deforestazione: i costi ambientali e sociali

Nel frattempo, il contesto ambientale in Brasile è drammatico. Come dicevamo, il Pará è lo Stato amazzonico con la maggiore perdita di foresta, principalmente per far posto all’allevamento di bestiame. E mentre nel 2024 la deforestazione è calata, quasi due milioni di ettari di foresta sono stati distrutti da incendi record. Una delle aree colpite? Proprio il territorio Apyterewa, ufficialmente protetto, ma nella pratica invaso da interessi economici. Secondo un’indagine della Procura federale brasiliana, circa 47.200 bovini sono stati allevati in violazione della legge proprio su queste terre. I capi di bestiame venivano poi “ripuliti” attraverso la pratica del cattle laundering, cioè spostati su ranch legali per eludere i controlli.

Il quadro si fa ancora più grave se si guarda ai diritti umani. Le comunità indigene del Pará, come i Parakanã che abitano nel territorio Apyterewa, stanno subendo invasioni di terre, espropri, minacce e violenze. La perdita del territorio significa anche perdita di risorse, autonomia e cultura. Come ha dichiarato la Procura: «Questa indagine evidenzia la minaccia che l’allevamento illegale e i suoi derivati rappresentano per i diritti dei popoli indigeni sulle loro terre».

Il regolamento europeo sulla deforestazione può davvero risolvere il problema?

In questo scenario, l’Europa potrebbe fare la differenza. A partire dal 30 dicembre 2025 entrerà in vigore il regolamento europeo sui prodotti privi di deforestazione, che obbligherà le aziende a dimostrare che le proprie materie prime non provengono da zone disboscate illegalmente. La pelle è inclusa, ma le lobby del settore – tra cui proprio alcune delle aziende coinvolte nell’inchiesta di Earthsight – stanno facendo pressione per escluderla. Se ci riuscissero, sarebbe un colpo durissimo alla credibilità della transizione sostenibile nella moda. E le ultime notizie che arrivano da Bruxelles lasciano poco spazio all’ottimismo: il Brasile, infatti, non figurerebbe nella lista degli “osservati speciali” prevista dal regolamento.

L’indagine di Earthsight ci ricorda che non basta il “made in Italy” per parlare di qualità e di etica. Serve trasparenza reale, lungo tutta la filiera: da dove nasce il materiale, come viene trasformato, fino a chi lo vende. Perché una borsa di lusso non dovrebbe mai costare una foresta.

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