Milano, +4 gradi nel 2050. Contro la crisi climatica, ecco “l’urbanismo tattico”
Un'auto parcheggiata al sole si scalda fino a 70 °C. Ridurne il numero è una delle tante armi che Milano progetta per abbattere le isole di calore
Milano, città metropolitana, non fa eccezione. Come le altre grandi aree urbane, sempre più abitate e sempre più estese, soffre la crisi climatica in corso. Soffoca per il calore crescente e per gli eventi climatici estremi di natura alluvionale.
Tanto da approvare una mozione sull’emergenza climatica in consiglio comunale il 20 maggio scorso. E tanto da avere incluso nell’amministrazione una Direzione Città Resilienti, guidata da Piero Pelizzaro, ovvero il Chief Resilience Officer. Una figura che hanno previsto attualmente solo in altre 82 località del mondo, partecipando al programma 100 Resilient Cities, finanziato a livello internazionale dalla Rockefeller Foundation.
«In Italia non esiste una normativa che obbliga le città a dotarsi di un piano per il cambiamento climatico. Ed è una questione importante. Il Governo nazionale e il Parlamento non hanno mai votato né un piano né una strategia di adattamento al cambiamento climatico. E i documenti attuali sono solo decreti direttoriali, che non hanno mai visto alcuna discussione parlamentare o governativa» spiega a Valori, Pelizzaro, pochi giorni dopo aver esposto (il 17 luglio) la sua relazione alla commissione comunale congiunta Mobilità-Urbanistica, in occasione della Prima verifica delle iniziative sull’emergenza climatica per quanto riguarda Territorio e Verde a Milano.
«Questa carenza credo che sia un grave problema per il Paese, ed è un bene che la città di Milano si stia assumendo questa responsabilità insieme ad altri enti locali, come il comune di Bologna e il comune di Torino, nel provare a dare una risposta. Senza avere alcun riferimento da questo governo, che è anche negazionista climatico in alcune sue componenti».
Lei e la sua direzione che compito avete, quindi?
«In particolare lavoriamo sull‘integrazione dei rischi climatici, portando all’interno della città una conoscenza di primo livello di ciò che sta accadendo. Perché, per pianificare una città rispetto agli impatti del clima, abbiamo bisogno di sapere quanto sono aumentate le temperature e qual è il trend delle precipitazioni in ambito urbano, ad esempio. Questo al fine di migliorare gli strumenti di supporto e assistenza alle categorie più vulnerabili, anziani e bambini ma anche alle donne single, che sono uno dei gruppi più presenti».
Cos’è il Piano Aria Clima (PAC)? Su che basi nasce e quali interventi prevede?
«A partire dal 1901 fino al 2017 la temperatura media nella città di Milano è aumentata di circa 2 gradi centigradi, più di quella globale, che si è fermata 1,2 °C di incremento. E si stima che da qui al 2050 potrebbe crescere di ulteriori 2 °C. Vuol dire che dal 1901 al 2050 si potrebbe registrare un aumento medio della temperatura urbana intorno ai 4 gradi centigradi.
Al tempo stesso abbiamo visto che il numero di notti tropicali, quelle in cui si dorme con una temperatura superiore ai 21 gradi, considerata come una soglia di comfort nel dormire, è cresciuto da 15 a 50 negli ultimi 50 anni.
Per una persona benestante, con un certo reddito, questo è un problema relativo, perché si può dotare di aria condizionata. Ma questo non vale naturalmente per una grande fascia della popolazione, che non ha la capacità economica per attingere a soluzioni come quelle dell’aria condizionata. Al di là del fatto che questa è una soluzione che favorisce il tuo benessere ma danneggia quello della collettività».
Più alberi e meno condizionatori, allora…
«In effetti questi elementi ci hanno portato a individuare delle soluzioni che cominciano in primis dal programma di forestazione urbana, ForestaMi, che ha l’obiettivo di piantumare 3 milioni di “alberi equivalenti” nella città metropolitana, e quindi anche nel comune di Milano, entro il 2030. Equivalenti nel senso che ci interessa di più come e dove piantumiamo queste piante, che il loro numero. Perché a noi interessa piantumare lungo le strade, nelle aiuole, laddove cioè si formano le isole di calore.
Le foreste, infatti, sono una soluzione, sono polmoni che aiutano ad assorbire gli inquinanti. Ma in ambito urbano può risultare molto più efficace piantumare 10 alberi in via Vittor Pisani (viale di accesso alla stazione centrale, circondato da palazzi, ndr) che 10mila al Parco Nord. Perché quei 10 alberi in via Vittor Pisani riducono la temperatura dello spazio pedonale, dei marciapiedi, proiettando l’ombreggiatura sulla superficie, e anche sugli edifici circostanti, così da migliorare la loro performance energetica».
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Come arriviamo a 3 milioni entro il 2030 se siamo a 16 mila nel primo anno di attività?
«La stagione di piantumazione si svolge da novembre a marzo. Da un piano di piantumazione di 8mila alberi annuali siamo comunque passati a 16mila alberi per il 2018-2019. L’obiettivo è di aumentare ancora. Bisogna però passare attraverso un’attività di mappatura della città e dei comuni limitrofi, attraverso la collaborazione con diversi attori privati e altre città. E poi, in una città come Milano, trovare spazi ampi dove poter piantumare grandi numeri di piante è diventata un’impresa difficile, e necessariamente questo comporta un coinvolgimento delle aree di proprietà dei privati.
