Uscire dalla solitudine tornando alla terra: la storia di CasciNet
CasciNet è un'azienda agricola sociale, un'associazione culturale, ma soprattutto un modo per uscire dalla solitudine
Questa storia dal futuro comincia in un passato molto lontano, nel 1162, quando Federico Barbarossa, dopo un lungo assedio, distrusse Milano e ne disperse la popolazione. Cominciò quando un gruppo di monache, devote a Santa Radegonda, si stabilì in un’ampia area agricola e vi fondò il proprio monastero, tra i primi femminili a Milano.

La nascita dell’azienda agricola
Non abbiamo chiarissimo cosa sia successo negli ultimi 900 anni, ci sono diverse zone d’ombra. Certo è che però la vocazione agricola di Cascina Sant’Ambrogio è stata una costante della sua storia che, nel Novecento, l’ha vista tramutata in una piccola azienda agricola gestita dalla famiglia Gorlini. Gestione che è arrivata, in diverse forme che non ci interessa qui ripercorrere, al 2012, quando un gruppo di giovani milanesi decide di prendere in mano il posto e di costruirci qualcosa di nuovo, immateriale ma preziosissimo: una comunità.
Nasce l’associazione di promozione sociale CasciNet che nel 2015, insieme ad altri soci, fonda l’azienda agricola omonima che oggi coltiva la terra e gestisce l’AgriRistoro. «Spiegare queste due realtà – mi ha detto Pietro Porro, presidente dell’associazione e socio fondatore dell’impresa sociale – è fondamentale perché fa capire che non siamo un’azienda agricola che lavora da sola. Siamo un’impresa sociale, con uno statuto come tale, una non profit. Infatti l’associazione ha le quote di maggioranza, decide la linea, che non è orientata al business».

Dimmi come tratti le api e ti dirò chi sei
L’associazione, che negli anni è arrivata ad avere 500 socie e soci, è animata da chiunque voglia partecipare alla vita comunitaria con attività che vanno dalla didattica agli eventi culturali agli orti comunitari. E poi c’è il versante agricolo e di apicoltura, sempre però nel solco dello spirito con cui è nata CasciNet. Che, secondo Pietro, è chiaramente riconoscibile da come vengono trattate le api.
CasciNet ospita un apiario didattico: «Facciamo incontri con le scuole, didattica anche con le più piccole e i più piccoli e momenti di divulgazione sull’ecologia come presentazioni di libri e simili. Le volontarie e i volontari dell’associazione, intanto, hanno sviluppato le competenze per produrre il miele, che viene prodotto e venduto per l’azienda agricola». La produzione è molto contenuta, parliamo di 80-100 chili all’anno, anche perché non è realizzata con un approccio estrattivo: «Noi smieliamo a settembre: a luglio e agosto – quando i fiori sono secchi e nelle aziende tradizionali alle api, per farle sopravvivere, vengono dati sostitutivi zuccherini per poter prendere il miele prodotto – noi lasciamo alle api il loro miele. Come è giusto che sia: è delle api, non nostro».
Un’azienda che non è interessata al business in quanto tale
«Con gli orti – continua Pietro – adottiamo la stessa modalità. Non abbiamo una produzione lineare. Facciamo quel che serve per il ristorante. Poi se cresceremo arriveremo anche alla vendita, ma preferiamo un processo lento». Processo caratterizzato dal non utilizzo di sostanze chimiche e diserbanti ma con pacciamanti naturali come la paglia. Molto più faticoso, ma «per ora preferiamo lavorare alla vecchia maniera: con le nostre forze, con le nostre competenze. Non abbiamo un’ottica espansiva, non abbiamo piantato ortaggi su tutti i campi che avremmo a disposizione, facciamo quel che ci serve». Spesso gli orti sono curati col supporto delle tante volontarie e dei tanti volontari dell’associazione, che ha come primo punto del proprio statuto proprio l’impegno per l’agricoltura sociale.
Terra chiama, Milano risponde
Tra gli orti dell’impresa e la struttura della cascina ci sono gli orti familiari, nati dal progetto “Terra chiama Milano” che, racconta Pietro, dal 2012 ha spinto molte persone della città ad avvicinarsi all’agricoltura, dando loro la possibilità di coltivare il proprio orto. Non un semplice orto urbano ma un luogo comunitario, «uno spazio associato attivo dove mettere in comune conoscenze, dove non ci sono reti, cancelli, ci sono attrezzerie comuni, c’è l’acqua in comune, e sono tutti soci dell’associazione CasciNet. L’obiettivo, raggiunto, era creare una comunità di agricoltori casalinghi, persone che coltivano proprio orticello per portare a casa le verdure da cucinare a sostentamento della famiglia».
«Terra chiama Milano», continua Pietro, «ha l’obiettivo finale di far star meglio le persone. Rigenerarle attraverso il contatto con la terra». Non essere in campagna, ma vicini alla metropoli, ha dato la possibilità a tante e tanti che vivono nel giro di un chilometro, immersi nel cemento, di avere il proprio pezzettino di serenità rurale. «Magari di giorno senti in lontananza i clacson o qualche aereo da o per Linate, ma quando di sera invece ti siedi nel tuo orto ti senti in piena campagna, ritrovi benessere e serenità».
Fatica rigenerante
«Certo — mi dice Pietro — è molto faticoso. Tante persone volenterose si scontrano con i ritmi cittadini che non lasciano lo spazio per la campagna». Coltivare un orto è un notevole impegno orario, ma anche fisico. «Zappare non è come andare in palestra. Non hai l’aria condizionata. C’è il sudore, le mosche, le zanzare, i tafani. E poi c’è la puzza di sterco, di concimante. Ma non puoi immaginare quanta gente, dopo che si è abituata, lo apprezza tantissimo. I nostri orti hanno liste d’attesa lunghissime».
Al momento negli orti comunitari sono impegnate tra le 90 e le 140 persone in maniera costante. Ovviamente c’è anche tanto turnover, perché se un orto viene abbandonato troppo a lungo è revocato e affidato ad altre persone.

