Condono a 5 stelle, i veri evasori esultano. Quelli “involontari” si attaccano
Il testo del decreto fiscale avvantaggia chi truffaldinamente non dichiara i propri redditi. Gli "evasori di necessità", se esistono, non vengono aiutati in alcun modo
Il condono appena varato con il decreto fiscale ha degli aspetti paradossali, come già documentato su Valori nei giorni scorsi. Pur essendo teoricamente molto esteso e generoso, produce un gettito minimo. Ma, analizzando il testo, ne emerge un altro aspetto che è ancora più beffardo, soprattutto per quelli che vengono chiamati – con espressione a nostro avviso discutibile, ma tant’è – “evasori di necessità”.
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Si tratta, in particolare, di tutti quei contribuenti (per esempio artigiani, commercianti o lavoratori autonomi) che dichiarano il reddito conseguito e le imposte dovute ma poi non sono in grado di versarle o ne posticipano il pagamento, ad esempio perché la loro attività economica è in crisi o perché i loro clienti – siano essi privati o pubbliche amministrazioni – li pagano in ritardo.
Alla faccia del “contratto di governo”
È proprio questa la categoria che la maggioranza di governo, e in particolare il Movimento 5 Stelle, dichiarava di voler aiutare. Ed è a questa categoria che si rivolge(va) il contratto di governo, laddove prevede(va) che la “pace fiscale” si applicasse a «tutte quelle situazioni eccezionali e involontarie di dimostrata difficoltà economica» aggiungendo che veniva «esclusa ogni finalità condonistica».
Ma il testo del decreto fiscale rivela che, mentre per gli evasori veri e propri ci sono un sacco di scappatoie, per gli “evasori di necessità” non c’è praticamente nulla di nuovo rispetto a prima. Per capire come stanno le cose, facciamo un semplice esempio con due contribuenti.
Due contribuenti a confronto
Il contribuente A è ricco e, se dichiarasse tutti i suoi redditi, finirebbe per pagare l’aliquota del 43%, mentre il contribuente B è povero e dovrebbe pagare l’aliquota del 23%. Consideriamo la dichiarazione inviata nel 2017 relativa ai redditi 2016.
Immaginiamo che “A” abbia omesso di dichiarare una parte del suo reddito, diciamo pari a 100. “A” è quindi un evasore vero: presenta una dichiarazione infedele. Il suo risparmio di imposta è pari al 43% di 100, cioè a 43.
Ipotizziamo, invece, che il contribuente “B” abbia dichiarato tutto il suo reddito di 100, ma non sia riuscito a pagare nel 2017 le relative imposte pari al 23% di 100, cioè 23. Per la legge, anche il contribuente B è un evasore, perché ha omesso il versamento dell’imposta. Inoltre, questo tipo di evasione è evidente, perché è il contribuente stesso che ha dichiarato l’importo corretto del suo debito impositivo.
Cosa gli sarà successo nel frattempo? Molto probabilmente avrà già ricevuto un avviso bonario, in cui l’Agenzia delle Entrate gli avrà chiesto di provvedere al versamento. Se il contribuente B lo ha fatto entro i 30 giorni dalla comunicazione, avrà pagato 23 più il 10% di sanzioni e il 3,5% di interessi (consideriamo per semplicità un anno di ritardo) per un totale di 26,1.
Se non lo ha fatto entro i 30 giorni, dovrà aspettare una cartella che probabilmente gli verrà notificata nel 2019 per l’importo dell’imposta più il 30% di sanzioni e un tasso di interesse aumentato al 4% annuo (consideriamo ora due anni di ritardo), oltre agli oneri di riscossione del 3% o del 6% a seconda che il pagamento avvenga prima o dopo i 60 giorni dalla notifica della cartella, costo totale: 32,4 o 33,1. Si confronti la tabella sottostante che riporta i vari casi: più “B” ritarda il pagamento (per il suo stato di necessità) più il suo debito nei confronti del fisco aumenta.