È per questo che diventa importante far capire nei prossimi anni che l’impatto della piantumazione di 10 alberi in un certo punto può avere un effetto equivalente a quello di 10mila altrove, dal punto di vista della riduzione della temperatura su scala urbana.
D’altra parte, la piantumazione costa. Utilizzando tutte le procedure di legge, piantumare un albero su area grigia, su marciapiede, dove ad oggi non c’è verde, ci costa oggi 800 euro senza manutenzione.
Vuol dire infatti scavare, muovere terra, bunkerizzare dove viene messo l’albero per evitare che poi ci siano problemi con le radici sul manto stradale, che le persone inciampino. E poi l’albero va messo in sicurezza. Lo stesso albero su un aiuola verde costa tra i 250 e i 300 euro. Un albero piantato nel Parco Nord o nel Parco Sud costa tra i 30 e i 40 euro, manutenzione inclusa. Questo dimostra che lo sforzo che l’amministrazione sta facendo, senza dimenticare la risposta ampiamente positiva del comparto privato, con sostegno a progetti di sponsorizzazione o di donazione di alberi».
Per ridurre le temperature si può operare in altro modo?
«Interventi come quelli di piazza Angilberto II e piazza Dergano, quelli delle piazze aperte, hanno una valenza urbanistica nell’ottica di un recupero di spazio, ma con l’inserimento di due ulteriori elementi di “urbanismo tattico”. In primo luogo la tinteggiatura delle strade bianche e azzurre oppure bianche e gialle, per favorire la riflettanza dei raggi solari, come hanno fatto Atene, Parigi e Los Angeles.
Inoltre la riduzione del numero di veicoli parcheggiati è un modo per ridurre la temperatura. Col Politecnico di Milano abbiamo fatto delle misurazioni puntuali.
Su alcune aree della città è stato verificato – al 17 luglio del 2018 – come la temperatura di un muro di un edificio arrivasse a 35 °C, misurando l’asfalto si toccavano i 50 °C, ma erano addirittura 70 o 75 i gradi di temperatura delle autovetture parcheggiate.
Da economista, peraltro, mi sento di dire che l’auto di proprietà è senz’altro uno dei peggiori investimenti, poiché per l’80-90% del suo tempo di vita rimane parcheggiata e inutilizzata. Non è quindi sostenibile dal punto di vista economico e nemmeno per quanto riguarda le temperature cittadine, poiché la macchina in strada diventa una fonte di calore molto forte. Quando ci si lamenta della temperatura della città bisogna anche pensare a questi aspetti».
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Il PAC si occupa anche delle piogge?
«Sì, quello delle precipitazioni è un altro indicatore importante per noi. Nei decenni la quantità di pioggia, in millimetri caduti, è rimasta costante nell’arco annuale, ma si è ridotto quasi del 50% il numero delle giornate di pioggia, per concentrarsi in eventi alluvionali molto intensi. Un’altra parte del nostro impegno riguarda perciò gli interventi per favorire il drenaggio delle acque, con l’obiettivo di rendere il terreno più permeabile lavorando sia sugli elementi di verde ma anche su materiali drenanti, che permettano un migliore recupero di acqua nella falda. E così, quando si verificano carichi alluvionali molto intensi, queste azioni rallentano l’afflusso di acqua nel sistema fognario».
Diverse azioni, insomma, in attesa dell’approvazione del prossimo PGT.
«Il PGT è il documento madre. Abbiamo lavorato con i colleghi impegnati della definizione del nuovo Piano di governo del territorio (PGT) collaborando alla scrittura di un articolo nel piano delle regole. Speriamo perciò che il nuovo PGT favorirà non solo il verde orizzontale ma anche quello verticale sull’edificio, e i tetti verdi. Questo perché le pareti verdi e i tetti verdi contribuiscono a migliorare la qualità dell’aria e ridurre la temperatura nell’arco dell’anno. Con un impatto in termini minori emissioni e miglior efficienza energetica, determinando un contributo sia su scala urbana che nazionale».
Avete calcolato i vantaggi economici e sociali?
«Sono stime ancora in corso. E dati sulla riduzione della mortalità o dei costi sociali non ne posso ancora dare. Quello che si può dire è che la piantumazione di 3 milioni di alberi offre sicuramente degli enormi vantaggi dal punto di vista del valore degli immobili. Un edificio in cui aumenta il verde perimetrale accresce il suo valore tra il 18 e il 30%. In città come Lubiana, quando sono state introdotte delle aree completamente senza auto, si è visto un incremento del valore degli immobili anche del 150%.
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Sottolineo però che la lotta al cambiamento climatico si vince attraverso la capacità di spendere le risorse attuali in maniera adeguata, usando delle lenti differenti quando si progetta, perché spesso e volentieri le risorse ci sono già. D’altra pare abbiamo bisogno di un imponente coinvolgimento dei cittadini. Perché quando usciamo di casa e scegliamo come muoverci facciamo la differenza come cittadini».