Amazon, opportunità o carnefice del commercio equo?
Altromercato stringe un accordo con il big dell'ecommerce. La base del movimento del mondo equosolidale insorge. Per questioni etiche e di sopravvivenza delle botteghe storiche
La bomba di Amazon scoppia nel commercio equo e solidale. E investe innanzitutto Altromercato, per il suo accordo col gigante dell’eCommerce.
Non saranno più solo i grossisti ad acquistare i prodotti equosolidali da quella che è una tra le principali centrali d’importazione e distribuzione del settore, e a rivenderli su Amazon trattenendo il valore dell’intermediazione. Ma è Altromercato a farlo in prima persona. Così ci guadagna un po’ di più e impone l’inserimento di alcune informazioni – pochine, a dire il vero – sulla natura etica di queste merci nella scheda informativa.
In principio fu l’apertura alla GDO
La sperimentazione su poche referenze è iniziata a gennaio. Ma è stata capace di riaccendere la miccia di un rovente dibattito risalente al 2005, se non prima. All’epoca, la pietra dello scandalo erano i supermercati e la vendita sugli scaffali contaminati dalle multinazionali. Oggi è la compromissione con la più importante piattaforma di commercio online, chiamata spesso in causa a proposito di diritti dei lavoratori a rischio, elusione fiscale, crisi dei negozi al dettaglio e della GDO.
Allora, a dare corpo alla protesta fu, tra gli altri, padre Alex Zanotelli in una famosa lettera pubblicata sul giornale di strada «Scarp de tenis».
Oggi la stessa lettera e lo stesso susseguirsi di interventi ha ricominciato a girare, in allegato alle catene di mail di discussione. E il dibattito si rinnova in chiave digitale. Attraverso le parole di Paolo Cacciari, teorico della decrescita, ma soprattutto tra i più fervidi frequentatori di certo mondo dell’economia solidale (Retelilliput) e legati alle Botteghe del mondo (Bdm).
La mozione che rifiuta Amazon
I termini del ragionamento, che abbraccia questioni etiche includendo pesanti implicazioni di sostenibilità economica, si trovano in gran parte sintetizzati in una mozione diffusa dal Gruppo di Acquisto Eco-Solidale “Francesca Marotta” di Villasanta. Un testo che mette in discussione il rispetto – da parte di Altromercato – dei principi della Carta RES, ovvero di alcuni cardini della Rete dell’Economia Solidale.
Di fatto il gruppo lombardo parla a nuora perché suocera intenda. Chiede che venga valutata criticamente la richiesta di adesione al Tavolo RES di Equo Garantito, associazione di soggetti del commercio equosolidale. Altromercato, tra i suoi membri di maggior peso, non rispetterebbe infatti obblighi di reciprocità e cooperazione, l’attenzione all’economia locale, la condivisione di un percorso comune.
La mozione sarà discussa a ottobre. «È un grimaldello, una provocazione affinché si apra la discussione anche nelle grandi centrali, spesso troppo autoreferenziali» spiega a Valori Sergio Venezia, tra i firmatari. «Questo percorso è suicida per le botteghe e inaccettabile sul piano etico. Abbiamo la possibilità di costruire dei nostri canali digitali di commercio online, dove c’è il fondo di solidarietà che prevede l’economia solidale, dove c’è la giusta copertura dei costi di tutti i soggetti coinvolti, dove c’è un controllo di chi compra…».
E conclude: «Un’altra strada era dire ai grossisti: io ti vendo i prodotti a condizione che non li metti in vendita su Amazon. Una strada senz’altro più difficile ma più rispettosa dei temi etici. Poiché la vera domanda è: quanto possiamo mettere in equilibrio sulla bilancia il bisogno dei produttori e le questioni valoriali?».
Negozio di vicinato addio?
Un dibattito antico. Eppure attualissimo, visti anche alcuni trend economici pubblicati nell’ultimo rapporto annuale di Equo Garantito.
I numeri 2014-2016 mostrano un’inesorabile calo per quanto riguarda soci, punti vendita (le Botteghe del mondo) e ricavi.
