Lavoro e clima: ingredienti chiave per la ricetta della felicità

Luciano Canova, autore di Legonomics, racconta il suo "Il metro della felicità": un concetto complesso, che va oltre il Pil e guida le decisioni politiche

Il lago Haukkalampi, nel Parco nazionale di Nuuksio, in Finlandia. Il Paese è ancora al primo posto nella classifica della felicità stilata dal World Happiness Report 2019 (Alessandro Grussu, Creative Commons)

«Per parlare di felicità non si può fare a meno di considerare due concetti che in questo momento storico occupano quotidianamente le prime pagine del giornali: il lavoro e i cambiamenti climatici». Esordisce così Luciano Canova, nel descrivere il contenuto del suo libro, appena pubblicato: “Il metro della felicità”.

«Qualunque economista serio, deve tenere a mente l’idea di felicità. Tra i suoi obiettivi, infatti, c’è quello di mettere le persone, la società, le aziende in condizioni di stare bene – continua Luciano Canova – Certo, la felicità è un concetto complesso, ma la sua misurazione è fondamentale per un economista. Dovrà usare un mix di indicatori che ne riflettano la complessità»

Il volume passa in rassegna le diverse definizioni di felicità date negli anni da filosofi ed economici,  da Erodoto a Platone, da Easterlin a Kahneman, da Samuelson a Kunets. E cerca di spiegare, con l’aiuto di dati, di esempi, di storie (e di molta ironia, tipica dell’autore della rubrica Legonomics ospitata su Valori.it) cosa sia la felicità. E come misurarla.

Il lavoro è molto più che uno stipendio

«Il lavoro ha un ruolo fondamentale nel concetto di felicità – spiega Luciano Canova – Ed è sbagliato occuparsene solo come indicatore monetario. Il lavoro è identità sociale, è dignità. Lo Stato dovrebbe occuparsi di più di “lavoro di cittadinanza”, non “reddito di cittadinanza“, che, per come è stato affrontato in Italia, ha in sé una serie di errori di fondo. Innanzitutto si sottovaluta l’importanza del lavoro. E poi in un Paese come l’Italia, con un’elevata presenza di lavoro sommerso, il reddito di cittadinanza può aumentare questa piaga, incentivando sia lavoratori che datori di lavoro a ricorrere a occupazioni in nero».

«Ci sarebbe stato bisogno di un pensiero scientifico – continua Canova – invece l’applicazione del reddito di cittadinanza è stata generalizzata, applicandola all’intera popolazione: un costo di 10 miliardi all’anno, senza una sperimentazione seria. Che avrebbe anche potuto dare un esito negativo. Come è successo, in parte, in Finlandia, dove è stata effettuata una sperimentazione per due anni su una misura vicina al reddito universale su un campione di disoccupati. L’obiettivo era verificare se servisse effettivamente a migliorare la vita delle persone e ad agevolare l’accesso al mondo del lavoro. Risultato: la misura  non aveva aumentato la probabilità di trovare un lavoro e non aveva risolto i problemi dei disoccupati».

«Il lavoro è un tema centrale per la felicità. La disoccupazione produce cicatrici di lunga durata. E, lo dimostrano numerosi studi, il costo sociale della disoccupazione è più elevato di quello della perdita dello stipendio».

Cambiamenti climatici e felicità

«Il clima è un elemento chiave nella percezione del benessere», ricorda Canova. L’inquinamento e la presenza di bellezze naturali hanno un peso elevato nelle classifiche dei luoghi dove si vive meglio. Ma non solo. «Clima e felicità hanno molti elementi in comune. In senso metaforico e non – continua – I titoloni sui giornali dei giorni scorsi collegano l’ondata anomala di freddo a maggio con i cambiamenti climatici. Non che non ci siano relazioni tra i due fenomeni, ma sono questioni diverse: da un lato c’è il meteo, con le condizioni che si presentano quotidianamente, dall’altro il clima e i relativi cambiamenti climatici, che hanno un orizzonte di lungi periodo. Lo stesso accade con i concetti di benessere e di felicità, il primo è istantaneo, la seconda è legata a elementi più strutturali, e va analizzata nel lungo periodo».