Imposta dovuta |
Pagamento avviso bonario |
Pagamento cartella prima dei 60 gg |
Pagamento cartella dopo i 60 gg |
23 |
26,1 |
31,4 |
33,1 |
È vero anche che in entrambi i casi (avviso bonario o cartella), “B” potrebbe rateizzare il suo debito, ma questo gli costerà ulteriori interessi per la concessione della dilazione pari rispettivamente al 3,5% e al 4,5% annui.
Il decreto aiuta molto A e lascia al suo destino B
E veniamo ora al decreto fiscale. Per il contribuente evasore vero (il signor “A”) ci sono diverse possibilità. La prima è quella di presentare la dichiarazione integrativa speciale introdotta dal decreto fiscale, pagando solo il 20% di 100, cioè 20 (senza sanzioni e interessi), e quindi risparmiando 23 rispetto a quanto avrebbe dovuto pagare in origine. In alternativa, l’evasore vero può aspettare di subire un controllo fiscale ed, eventualmente, di ricevere un processo verbale di constatazione o un avviso di accertamento per i 100 euro evasi. Grazie al decreto, potrà cavarsela pagando i 43 originariamente dovuti (senza sazioni e interessi). La terza possibilità, di gran lunga la più probabile, è che “A” non riceva alcun accertamento e non paghi nulla.
Per il contribuente “evasore di necessità” (B) non c’è nulla da fare, se non pagare l’importo richiesto nell’avviso bonario. Non può fare la dichiarazione integrativa speciale perché, ahilui, è stato così onesto da dichiarare tutto e ha inevitabilmente subito un controllo. Non può neppure impugnare l’avviso bonario in quanto non si tratta di un vero e proprio avviso di accertamento. E non potrà neppure rottamare la successiva cartella perché è fuori dai termini previsti (31 dicembre 2017).
In sostanza, il decreto fiscale non aiuta in nessun modo l’evasore di necessità, mentre aiuta eccome l’evasore vero.
L’evasore “vero” avvantaggiato in ogni caso
Tre precisazioni sono necessarie. In primo luogo, le considerazioni fatte non cambierebbero se si anticipasse di un anno l’orizzonte temporale, considerando anche gli avvisi bonari sui redditi 2015, perché difficilmente questi si saranno già tramutati in cartelle del 2017 da poter rottamare.
In secondo luogo, il risultato sarebbe sostanzialmente identico anche se i due contribuenti avessero lo stesso reddito, perché il contribuente “evasore vero” comunque pagherà un importo variabile tra un minimo di zero e un massimo pari alle imposte che avrebbe dovuto pagare, senza sanzioni e interessi, mentre il contribuente “evasore di necessità” pagherà un minimo pari alle imposte che avrebbe dovuto pagare con sanzioni al 10% e interessi al 3,5% a un massimo pari alle imposte che avrebbe dovuto pagare con sanzioni al 30%, interessi al 4% e aggi di riscossione.
Infine, se i due contribuenti avessero mantenuto questi comportamenti prima del 2015, ad esempio 4-5 anni fa, entrambi avrebbero la possibilità di rottamare la cartella ricevuta, ma questo avverrebbe alle stesse condizioni, senza nessun vantaggio per il contribuente “evasore di necessità” rispetto al contribuente “evasore vero”.
Difficile cambiare il testo in aula
E arriviamo quindi alla domanda finale: lasciare fuori dal condono gli “evasori di necessità” che garantiscono circa il 43% delle entrate tributarie recuperate dalla lotta all’evasione (52 su 120 miliardi di euro di recupero nel decennio 2007-2016 secondo il Rapporto 2017 sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti) è stata una mossa voluta per esigenze di gettito o una mera dimenticanza?
La risposta sta al Parlamento, dove, a quanto si legge, si discute della possibilità di inserire durante la conversione del decreto una norma ad hoc proprio per questi casi. Ma trovare le coperture non sarà affatto facile.
* Francesco Dal Santo è dottore commercialista e docente di Scienza delle Finanze presso l’Università Bocconi di Milano.
** Alessandro Santoro è professore associato di Scienza delle finanze all’università Milano-Bicocca, membro del comitato di gestione dell’Agenzia delle Entrate, è stato consigliere economico della Presidenza del Consiglio dei ministri ed esperto tributario al Secit (Ministero delle Finanze).