Evidenziano come in gioco vi sia il futuro del settore – o quanto meno della sua parte rappresentata nel report – in base allo sviluppo della sua organizzazione.
Un tema forte. «Il problema di Amazon non è soltanto una questione di eticità del partner. Riguarda un modello di sviluppo della distribuzione radicalmente diverso da quello del commercio equo, perché salta il negozio di vicinato» osserva Giovanni Paganuzzi, presidente di Equo Garantito. Aspetto non da poco, considerando che il perno del commercio equo è proprio il negozio di vicinato. Dove è possibile la relazione con le persone, da cui può derivare l’assunzione diretta di responsabilità verso il produttore e gli attori della filiera.
Secondo Paganuzzi, il negozio di vicinato non scomparirà «ma nei prossimi anni vedrà ridotte le sue funzioni. Dobbiamo pensare perciò a forme di distribuzione a domicilio che ci consentano, nei limiti del possibile, di mantenere l’elemento della relazione personale nello scambio».
Altromercato sarà multicanale
Un futuro ancora da pensare, quindi, su cui tutti questi soggetti sembrano arrivare a confrontarsi in ritardo. Ma non per questo Altromercato, consorzio di botteghe, poteva illudersi gli fosse risparmiata una reazione ostile del movimento di fronte alla decisione di stringere un patto con Amazon. Tanto più se, come dice qualcuno, poco condivisa.
Ma qualcosa sta accadendo. E Altromercato, tra assemblee, comunicazioni e dichiarazioni, non si sottrae al dibattito. Anzi. Il vicepresidente Alessandro Franceschini, che non nasconde la mancanza assoluta di unanimità tra i soci sulla sperimentazione in atto e sulle sue implicazioni identitarie, rivendica la scelta politica netta che sta a monte di quell’accordo.
Non stando ad Altromercato la certificazione etica dei canali di vendita, come detto diffusamente in una lettera ai soci di febbraio scorso e ribadito sul proprio sito, l’organizzazione si sente libera di fatto dal dover rispondere a simili contestazioni (Lidl nel 2017, Amazon quest’anno, domani chissà…).
Franceschini circoscrive infatti l’ambito della filiera su cui il consorzio è tenuto a dar conto, escludendo dalla propria responsabilità ciò che sta tra la distribuzione e il consumatore. E punta ad adottare una strategia multicanale (botteghe, GDO, commercio online), anche per ovviare all’invecchiamento delle persone e del modello.
Il timore per il benessere dei produttori
La strategia, nelle speranze dei decisori di Altromercato, dovrebbe facilitare il reperimento dei prodotti e, a cascata, avvantaggiare tutti – Botteghe del mondo incluse. Anche perché, prosegue Franceschini, «se continuiamo a seguire solo il treno delle botteghe, che ogni anno perdono sul retail, tutto il tema della garanzia di un livello di vita dignitoso dei produttori diventa difficile da mantenere».
Se quindi Franceschini si affretta a dire che non si può immaginare «Altromercato senza le botteghe del mondo», le quali garantiscono visibilità e continuità al brand – nel 2005 chi l’avrebbe detto così? -, e che esse rimangono «il canale prioritario, dove si trova il 100% del modello Altromercato», d’altra parte ammette i rischi. In primis di dumping, cioè di concorrenza interna sui prodotti tra negozi ed eCommerce. Un rischio che è certezza inaccettabile per i difensori della Carta RES di Villasanta.
Questi ultimi di sicuro non apprezzeranno neppure il finale del discorso del vicepresidente di Altromercato. Le botteghe dovranno saper mutare, sostiene. «Dovranno uniformare il più possibile i propri comportamenti, attraverso una struttura di retail nazionale, costituendo una vera rete di botteghe, rendendosi economicamente più sostenibili».
Il dibattito è appena (ri)cominciato. Sarà il tempo a dirci chi darà l’imprinting all’Altromercato del futuro, e magari a tutto il modello del commercio equo e solidale italiano. La rivolta dal basso o il risultato della sperimentazione.