Dalle grandi religioni mondiali, tanti buoni consigli sull’uso del denaro
A 10 anni dallo scoppio della crisi, è fondamentale l'impegno delle confessioni religiose: la rifondazione etica dell'economia passa (anche) per la riscoperta dei loro precetti
«Il denaro non rende felici ma si piange di meno» (proverbio yiddish)
Inaugurare una rubrica significa aprire una pista per ampliare lo spazio del pensiero e del dialogo, la qual cosa di per sé comporta qualche brivido. Proprio in questi giorni siamo chiamati a fare memoria di dieci anni di crisi economico-finanziaria. La prima di dimensione planetaria nella storia umana. La prima a protrarsi così a lungo, tanto che in molti paesi non si è ancora risolta, sebbene si sostenga il contrario.
Il titolo che abbiamo scelto per questo appuntamento con i lettori di Valori, Fedi e Finanza, prende le mosse da un cammino che Banca Popolare Etica ha avviato quasi due anni fa con la rivista Mosaico di Pace, entrambe spinte dal desiderio di avvicinare su questo terreno esperienze e tradizioni religiose diverse ma di sicuro affini, e di avviare percorsi di sensibilizzazione delle comunità dei credenti sulle radici e l’urgenza di un agire economico e un uso del denaro responsabile, per promuovere una finanza dal volto umano.
Fedi e Finanza rimanda a una pluralità di parole e di sguardi su un tema antico, eppure attualissimo: il senso – significato e direzione – che le diverse forme religiose hanno sviluppato e consegnato all’umanità sull’uso del denaro, sui temi della ricchezza e della povertà. Sui concetti di remunerazione, profitto, debito.
Le fedi hanno destinato grandi spazi alla pratica economica nei loro libri di riferimento. La cosa non può sorprendere. L’uso del denaro ha sempre condizionato la dimensione più concreta della esistenza delle persone e dunque il pensiero religioso.
Il monito del Vaticano: serve un discernimento etico in finanza
Nel suo oscillare fra opportunità di condivisione/relazione e rischio di accaparramento/egoismo, lo strumento-denaro ha storicamente sollecitato l’umanità a definire le forme del proprio agire, e a interrogare ogni persona sul terreno della relazione con l’altro.
Se il ricorso al denaro scaturisce dall’esigenza di semplificare i rapporti economici e di conferire un valore di corresponsabilità nella gestione dei beni, il problema dei problemi nei testi sapienziali è sempre stato il giusto mezzo: il ragionamento sulla giusta misura di denaro accumulabile e sui legittimi mezzi per procurarselo. Si, perché la ricchezza è una benedizione per chi la usa bene, ma per chi la usa male è una maledizione. La grande sfida, in fin dei conti, è come disporre dei beni donati da Dio.
Cristianesimo e Islam, dilemmi analoghi
Ma alle teorie non ha corrisposto una coerenza della pratica. Con qualche eccezione – nel medioevo, la protesta valdese sul tema della povertà, la totale adesione del francescanesimo all’ideale di povertà – tutto il cristianesimo è stato permeato da questo dilemma tra principi e pratiche senza risolverlo. Tant’è che alla fine abbiamo assistito al progressivo trionfo del modello economico del capitalismo sulle religioni del mondo occidentale.
Dal canto suo, le regole e i divieti della finanza islamica hanno come obiettivo di evitare l’accumulazione della ricchezza in poche mani, a favore di una regolata forma di redistribuzione del denaro. Ma il brand Islam è ormai un prodotto globale che si muove negli ingranaggi della accumulazione finanziaria. Per aiutare bisogna avere dei beni, così che l’elemento quantitativo diventa anche qualitativo. Le scelte insomma sono sempre complesse, anche con le migliori intenzioni.
Il nostro territorio di riflessione sarà ampio, a declinazione multiforme, perché la domanda di ricerca che ci ispira – è possibile rintracciare le radici della finanza etica negli insegnamenti delle fedi religiose? – proietta altri interrogativi, ulteriori punti di osservazione. Provo a elencarne alcuni.
Come gestisce il denaro un fedele?
Come gestiscono le comunità dei credenti le loro ricchezze? Nella società globalizzata e secolarizzata del XXI secolo, nel tempo in cui la finanza tiene in scacco il pianeta favorendo disuguaglianze strutturali, si può rintracciare una differenza nelle scelte economiche e finanziarie delle persone di fede?
Mentre le religioni sono strattonate a giustificare guerre che sanno di secoli passati, è immaginabile trovare un terreno di convergenza e una leva di comune impegno per le diverse fedi contro la parsimonia antropologica del profitto a tutti i costi, a partire dai contorni di una economia umanizzante e solidale?
Le fedi possono attivare una rifondazione etica dell’economia, oppure producono e favoriscono esse stesse, magari senza volerlo, dinamiche di mercato?
Religioni all’appello
A dieci anni dallo tsunami finanziario che ha cambiato il mondo, le confessioni religiose non possono più chiamarsi fuori. È quanto mai opportuno che si adoperino insieme a favore della persona umana e del creato, per la sopravvivenza dell’umanità. Walter Benjamin lo ha scritto in termini oggi a noi molto chiari: «la religione-capitalismo non si regge più sul principio di speranza, ma sul principio di disperazione».
* L’autrice è vicepresidente Fondazione Finanza Etica