«Uscendo dalla metafora, uni fattore centrale del cambiamento climatico è la distanza tra fatti e percezione. Le persone non vedono il proprio contributo sul clima, nè l’impatto cambiamento climatico sulle proprie vite. E invece l’impatto del clima sulla felicità è enorme. Negli incitatori tradizionali, come il Pil, la dimensione ambientale è sempre stata residuale. Indicatori complessi invece devono considerarla. E bisogna invertire il punto di vista: invece di far apparire il cambiamento climatico come un peso, un qualcosa che limiterà la propria felicità, dovremmo presentarlo come un’opportunità. Cosa possiamo fare noi per contrastare i cambiamenti climatici e quindi essere più felici? La felicità, lo ripeto, deve essere considerata a più dimensioni, anche quella ambientale. Il capitale naturale è fondamentale in un’ottica di lungo periodo».

Non solo Pil

«Il Prodotto interno lordo, come ormai è universalmente riconosciuto, è uno strumento utile, ma non è sufficiente a definire, e a misurare, un concetto di benessere – precisa Canova – Non voglio demonizzarlo, il reddito ha un ruolo importante nel determinare la felicità.  Ma è riduttivo. Chi si occupa di felicità, di benessere, deve tenere in considerazione più indicatori, che ne riflettano la complessità. La semplicità è uno dei vantaggi del Pil, permette la comparazione tra Paesi e all’interno di un Paese, nel tempo. Ma analizzandolo da solo può essere anche fuorviante. Deve essere affiancato da altre dimensioni».

World Happiness Report

Un ottimo esempio, proposto dallo stesso Canova, di sintesi della complessità di un concetto come la felicità è il World Happiness Report, un progetto delle Nazioni Unite per definire in modo empirico il concetto di felicità.

Si avvale del contributo e della supervisione di grandi economisti come John Helliwell, macroeconomista della Vancouver School of Economics; Richard Layard, della London School of Economics, tra i primi a occuparsi di felicità; Jeffrey Sachs, tra i più apprezzati esperti di sostenibilità.

«Al di là di come si misura la felicità, rappresenta una sorta di enciclopedia del rapporto tra felicità e politica basato sull’evidenza empirica», precisa Canova. «A partire dall’aprile 2012, l’anno della prima edizione, il World Happiness Report si è arricchito di nuovi dati, ma soprattutto di contributi che la ricerca scientifica ha prodotto e produce con riferimento al benessere soggettivo e alla sua importanza. È un work in progress che ha il grande pregio di portare al centro della scena la felicità come grande tema di policy e di agenda istituzionale».

Individua sei componenti della felicità:

  1. Il reddito;
  2. La salute;
  3. La propensione alla generosità;
  4. La libertà di prendere una decisione in autonomia;
  5. Il supporto sociale (le persone a cui ci si può appoggiare nella propria cerchia di riferimento);
  6. La percezione di corruzione.

«Dimensioni che non necessariamente vanno nella stessa direzione – spiega Canova – Si pensi agli Stati Uniti, che da 2000 2015 hanno visto un declino lento e costante in termini felicità: reddito e salute medi sono aumentati, ma tutte le altre componenti sono diminuite. Se i politici considerano solo il reddito  come base delle loro politiche, possono possono prendere delle decisioni sbagliate».

L’ultima edizione, la settima, del World Happiness Report è stata presentata dalle Nazioni Unite, a fine marzo. Nella top ten si ritrovano i Paesi che già gli scorsi anni avevano occupato i primi posti: Finlandia, Danimarca, Norvegia, Islanda, Olanda, Svizzera, Svezia, Nuova Zelanda, Canada e Austria. L’Italia è al 36esimo posto, sebbene in netta risalita rispetto al 47esimo posto dello scorso anno.

La classifica della felicità nei primi 52 dei 156 Paesi analizzati dal World Happiness Report 2019

 

Sei paesi dei primi dieci sono scandinavi. Paesi noti, per il clima rigido e per la forte tutela di valori sociali. «I due fattori, può sembrare strano, ma è dimostrato da studi scientifici, sono strettamente legati», spiega Luciano Canova. «Un ricercatore italiano, Ruben durante, ha studiato le motivazioni per cui il capitale sociale sia più alto nei Paesi scandinavi. La risposta empirica ha indicato il clima. Un clima rigido si rivela un fattore positivo, perché proprio il suo essere un elemento ostile all’uomo, spinge a sviluppare in modo naturale strategie di cooperazione. Da qui sono nati modelli di Stato sociale ridistribuivi, alla base del benessere percepito in questi Paesi».