BCE, Lagarde ha uno scheletro nel suo armadio: si chiama Argentina
L'esborso record del "suo" FMI illogico visti i fondamentali dell'economia di Buenos Aires. Un fantasma che perseguiterà a lungo la futura presidente BCE
Nel giugno 2018, il ministro dell’Economia di Buenos Aires Nicolás Dujovne e il presidente della banca centrale argentina Federico Sturzenegger annunciavano trionfalmente il raggiungimento di un accordo con il Fondo Monetario Internazionale. L’intesa non solo riallacciava le relazioni interrotte ai tempi del default del 2001, ma concedeva addirittura al Paese il prestito più importante della sua storia: oltre 50 miliardi di dollari erogabili in tre anni.
L’obiettivo consisteva nello stabilizzare il Peso e dare ossigeno all’economia, soprattutto attraverso l’avvio di un piano di opere pubbliche. Era un ritorno alla grande, fortemente voluto dalla futura presidente della BCE Christine Lagarde su indicazione di Donald Trump.
Proprio gli Stati Uniti, che ai tempi di George Bush jr bloccarono una tranche del FMI che avrebbe potuto evitare o almeno ritardare il default del 2001, ora davano disco verde. Pesava la vicinanza “ideologica” tra Trump e Macri il cui padre Franco, recentemente scomparso, era stato socio d’affari proprio del presidente USA nel business del mattone.
Christine Lagarde e quel bilancio impietoso
Forse però la Lagarde non avrebbe concesso il maxi-prestito se avesse potuto leggere il rapporto della Banca Mondiale intitolato Verso la fine della crisi in Argentina, uscito nei primi mesi del 2019, dove si traccia un bilancio impietoso della gestione economica del Paese. Dal 1950 a oggi si sono registrati 15 periodi di recessione: dei 69 anni presi in esame, 23 si sono chiusi con un calo dell’economia. Per la Banca Mondiale le cause vanno cercate nella pessima performance macroeconomica accumulata e nella tendenza del Paese sudamericano a vivere al di sopra delle proprie capacità.
Elementi che generano ciclici momenti di boom e di crisi. La spesa a debito, una delle storiche piaghe dell’Argentina, è stata quasi sempre indirizzata verso lo stimolo dei consumi, portando al surriscaldamento del ciclo e quindi a ripetuti crolli. Con crisi di iperinflazione, svalutazione selvaggia della moneta o addirittura default in piena regola.
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L’Argentina affoga nel debito
Per far fronte ai bisogni di cassa, già dal 2015 lo Stato argentino ha ricominciato a emettere bond accumulando un debito pubblico che a giugno valeva 337 miliardi di dollari, pari all’86% del PIL, contro il 53% registrato alla fine del mandato di Cristina Kirchner.
Sul fronte della produzione e del reddito la situazione non è migliorata: negli ultimi 5 anni i settori trainanti dell’economia (edilizia, commercio e industria) hanno subito un calo del 40%, mentre il potere d’acquisto dei salari è sceso del 20%.
A maggio l’inflazione annuale ha raggiunto il 57,3%, uno dei dati peggiori nel confronto con il resto del mondo. La povertà è cresciuta e riguarda ormai il 32% della popolazione. Intanto il peso si è fortemente svalutato nel cambio con il dollaro e sull’Argentina è tornato ad aleggiare un fantasma ricorrente nella sua storia: quello del default, anche se al momento solo “selettivo”.
Una nuova ristrutturazione del debito
Il conto politico che dovrà pagare la Lagarde dovrebbe essere alto. Il Fondo aveva giurato di non avere più rapporti con Buenos Aires. Tra l’altro, con una mossa a sorpresa, nel 2006 Nestor Kirchner aveva cancellato 10 miliardi di debiti con l’istituzione di Washington per chiudere ogni rapporto. Era da più di un decennio infatti che le famigerate “missioni” del FMI non atterravano più a Buenos Aires. Ora però la situazione tenderà a complicarsi.
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A poco più di un mese dalla quasi scontata vittoria del peronismo di Cristina Kirchner, che sarà vicepresidente del moderato Alberto Fernandez, si riaprirà per forza una trattativa per ristrutturare il debito generato durante il mandato di Mauricio Macri. Una trattativa dagli esiti incerti e dai toni che diventeranno aspri. L’unico punto fermo è che il fantasma dell’Argentina perseguiterà a lungo Christine Lagarde.