Europa ed elusione fiscale: è tempo di agire
Il contrasto a paradisi fiscali ed evasione e elusione fiscale sembra essere rientrato nell’agenda politica, anche a seguito delle difficoltà delle finanze pubbliche di ...
Il contrasto a paradisi fiscali ed evasione e elusione fiscale sembra essere rientrato nell’agenda politica, anche a seguito delle difficoltà delle finanze pubbliche di molti Paesi. Al di là delle dichiarazioni, però, le iniziative concrete sono poche e per lo più inefficaci. I paradisi fiscali continuano a essere identificati con l’isoletta tropicale di turno, mentre nella realtà tali territori sono spesso nel cuore dell’Europa. Ancora, se anche si riesce a imporre a una giurisdizione l’adozione di regole e controlli più efficaci, subito spunta un altro territorio pronto a offrire gli stessi servizi. Una sorta di mercato della segretezza e dell’evasione e dell’elusione fiscale, con una concorrenza tra Paesi per offrire le condizioni migliori ai capitali internazionali.
Non è quindi possibile fare nulla per contrastare il fenomeno? Si può, ma occorre ribaltare l’approccio: non guardando unicamente il lato “offerta” di chi propone tali servizi, ma iniziando a concentrarsi sulla domanda: chi beneficia dell’esistenza dei paradisi fiscali? Da dove provengono i capitali che vi affluiscono? Se è vero che circa un terzo del commercio mondiale – sulla carta – passa tramite i paradisi fiscali, è altrettanto vero che una percentuale anche superiore riguarda il commercio che avviene tra diverse filiali di una stessa multinazionale. Scambi interni alla stessa impresa, che può giostrare con i profitti, per farli risultare nelle giurisdizioni a minore imposizione fiscale e non pagare le tasse nei principali Paesi in cui conduce la propria attività economica e realizza gli utili.
Partiamo allora dal chiedere maggiore chiarezza e trasparenza alle imprese che, operando in tutto il mondo, possono sfruttare tali trucchi per pagare meno tasse o non pagarne affatto. E’ in questo senso che una misura fondamentale è la rendicontazione Paese per Paese (Country by Country reporting) dei dati contabili e fiscali delle multinazionali. Queste ultime devono oggi riportare nei propri bilanci unicamente dati aggregati. In questo modo è impossibile sapere cosa avviene in ogni Paese, e in particolare se le imprese pagano le tasse dovute per le attività di produzione e commercio e per i profitti realizzati.
Si tratta di una proposta di buon senso, mentre è la situazione attuale a essere paradossale: le multinazionali pubblicano i propri bilanci come un’unica entità, ma pagano – o non pagano – le tasse come se fossero tante realtà distinte quanti sono i Paesi in cui operano. Alcune iniziative promosse negli ultimi anni mostrano che un approccio diverso è possibile. E’ il caso della EITI – Extractive Industry Transparency Initiative, uno standard internazionale che chiede la pubblicazione dei dati di bilancio delle imprese attive nel settore minerario, e in particolare dei rapporti economici con i governi dove tali imprese operano. Uno standard nato per contrastare la diffusa corruzione del settore, ma che ha mostrato come una maggiore trasparenza e dati di bilancio suddivisi per singole giurisdizioni siano attuabili senza problemi tecnici. Nella stessa direzione, la nuova direttiva europea su capitali e finanza, la Capital Requirements Directive IV, richiede un bilancio per Paese alle maggiori banche del continente.
E’ ora possibile compiere un passo in avanti decisivo, arrivando in Europa all’approvazione dell’obbligo per tutte le imprese multinazionali della rendicontazione Paese per Paese. A luglio 2015 il Parlamento ha votato a larghissima maggioranza per una sua introduzione. A breve si aprirà la cosiddetta fase di “trilogo”, ovvero di confronto tra i tre organismi europei, Consiglio, Commissione e Parlamento, per arrivare a una proposta operativa.
Le pressioni per annacquare e indebolire i testi in discussione sono enormi, in particolare da parte di chi fino a oggi ha sfruttato trucchi e scappatoie per fare ricadere l’intero peso del carico fiscale su chi rispetta le regole. E’ quindi essenziale fare sentire la voce dei cittadini e delle organizzazioni che chiedono una maggiore trasparenza e giustizia fiscale.
E’ in questa direzione che la Campagna 005, nata per chiedere l’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie, ha deciso di partecipare alla consultazione della Commissione europea sulla rendicontazione Paese per Paese. Anche la Fondazione Culturale Responsabilità Etica ha partecipato a tale consultazione a nome del gruppo di Banca Etica, per cercare di rafforzare la voce di chi chiede l’introduzione di una normativa rigorosa, trasparente e senza scappatoie.
Evasione ed elusione fiscale hanno impatti devastanti. Non solo per il peggioramento delle finanze pubbliche e le ricadute dirette sul welfare e lo Stato sociale. Il peso del fisco è scaricato sulle fasce più deboli della popolazione e sul lavoro. Viene minato il principio di redistribuzione della ricchezza e quello di progressività fiscale previsto dalla nostra Costituzione. I paradisi fiscali hanno contribuito all’attuale instabilità finanziaria e al susseguirsi di crisi finanziarie, e più in generale all’opacità del sistema bancario e finanziario.
Anche in termini meramente economici, vengono falsati i meccanismi di mercato, come spiega il Tax Justice Network: “un’impresa che usa scappatoie fiscali può sfruttarle per abbassare i prezzi e vincere sui propri concorrenti. In questo passaggio, però, non è stato fatto nulla né in termini di efficienza produttiva né sulla qualità del prodotto”. Le imprese multinazionali che possono eludere il fisco esercitano una concorrenza sleale nei confronti delle piccole imprese che non sfruttano gli stessi meccanismi. Il perdurare di tali ingiustizie genera sfiducia e causa un indebolimento e il rischio di una vera e propria rottura del contratto sociale tra cittadini, imprese e istituzioni.
Realizzare un diverso sistema finanziario, una maggiore trasparenza e una giustizia fiscale non dipende da difficoltà tecniche o legislative. Sappiamo cosa andrebbe fatto e come procedere. E’ questione di volontà politica, di chiedere ai decisori nazionali ed europei di impegnarsi per ridurre ingiustizie e diseguaglianze. Partecipare alla consultazione europea e fare sentire la nostra voce può essere un piccolo passo, ma è un passo importante in questa direzione.