Una comunità per tutte le stagioni
Per fortuna in questo posto non si fatica soltanto ma si mangia anche e – provare per credere – si mangia anche molto bene. Tra le attività storiche di CasciNet c’è la cena sociale del venerdì, dove soci e avventori condividono musica, spettacoli teatrali e una cena condivisa in cui ognuno porta qualcosa e si può usufruire del bar in cortile. «Contiamo circa 200 persone ogni venerdì, adesso che sta finendo la bella stagione contiamo di andare avanti fino al 10 ottobre».
E poi ci sono le presentazioni di libri, gli eventi culturali, i dibattiti come quello di FestiValori ospitato a fine settembre. La cascina vive tanto d’estate e, come è naturale che sia, si chiude un po’ d’inverno: «Quando arrivano il freddo, la nebbia, la vita in campagna è un po’ meno accogliente e partecipa meno pubblico esterno, ma abbiamo in ogni caso decine di soci che, anche solo per vedersi, passano ogni giorno». Pietro ci tiene a sottolinearlo e ripeterlo «Siamo una comunità. Ci sono amicizie, famiglie, reti di persone». Come ribadisce anche Paolo Gorlini, fondatore e amministratore dell’azienda: «CasciNet vista con un’immagine è il pranzo di un campo di lavoro e formazione sulla non violenza organizzato da Casa per la Pace. Ci sono sedute 25 persone di 13 nazionalità diverse tra cui famiglie, single, bambini, anziani».

