One-Earth Fashion. Per una transizione giusta nel settore moda
Il settore della moda ha bisogno di un cambiamento radicale nella direzione di una transizione giusta. Le proposte di One-Earth Fashion
Che il settore della moda abbia bisogno di un cambiamento radicale è riconosciuto da un’ampia platea di soggetti interessati. Meno consenso c’è sul modo in cui generare questo cambiamento. “One-Earth Fashion” è un rapporto della ong svizzera Public Eye molto utile per far progredire il dibattito sulla giusta transizione nel sistema moda, ponendo obiettivi concreti di cambiamento e anche cambiamenti di paradigma.
Cosa si intende con “giusta transizione”?
La “transizione giusta” è un framework nato in ambito sindacale per comprendere una serie di interventi sociali necessari per garantire i diritti e i mezzi di sussistenza delle persone lavoratrici nel processo verso un’economia sostenibile dal punto di vista ambientale. L’obiettivo è ripartire equamente costi e benefici della transizione ecologica, garantendo equità tra Paesi, individui e generazioni.
Perché occorre una “giusta transizione” nel sistema della moda?
Il settore della moda ha un enorme impatto ambientale e climatico. Le emissioni di gas climalteranti lungo tutta la filiera sono pari al 2-8% delle emissioni globali, secondo quanto riportato nel rapporto. Oltre al clima, il rapporto sottolinea che l’industria della moda ha impatti anche in termini di perdita di biodiversità, inquinamento chimico, alterazione dei cicli dell’azoto e del fosforo e degli ecosistemi terrestri. Dal campo in cui vengono coltivate le fibre naturali fino allo smaltimento dei capi di abbigliamento, il settore della moda usa enormi quantità di acqua dolce. Gli impatti negativi di questa industria sono legati all’uso intensivo e non sicuro di sostanze chimiche, alla dipendenza da sistemi agricoli, forestali e zootecnici non sostenibili e alla preferenza per materiali plastici derivati da fonti fossili non biodegradabili.
E poi ci sono gli enormi impatti sociali, dovuti principalmente alla mancata protezione dei diritti umani: salari da fame, occupazione precaria, luoghi di lavoro non sicuri, violazioni della libertà di associazione, discriminazioni e violenze di genere, lavoro minorile e lavoro forzato, orari di lavoro eccessivi… L’elenco degli abusi è lungo e quello appena fatto non è nemmeno lontanamente esaustivo.
Per tutte queste ragioni, se è fondamentale una transizione dell’industria della moda nella direzione di una maggiore sostenibilità e climatica, è del tutto evidente che solo attraverso una “giusta transizione” si possa raggiungere l’obiettivo. Un obiettivo che sia di trasformazione e non di semplice “riduzione del danno”.

Gli obiettivi di One-Earth Fashion per trasformare la moda
Mappando gli impatti negativi del sistema della moda, “One-Earth Fashion” identifica dodici punti critici che rappresentano altrettante aree prioritarie di trasformazione.
Per ogni area viene individuato un obiettivo generale di trasformazione. Una visione a lungo termine di come dovrebbe essere un settore della moda equo e rispettoso dei confini del Pianeta. Si tratta di obiettivi interconnessi che si sostengono a vicenda. Riduzione dell’uso di materie vergini a favore della circolarità; rallentamento della moda e riduzione degli sprechi; garantire orari di lavoro e salari dignitosi, proteggere i diritti sindacali. Sono solo alcuni degli obiettivi che mirano a indirizzare il settore verso pratiche più responsabili, sociali ed ecologiche.
Il rapporto indica, infine, 33 obiettivi, tappe fondamentali specifiche e limitate nel tempo per realizzare la visione a lungo termine definita dagli obiettivi generali. Diverse proposte sono di contenuto più che moderato: garantire un salario dignitoso, per esempio, non è un obiettivo radicale, ma un diritto fondamentale. Eppure, sottolinea Public Eye, le strutture di potere economico, sociale e politico esistenti sono diseguali. E spesso chi detiene le leve del potere oppone resistenza, più o meno esplicita. Anche appropriandosi del concetto di trasformazione per ridefinirlo in difesa dei propri interessi personali. Per questo occorre organizzazione dei soggetti interessati (chi lavora, chi consuma, sindacati, organizzazioni collettive) per costruire contropotere e rafforzare la percezione di possibilità degli obiettivi prefissati.

Per trasformare la moda occorre rivederne i paradigmi
L’industria della moda, come gran parte del nostro sistema economico e produttivo, si basa su alcuni paradigmi il cui potere risiede nella capacità di plasmare ciò che viene considerato “normale”. Immaginare risorse infinite e la possibilità di una crescita continua; la normalità del lavoro a basso costo e del suo sfruttamento; l’accettazione dell’estrema disuguaglianza e della distribuzione neocoloniale del valore nelle catene globali del valore; la percezione di strutture di proprietà e di potere ineguali e non democratiche come naturali.

Solo superando questi paradigmi, che sono interconnessi e si influenzano a vicenda, è possibile raggiungere l’obiettivo di un radicale rinnovamento del settore della moda. E non solo.