Un luogo fisico, un pezzo di storia
Oltre che una comunità, la cascina però è anche un luogo fisico dal valore storico enorme. Nasce come monastero di Santa Radegonda, e aveva già una vocazione agricola. Quando viene sciolto l’ordine, lo spazio viene abbandonato. La struttura, però, presenta ancora le tracce visibili del monastero e della chiesa, inclusi gli affreschi originali sull’abside, che sono stati mantenuti anche quando, intorno al 1800, parte della chiesa venne riutilizzata come ghiacciaia per la conserva degli alimenti.
«Sono tuttora visibili, i lavori di restauro sono ancora attivi ed è possibile, per chi passa in cascina o va sul nostro sito, vedere l’evoluzione dell’immobile dal monastero fino ad oggi». Già dentro l’edificio si vede la struttura originale, il perimetro della chiesa, delle stanze interne ma anche i tramezzi delle case nate per ospitare gli agricoltori. E allungando un po’ il collo, in fondo alla sala grande, è possibile infilarsi in una finestrella da cui vedere l’abside con gli affreschi in restauro grazie all’associazione Art.9.
Sogno di una cascina di mezza estate
L’intera storia del monastero e delle sue evoluzioni, comunque, è reperibile nei pannelli che l’associazione ha distribuito nella cascina. «Anche in braille sviluppato in collaborazione con l’associazione Fedora – aggiunge Pietro – perché stiamo tentando di aumentare l’accessibilità della cascina anche per disabili sensoriali. A questo sono finalizzate attività specifiche come spettacoli teatrali e laboratori». Come Fremiti, un progetto biennale, finanziato dal Ministero della Cultura, che culminerà con uno spettacolo teatrale intitolato Sogno di una cascina di mezza estate proprio nel solstizio d’estate del 2026. La rappresentazione sarà ispirata a Shakespeare, ma racconterà la storia della cascina attraverso il teatro immersivo di Passi Teatrali e le installazioni di Bepart, cercando di rendere il processo accessibile alle persone con disabilità sensoriali, ad esempio raccogliendo suoni in cascina che saranno poi trasmessi tramite pedane vibranti dell’associazione Fedora, permettendo così la percezione corporea dei rumori.

Una periferia lontana dalle luci della ribalta
Oltre a essere sociale, CasciNet è anche un’impresa. «Garantiamo contratti agricoli a quasi dieci persone che lavorano tra i campi e il ristorante. Poi ci sono le collaborazioni legate a progetti specifici, per cui ingaggiamo professionisti con partita iva. Circa due o tre abitualmente, ma anche cinque o sei nelle fasi di attività più intensa». E i progetti sono tanti, così come le attività, gestite spesso da socie e soci che fanno volontariato. «Ci sono i corsi di arteterapia di Carmen Romeo, quelli destinati a bambine e bambini come il campus svolto questa estate finanziato dal Comune di Milano e destinato alla fascia 6-11 anni. Ci sono diverse attività didattiche anche in collaborazione con l’associazione Naturiamo. Riguardano l’educazione outdoor, con laboratori di orticoltura, apicoltura e pollaio didattico e tanto di quello che facciamo ogni giorno a CasciNet».
E poi c’è il filone di lavoro dedicato al territorio circostante. «Siamo lontani dalle periferie famose, quelle spesso sotto i riflettori. Anche per questo, però, qui si pensa di meno alle esigenze della popolazione. A noi interessa molto il contatto con il territorio». CasciNet partecipa a una rete territoriale che si chiama Qubì e coinvolge le famiglie in stato di povertà o di marginalità. Da poco inoltre è finita la rassegna cinematografica nelle case popolari tra il quartiere Mecenate e il quartiere Ungheria, coprogettata con i comitati di inquilini grazie alla nostra facilitatrice territoriale Valentina Tiziani e finanziata dal Municipio 4. «Sentiamo forte – spiega Pietro – la responsabilità della relazione col territorio».

Una via d’uscita alla solitudine
Quando chiedo a Pietro perché, secondo lui, CasciNet è una storia dal futuro, mi risponde una cosa che tante e tanti, prima di lui, mi hanno detto in molti modi diversi. «Perché siamo una via d’uscita alla solitudine». La vita atomizzata nelle nostre società, mi spiega, ci fa vivere male, ci affossa. A tutti i livelli. Dalle città asfittiche al clima che si sta distruggendo, dalle politiche che portano alle guerre a quelle che isolano e ci fanno sentire soli».
L’unico modo di uscirne, dice, è il vivere comunitario. «Una dimensione in cui posso trovare il sostegno alle mie necessità quotidiane, dal babysitter a tutto il supporto che mi serve; ma anche una dimensione in cui non ho bisogno necessariamente di comprare, consumare qualcosa per incontrare altre persone. Secondo me il futuro è tornare a vivere di più le dimensioni comunitarie, è la sola via d’uscita per sentirci di nuovo umani e solidali e, soprattutto, per smettere di sentirci soli».
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